Parto indotto, un incremento che fa preoccupare
La notizia è di questi giorni ed è apparsa sul sito della BBC: il numero di travagli indotti in Inghilterra sta aumentando moltissimo. E anche se i numeri si riferiscono, appunto, al paese anglosassone, questa tendenza è da ritenersi valida per tutto il mondo occidentale e dovrebbe quindi fare riflettere anche noi.
Perché un aumento dei parti indotti non è fine a se stesso, ma porta con sé altre considerazioni, come il fatto di non fidarsi più del parto naturale e di preferire sempre di più parti più “medici” e meno fisiologici.
Parto indotto, un incremento che fa preoccupare: uno studio in Inghilterra mostra come il parto indotto stia aumentando moltissimo negli ultimi anni
I numeri sono chiarissimi: in Inghilterra ad una donna su tre viene indotto il parto, quando dieci anni fa si parlava di uno su cinque.
Il parto indotto è “semplicemente” un travaglio accelerato tramite pillole o flebo, ed è una tecnica utilizzata soprattutto quando il bimbo è molto grosso oppure quando la madre ha superato il termine del parto previsto. E questo accade soprattutto con le donne più su d’età e con quelle in sovrappeso.
Ma quando viene utilizzato (e perché) il parto indotto, generalmente?
Il parto indotto viene scelto dai medici soprattutto quando il bambino, superate le 42 settimane di gravidanza (40 nel caso di partorienti di oltre 40 anni), non sembra accennare a nascere. Viene anche richiesto, tuttavia, nei casi di parti che fanno presumere complicazioni. Inducendo il parto i medici hanno così maggiore controllo sulla procedura e le donne e i bimbi sono meno a rischio di complicazioni o infezioni.
I dati sono stati raccolti dalla società di analisi NHS, che ha rilevato come negli ultimi due anni i travagli partiti in maniera naturale erano il 52% del totale, quando esattamente dieci anni fa raggiungevano invece il 69%. Di questi parti non indotti, il parto più comune è quello naturale, eccetto quando si parla di madri sopra i 40 anni (in quel caso, i cesarei rappresentano la maggior parte dei parti).
Ma proprio parlando di partorienti sopra i 40 anni, i dati presi in considerazione mostrano come sia a loro proposto il parto indotto, poiché le ostetriche e i ginecologi raccomandano di non andare mai oltre la data prevista per il parto (a causa di altri problemi che spesso insorgono nelle gestanti, come il diabete di tipo 2 o la pressione alta). Insomma: quando una donna di oltre 40 anni supera la data prevista del parto, le viene indotto il parto, che spesso termina con un cesareo.
Il problema non è solo meramente “di numeri”, poiché dobbiamo tenere presente i cambiamenti della società. Ovvero: l’età media delle partorienti sta sempre più aumentando, e questa tendenza porterà quindi ad un aumento ancora maggiore dei parti indotti e di quelli cesarei, che hanno maggiori implicazioni rispetto ad un parto naturale.
Un altro dato che fa riflettere è l’aumento di cesarei pianificati, ovvero quelli scelti dalle donne e dai medici non al momento del parto in seguito a qualche complicazione (come la posizione podalica del bambino), ma precedentemente. Se nel 2007 e 2008 i cesarei programmati erano l’11% del totale, nel 2017 e 2018 la percentuale è saluta al 16%.
Il problema, qui, non è tanto l’eccessivo uso di questa pratica, che si rivela necessaria e sicura nella maggior parte dei casi, quanto la mancanza di informazioni. Già, perché le donne spesso non sono informate a dovere riguardo ai benefici e ai rischi di un cesareo programmato, che variano in base ad ogni situazione personale e sanitaria.
Ciò che preoccupa di tutto questo, tuttavia, è soprattutto la ragione che sta dietro a questi parti indotti e cesarei programmati, perché sta tutto nello stato di salute delle donne partorienti: una donna su quattro tra quelle over-40 che partoriscono è sovrappeso o obesa (con un indice di massa corporea sopra i 30) e il 31% delle ragazze incinte sotto i 20 anni fumano (altro fattore di rischio). Una tendenza che deve assolutamente cambiare rotta, radicalmente.
Giulia Mandrino