Variare, variare, variare: questa è una delle nostre regole a tavola, e oltre che redditizia (dato che alla fine i bambini davvero si abituano a mangiare di tutto!) è anche divertente e sfiziosa. Lo sappiamo che variare non è sempre facile, soprattutto se si ha poco tempo. Ma questa ricetta, come tutte quelle che vi proponiamo, è davvero semplice e piacerà molto ai bambini, che si troveranno di fronte, per merenda, dei biscottini davvero carini che in realtà di dolce non avranno nulla! Già, perché i biscotti in questo caso sono salati e guarniti con dei semi misti, e farciti poi con della crema di robiola assolutamente deliziosa.
Biscotti salati e crema di robiola: la ricetta per una merenda diversa, dalla forma dolce ma dal gusto salato!
Le cose che non tolleri negli altri sono quelle che più odi di te stesso
Domenica, 26 Marzo 2017 22:28La saggezza popolare si sa, spesso sbaglia quando parliamo di maternità e cura del bambino, ormai lo scrivo da tanti anni su questo mio spazio web: “non tenerlo troppo in braccio”, “una sculacciata non fa mai male a nessuno” sono solo alcune di tante frasi che abbiamo smentito con l’aiuto della ricerca scientifica e di personalità illuminate.
Ma a volte queste frasi senza radici hanno un fondo di verità e quella su cui ho riflettuto oggi credo abbia grandi ripercussioni sulla vita di noi mamme, su di me di sicuro.
Ho sempre avuto difficoltà ad accettarmi, ad avere fiducia in me stessa: d'altronde sono certamente dotata di grande creatività ma le lacune che ciò porta sono evidenti e talvolta imbarazzanti, spesso mi creano importanti difficoltà. Sono praticamente incapace di organizzarmi e appena lo faccio sento dei paletti, il mio istinto cerca una rapida via di fuga; odio programmare, sono poco precisa, impulsiva e a volte inconcludente perché mi perdo nei meandri delle mie idee. Odio rileggere, strana attitudine di una che ha un blog, in questo stesso momento l’idea di dover rileggere mi fa arrabbiare terribilmente, mi sembra una prigionia del pensiero che vorrei sempre sentire come flusso libero.
Non sono ancora riuscita a trovare una soluzione appagante o come direbbero gli inglesi “deal” (non trovo una parola nella nostra lingua che calzi a pennello come questa, chiedo perdono). So cosa vuol dire sentirsi vulnerabile, perché coloro che sono razionali e con i piedi ben saldi a terra se sei come me ti mettono i piedi in testa quando e come vogliono perché tu non riesci a fermarti e rileggere, la passione per ciò che fai ti assorbe in pieno: so cosa vuol dire sentirsi travolti dalle idee, dalla voglia di fare e di portare avanti un progetto da dimenticarsi tutto il resto. Sicuramente significa anche essere ancora immaturi, ma credo che in parte sia DNA, null’altro che genetica con la quale si possono solo mettere in campo strategie per convogliare queste attitudini e arginare i danni, imparando a fermarsi e organizzare pensiero, lavoro e azioni.
A volte sgrido mio figlio, a volte lo sgrido troppo, a volte non lo sgrido ma borbotto, dando persino fastidio a me stessa, lo stesso fastidio che provavo quando i miei genitori sgridavano me, per altro per gli stessi motivi: ero sovversiva, irrequieta, con la testa tra le nuvole, pasticciona.
Mi sono resa anche conto aimè che non perdo occasione per lamentarmi di lui con le altre persone, di quanto lui sia testardo, sovversivo… di quanto sia alla fine come me, anche se con una intelligenza più logico-matematica. Quindi, di preciso, perché mi lamento? Perché mi fa così incazzare questo suo lato? Perché non lo accetto? Cosa vuol dire per una mamma questo detto “ le cose che non sopporti nelle altre persone sono quelle che più odi in te stesso”?
Per me vuol dire paura, paura che tuo figlio possa commettere gli stessi errori, paura che anche lui soffra, che abbia i tuoi stessi punti deboli che lo penalizzino nella vita: ma sopratutto paura di non essere capace a insegnargli quegli aspetti di cui sei lacunosa. Difficile insegnarli l’organizzazione se tu sei l’anti-organizzazione, difficile insegnarli a fare cose in cui tu stessa non credi e quindi non accetti. Spero che sia più tollerante di me, spero che diventi più organizzato, spero che riesca a fare anche cose in cui non crede e a farle con relativa leggerezza, senza metterci troppo l’emozione dentro. Ma lui è come me, in ogni suo gesto c’è un’emozione, e so che purtroppo nella vita questo penalizza, penalizza tanto.
Poi però mi fermo, accolgo questa emozione che credo sia fisiologica, anzi, credo sia importante riconoscerla: vorremmo dare tutto ai nostri figli, vorremmo tramettere loro ogni dote che possa essere per loro risolutiva, efficace e lineare.
Vorremmo, ma non possiamo. Ma sopratutto forse non sarebbe giusto, libero, vitale, sarebbe un copione. Ma poi, davvero è solo amore nei loro confronti? O è anche una sorta di anti-ansia per noi? Perché un figlio che ha tutti 10 a scuola, obbediente, pacifico promette molto bene: siamo già sulla strada buona nel vederlo con un buon lavoro, sposato, un paio di pargoli e magari in una villetta schiera vicino a casa nostra. Ma se questo non fosse la strada per la sua realizzazione? Ma se la sua via non fosse questa e la sua felicità risiedesse in altro, qualcosa di molto più scomodo, articolato, complicato, ansiogeno e chissà cos’altro? Siamo sicuri di sapere cosa è meglio per loro?
La verità forse è che la vera sfida non è crescere figli perfetti per noi, comodi ai genitori, figli su cui non avere rimpianti anche perché credo che qualsiasi cosa facciamo ora di rimpianti ne avremo.
La vera sfida è crescere i nostri figli accentandoli nel profondo, consentendo loro di realizzarsi per quelli che sono, farli sbocciare nella loro natura e aiutarli a trovare quello che è il loro posto nel mondo, che non è detto sia il più comodo per noi. Questo però, forse, è il vero amore. E semplice non è davvero.
Giulia Mandrino
Come la respirazione influenza il nostro cervello
Venerdì, 24 Marzo 2017 14:54Se la meditazione e lo yoga includono una forte componente legata alla respirazione e se, quando siamo agitati, ci sentiamo spesso dire “fai un respiro profondo”, un motivo c’è. Questo motivo è semplicissimo: la respirazione influenza moltissimo il nostro cervello, la nostra mente e il nostro corpo. Ora vi spieghiamo come nel dettaglio.
Come la respirazione influenza il nostro cervello: perché respirare bene significa stare meglio e come la mente viene guidata dal nostro respiro
Più che del normale respiro stiamo parlando quindi del respiro controllato. Perché se ci pensate in entrambi i casi, meditazione o tentativo di calmarsi, quando respiriamo lo stiamo facendo per influenzare in qualche modo il nostro corpo e la nostra mente. Non è un luogo comune, un mito o una leggenda metropolitana: controllare il respiro aiuta effettivamente moltissimo.
Respirare profondamente, con calma e lentamente è un metodo infallibile per calmarsi, poiché è un’azione che influenza direttamente il sistema nervoso. Acquietando il sistema nervoso, la mente si tranquillizza e anche il corpo ne trae beneficio.
Al di là della semplice dichiarazione in questo senso, utilissimo è un recente studio pubblicato lo scorso dicembre sul Journal of Neuroscience: questo studio rivela come il respiro abbia una diretta influenza addirittura sulle funzioni cognitive in generale. In parole povere: respirare bene si ripercuote (in maniera benefica) sul cervello.
La zona del cervello interessata è quella della memoria e dell’emozione. Gli esperimenti che gli esperti hanno condotto hanno portato ad evidenziare come il respiro dal naso coordina direttamente i segnali elettrici olfattivi che attivano a loro volta l’amigdala (la zona adibita a codificare le emozioni) e l’ippocampo (che oltre alle emozioni controlla la memoria). Se ci pensiamo, non è un mistero che gli odori suscitino emozioni, attrazione, esplosioni di sentimenti e ricordi.
Lo studio quindi continua, e rivela come anche in assenza di odori respirare dal naso può influenzare, da solo, le emozioni e la memoria.
Inizialmente, i pazienti studiati erano affetti da epilessia. Gli studiosi hanno scoperto che i ritmi del respiro, anche in assenza di odori, erano in sincronia con quelli della zona olfattiva del cervello e che durante le fasi di respiro l’amigdala e l’ippocampo lavorano in maniera più potente. Insomma: il risultato diceva che respiro e cervello (emozioni e memoria) lavorano in sincronia.
Successivamente si sono analizzati pazienti sani. Il lavoro qui è stato diverso: gli si chiedeva di riconoscere visi impauriti o sorpresi attraverso delle immagini, e si è notato che i visi impauriti venivano riconosciuti più velocemente durante la fase di inspirazione nasale. Durante le fasi di espirazione o di respirazione con la bocca le facce non venivano nemmeno riconosciute.
Si è poi passati alla memoria: agli stessi pazienti è stato chiesto di memorizzare delle immagini, e nel momento in cui gli si è chiesto di ripeterle, si è notato che si ricordavano molto meglio quelle viste durante le fasi di inspirazione nasale.
Il risultato mostra quindi come inspirare sia effettivamente una sorta di “telecomando” del cervello: è per questo che la meditazione, lo yoga e la ricerca della calma passano attraverso la respirazione. Perché è proprio durante l’inspirazione che si ragiona meglio, che il cervello si attiva, così come si attivano le emozioni.
Il respiro tuttavia deve essere considerato in tutta la sua completezza, e cioè come azione che prevede inspirazione ed espirazione. Anche l’espirazione ha un suo ruolo, e respirando lentamente, come dicevamo, il corpo prende moltissimi benefici: si calmano i nervi, il cuore rallenta i battiti e diventiamo più consapevoli del nostro corpo.
Ecco perché la meditazione e la respirazione consapevole dovrebbero essere parte integrante e quotidiana della nostra vita: fin da piccoli si può iniziare a praticarle (con piccoli esercizi di respirazione per bambini e con tecniche di meditazione per bambini) e da adulti continuare con questa buona abitudine che ci aiuta tanto ad attivare fino in fondo il nostro cervello e le nostre emozioni quanto a diventare consapevoli fino in fondo di noi stessi. Corpo e mente.
L’associazione FIAB e la bellezza di usare la bicicletta
Venerdì, 24 Marzo 2017 10:34Noi italiani dovremmo imparare a cambiare le nostre abitudini: è innegabile che la maggior parte di noi si muova in automobile o in motorino. Anche quando le città permettono di pedalare senza fatica e anche quando le condizioni atmosferiche suggerirebbero che è tempo di darsi alla bicicletta!
Già, gli italiani non hanno la buona abitudine, come invece avviene nel Nord Europa o in altre zone del mondo, di spostarsi in maniera ecologica, salutare e divertente. Forse perché pensiamo che non sia comodo (ma basta immaginarsi il traffico, la sistemazione dei seggiolini in macchina e lo stress dei bambini costretti ai lunghi viaggi in automobile per rivedere la nostra posizione, vero?). Quando in realtà è più che comodo (esistono davvero moltissime soluzione su due ruote anche per i genitori con bambini al seguito!), oltre ad essere iper salutare, ecologico e benefico!
Se quindi gli italiani hanno bisogno di una piccola spintarella per farsi entrare in testa che la bicicletta è il miglior mezzo di trasporto, non possiamo non parlare di FIAB, l’associazione onlus il cui obiettivo è diffondere la cultura della bici.
L’associazione FIAB e la bellezza di usare la bicicletta: perché ci piace il loro lavoro e come agiscono per rendere le città italiane più vivibili sulle due ruote
FIAB è un acronimo che sta per Federazione Italiana Amici della Bicicletta. Esatto, è una federazione, poiché la FIAB riunisce più di 130 realtà e associazioni autonome locali con l’intento di diffondere e promuovere l’uso della bicicletta come mezzo di trasporto quotidiano e come strumento perfetto per l’escursionismo e le vacanze.
I motivi sono scontati, ma è sempre meglio ripeterli: la bicicletta è un modo per fare moto quotidiano in maniera tranquilla, è sano, rispetta l’ambiente (e se tutti la usassimo l’inquinamento sarebbe finalmente battuto!), è divertente e chi più ne ha più ne metta.
La FIAB e le sue associazioni sparse per il territorio organizzano quindi spesso manifestazioni a favore di questo mezzo (come ad esempio Bimbimbici, la Paciclica o le Giornate FAI in bici), ma soprattutto cercano di sensibilizzare le amministrazioni (anche con proposte di legge) per far sì che agiscano in senso pratico per rendere le strade più sicure e agibili in bicicletta e per migliorare la vivibilità delle città.
Come dicevamo, la FIAB organizza anche tour ciclo-escursionistici di una giornata, due giorni o periodi più lunghi per apprezzare fino in fondo le potenzialità di questo mezzo! E se siete amanti del genere, perfette sono le loro guide con ciclo-itinerari pubblicati su BicItalia, la pagina della Rete Ciclabile Nazionale curata proprio dalla FIAB (con la mappatura di tutte le piste ciclabili e di tutte le strade percorribili in bicicletta presenti sul territorio nazionale).
Si prodiga poi con attività didattiche nelle scuole per coinvolgere i ragazzi fin dalla più tenera età, con progetti volti a trovare percorsi sicuri casa-scuola, moderare il traffico in prossimità degli istituti, aiutare i bambini ad imparare bene ad andare in bicicletta, diffondendo anche il codice della strada, eccetera; diffonde periodicamente la sua rivista “BC” (che ha anche un suo sito), il giornale perfetto per gli amanti delle due ruote in tutte le salse (cittadina, sportiva, escursionistica...); infine pubblica diversi quaderni tecnici su vari argomenti relativi alla bicicletta, coordinando il Centro Studi Riccardo Galimbeni e diffondendo pubblicazioni e documenti (visibili qui).
Insomma, la FIAB è una federazione davvero completa, che mira a sensibilizzare tanto gli adulti quanto i bambini. Perché imparare da bambini, insegnandogli e portandoli in bicicletta con noi ogni qualvolta sia possibile, significa vedere poi la bicicletta come naturale mezzo di trasporto. E forse questa è davvero la via per far sì che anche da noi le due ruote diventino il trasporto prediletto, preferito, amato e utilizzato da tutti.
Cosa serve davvero ai nostri figli per crescere equilibrati: Peter Gray
Venerdì, 24 Marzo 2017 10:32Non smetteremo mai di ribadirlo: il gioco libero è quanto di più utile si possa dare ad un bambino per la sua crescita. Ma dobbiamo guardare in faccia la realtà: si sta invertendo la rotta, si sta andando verso un mondo (almeno quello occidentale) nel quale il tempo dedicato a questa attività si riduce drasticamente. Ma è pericolosissimo.
In particolare, c’è un libro capace di aprire gli occhi in maniera decisiva, semplice ma efficace: parliamo di “Lasciateli giocare” di Peter Gray (biologo e psicologo al Boston College), uno studio che a nostro parere dovrebbe diventare bestseller e che tutti i genitori dovrebbero avere in casa e leggere all’occorrenza.
“Lasciateli giocare” di Peter Gray: cosa serve davvero ai nostri figli per crescere equilibrati
Peter Gray, il cui libro “Lasciateli giocare” è edito da Einaudi, parte da un presupposto semplicissimo: tra tempo libero riempito con sport e attività (e soprattutto controllato dai genitori) e una scuola fatta di pre seduti al banco e competitività stressante, i bambini d’oggi non hanno più autonomia né spazio per il gioco. Tutto questo ha conseguenze irreversibili sui bambini, che diventano ansiosi e disinteressati.
Con un’analisi dettagliata e lunga ma semplicissima, Peter Gray ci guida così nel modello alternativo da lui proposto, quello che guarda un po’ ai tempi passati nei quali i bambini erano liberi di giocare e di sperimentare il mondo, quello che permette loro di socializzare liberamente, giocare liberamente, curiosare liberamente e, quindi, crescere liberamente. Senza per questo significare anarchia: significa semplicemente tornare a considerare i bambini come esseri pensanti che, quando lasciati liberi di esplorare, si educano (da soli) in maniera naturale.
Il discorso a noi pare naturale. Perché basta davvero guardare al secolo scorso (senza andare troppo lontano, ai nostri nonni. Anche noi eravamo meno pressati!) per capire che i bambini d’oggi non hanno più tempi e spazi liberi. La mentalità è questa: le attività extrascolastiche sono quasi un obbligo (anche se il bambino ci va malvolentieri), i compiti lunghi sono normali e le sere passate sui libri una abitudine, gli incontri con gli altri bambini sono sempre supervisionati dai genitori, i litigi tra i figli sono risolti dalle mamme… Soprattutto, nella mentalità odierna il gioco non può non essere controllato perché sia mai che il bambino si sbucci un ginocchio.
Tuttavia non sempre è stato così: gradualmente si è passati ad una visione educativa scuola-centrica, ma soprattutto adulto-centrica. Poiché è vero che gli sport e le attività extra-scolastiche sono una buona cosa, ma è anche vero che, come la scuola, sono diretti dagli adulti. E, soprattutto, non dimentichiamo che anche se li consideriamo gioco in realtà gioco non sono: il gioco è quello improvvisato, inventato dal bambino che si mette nelle situazioni più strambe o realistiche, e non quello con le regole dettate dagli adulti e soprattutto non quello controllato costantemente da loro.
Non viene da chiedersi quanto questo sia devastante? E non viene da fare 2+2 quando si pensa all’impennata dei disturbi psichici e mentali nei bambini negli ultimi anni? Quanti sono i bambini a cui sono stati diagnosticati disturbo dell’apprendimento, iperattività, depressione infantile e compagnia bella? Purtroppo tanti. E anche se le cause sono molteplici, sappiate che anche il non lasciarli liberi nel gioco, che è l’attività principale responsabile della loro crescita ed educazione, ha le sue responsabilità.
Peter Gray nei suoi lunghi anni di studi ha analizzato questo aumentare dei disturbi, e al contempo ha misurato i livelli di creatività dei bambini. Gradualmente, questi stanno sempre più diminuendo, cadendo nella banalità. Insomma: i bambini non sono più creativi, non usano più la fantasia. Dal 1985 al 2008 i test che ha condotto tra i ragazzi delle scuole americane hanno mostrato un calo dell’85% (sì, dell’85%!) della media: i ragazzi non sono più in grado di dare molte risposte alle domande, ma non sono nemmeno più capaci di inventare risposte non scontate o di prendere spunto da elementi differenti.
Non giocare liberamente è la causa di tutto questo, poiché solo giocando come vogliono loro, quando vogliono loro e con chi vogliono loro (e non supervisionati, come dicevamo, dai genitori) i bambini sviluppano la loro elaborazione creativa. Non pensate che questo avrà conseguenze sulla loro vita adulta? Sul loro lavoro? Sulle loro relazioni? Sì. Le avrà.
Il suggerimento di Peter Gray? Semplice. Iniziate a pensare fuori dai vostri schemi genitoriali imposti dalla società e iniziate a lasciare liberi i bambini a casa, in giardino, in spiaggia… E sì allo sport, ma non sempre: le regole vanno spinte da parte, nel gioco vero.
Solo così i bambini di oggi si costruiranno la solida base che gli servirà da adulti per stare in piedi a livello sociale, intellettivo, fisico ed emotivo.
Il legame tra mamma e bambino passa anche dal profumo
Venerdì, 24 Marzo 2017 08:08Come per tutti gli animali, anche per noi umani vale la regola dell’odore. I nostri legami sono rafforzati anche dal profumo di chi ci sta accanto. E non vale solo per gli amanti. Vale soprattutto per il rapporto madre-figlio, che inizia nell’utero e continua dopo la nascita.
Il legame tra mamma e bambino passa anche dal profumo: come l’amore passa anche dagli odori e come rafforzare questo rapporto attraverso creme delicate che inebriano i sensi
L’emozione gioca moltissimo a favore del rapporto e qui non vi è alcun dubbio. Tuttavia dobbiamo ricordarci che anche noi siamo una specie animale, e i feromoni sono alla base della comunicazione verbale tra gli esseri viventi! Nel caso della maternità, questi feromoni vengono scambiati con il bambino già durante i mesi passati nell’utero, continuando poi a viaggiare durante l’allattamento e l’accudimento. Proprio nell’utero infatti inizia questo scambio che permette al bambino di lanciare segnali chimici alla mamma e di recepire quelli che lei lancia a lui, in modo da conoscersi già reciprocamente ed essere pronti per i mesi successivi alla nascita.
Questi feromoni fanno sì che la mamma e il bambino, in primis, si riconoscano quindi anche solo dall’odore, prima che attraverso la vista o il tatto. Questo riconoscimento attraverso l’odore viene poi rafforzato di molto durante l’allattamento: il bambino sente tutti gli odori provenienti dalle ghiandole del seno e del capezzolo e quelli derivanti dalle ghiandole delle ascelle, e riconosce quel seno come “suo”. Questo è un comportamento assolutamente naturale, che se nell’uomo è lieve negli animali è decisivo: i gattini, ad esempio, riconoscono addirittura uno dei vari capezzoli della mamma e lo fanno loro, scegliendo sempre lo stesso proprio per l’odore che secerne. I topini, addirittura, potrebbero morire se la madre non si leccasse il capezzolo prima di nutrirli: leccandolo, infatti, lo impregna dell’odore della sua saliva e i piccoli, che alla nascita sono ciechi, possono trovare la via verso il nutrimento.
I bambini umani, quindi, non morirebbero di fame (anche perché spessissimo non sono allattati ma nutriti con il biberon). Tuttavia certamente preferiscono il profumo familiare della mamma, e se questo cambia lo sentono. Le creme e i profumi utilizzati nelle prime settimane di vita, quindi, rimarranno impressi in loro per sempre e tenderanno a preferirli e a riconoscerli come “buoni” e rassicuranti.
Allo stesso modo, il profumo del bambino influenza la mamma. Quante volte le madri annusano teneramente i propri figli? E quanto spesso annusano la testa, i capelli? Questo perché il nostro corpo reagisce proprio all’odore delle zone che producono più ormoni, e la testa è una di queste. Annusando il bambino la madre (atavicamente) lo riconosce, crea un legame, lo sente suo. E il discorso, qui, vale anche per le mamme adottive, che sin dai primi momenti iniziano a scambiare con il bambino questi odori. Sarà un processo più lungo, dal momento che il piccolo ha vissuto in un altro utero e ha sentito odori diversissimi, ma piano piano sarà anche questo odore a rafforzare il rapporto e a fare di questi due “sconosciuti” una famiglia con legami non solo affettivi ma anche fisici!
Anche perché questo legame olfattivo non si fermerà ai primi mesi o al periodo in cui il figlio è un neonato o un infante, ma durerà per tutta la vita. Ci sono addirittura storie documentate e studiate di madri e figli dati in adozione che si sono riconosciuti, da sconosciuti, proprio per l’odore, per una sensazione unica che hanno provato passandosi accanto.
Insomma, anche se coscientemente non riusciamo a capirlo, gli odori scatenano emozioni fortissime. Si imprimono nella memoria della mamma, che li ricorderà per sempre, e in quella del bambino. Fateci caso: dopo il parto, le ostetriche prendono il bambino, lo lavano bene, lo vestono e ve lo rimettono tra le braccia. Quanto è buono quel profumo di cremina e di corpo appena lavato? Bene. Quel profumo, anche se non è quello specifico della pelle, vi rimarrà nella mente per sempre. E sentirlo vi farà stare bene, in pace.
I prodotti che si usano durante il momento del cambio, delicatamente profumati, contribuiranno dunque a costituire queste sensazioni di benessere. Soprattutto la sera. Insomma, il nostro consiglio è quello di non sottovalutare il potere delle creme e dei prodotti, che, se scelti con attenzione e ponderazione, avranno un ruolo decisivo nel legame e nel benessere del vostro rapporto: sceglietene di naturali, delicati, e prendetevi almeno cinque minuti a sera per fermarvi a coccolare con un lieve massaggio il vostro bimbo, assaporando con tutti e cinque i sensi quel momento unico di bonding con il piccolo!
È bene però soffermarsi sulla naturalezza di questi prodotti. In commercio ne esistono di forti, invadenti, con profumi impattanti che spesso, anche se non ce ne accorgiamo, ci stimolano un senso di repulsione. Magari non ce ne accorgiamo, ma l’intensità del profumo è pericolosa, e stravolge questo delicato rapporto!
Come sempre noi di mammapretaporter cerchiamo quindi i migliori prodotti naturali e studiati con attenzione e serietà. In questo senso, la gamma perfetta per rafforzare il legame olfattivo è certamente quella che si concentra su questo aspetto. Conoscete “Fiocchi di riso”?
“Fiocchi di riso” sta certamente nei primi posti in classifica quando si parla di prodotti per bambini che seguano le regole di rispetto e naturalezza. E in questo caso troviamo che i loro prodotti siano assolutamente perfetti: “Fiocchi di riso” ha infatti studiato profumazioni che non sono solo naturali, ma anche tollerate benissimo dalla pelle dei bambini. Insomma, non sono né fastidiose né impattanti e non intaccano l’equilibrio olfattivo che si crea tra mamma e bambino. Anzi, lo rafforzano!
Dall’Olio emudermico perfetto per il massaggio serale fino al detergente “Sa di me” (che addirittura ha una profumazione di vaniglia delicatissima studiata apposta per esaltare l’odore naturale della pelle!), la linea “Coccole Quotidiane” è assolutamente ciò che fa per noi, che non rinunciamo mai a quei dieci minuti di legame profondo che passa anche attraverso il nasino.
Mamma Pret a Porter non è una testata medica e le informazioni fornite hanno scopo puramente informativo e sono di natura generale, esse non possono sostituire in alcun modo le prescrizioni di un medico o di un pediatra (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione), o, nei casi specifici, di altri operatori sanitari (odontoiatri, infermieri, psicologi, farmacisti, fisioterapisti, ecc.) abilitati a norma di legge. Le nozioni sulle posologie, le procedure mediche e le descrizione dei prodotti presenti in questo sito hanno un fine illustrativo e non devono essere considerate come consiglio medico o legale.
8 libri sull’educazione all’aperto
Giovedì, 23 Marzo 2017 14:48Giocare all’aperto? Uno dei pilastri dell’infanzia. Non solo perché fa bene al fisico e allo spirito, ma anche perché fa bene alla mente e alla crescita. È un dato di fatto: i bambini che spendono più tempo nella natura e non al chiuso oltre ad avere un sistema immunitario più forte sviluppano migliori capacità motorie fini. E imparano direttamente dall’esperienza, ampliando il loro bagaglio intellettivo. Ma i motivi per scegliere l’oudoor non si fermano qua!
Ecco allora 8 libri sull’argomento per capire meglio cosa significa per un bambino stare all’aria aperta e cosa possiamo fare noi genitori per cambiare la nostra mentalità “chiuso-centrica” che ci fa preferire le aule scolastiche e le pareti di casa ad una bella passeggiata quotidiana.
8 libri sull’educazione all’aperto: le letture imprescindibili per capire quanto la natura e l’educazione outoor facciano bene ai nostri bambini
- "A piedi nudi nel verde" di Albertina Oliviero e Anna Oliviero Ferraris mette in luce come la vita odierna non sia fatta per i bambini. Ritmi assurdi, chiusure in casa, città che hanno inghiottito il verde e quindi assenza di ambienti naturali adatti al contatto quotidiano con il verde... Un libro che è un suggerimento per cercare di cambiare le abitudini, uscendo più spesso e staccandosi dal televisore e dalla playstation.
- Iniziamo da “La scuola nel bosco” di Michela Schenetti, Irene Salvaterra e Benedetta Rossini. Ne abbiamo parlato spesso, delle scuole all’aperto, come l’asilo nel bosco o la scuola al mare di Ostia: queste tipologie di scuole preferiscono sempre, quando possibile, le uscite all’esterno piuttosto che le lezioni frontali in classe, e questo libro spiega come ci sia urgenza di riportare i bambini a questo contatto con la natura, ormai perso. Un contatto che dovrebbe essere continuativo, e non sporadico come siamo ormai abituati a pensarlo! Ecco quindi la loro esperienza, utile per capire quanto siano innovative e valide le scuole nel bosco e per costruire nuovi percorsi di educazione attiva.
- Anche Monica Guerra nel suo “Fuori - suggestioni nell’incontro tra educazione e natura” ha raccolto il contributo di diversi autori per analizzare l’educazione naturale e il rapporto tra i ragazzi e la natura, intesa come elemento dalle potenzialità educative incredibili.
- Alexandra Schwarzer ha scritto invece “Giocare tra gli alberi”. Il sottotitolo dice molto: “Attività nel bosco con le corde secondo la pedagogia della natura”. Insomma, questo libro, attraverso varie attività con le corde e con i nodi, suggerisce come passare più tempo nella natura sfruttando quei momenti per giocare e al contempo imparare.
“Outdoor education - L’educazione si-cura all’aperto” è il prossimo libro che vi proponiamo. Leggete bene il titolo: “Si-cura”. Già, perché spesso per i genitori uscire all’aperto significa entrare nella bocca del leone, gettando i bambini in pasto ai pericoli più temibili del mondo. Certo che il mondo esterno è pieno di pericoli. Ma è anche il luogo migliore per imparate. E anche il rischio è un valore da fare proprio, no? E il beneficio è sempre quello dell’educazione all’aperto, e cioè l’insegnamento diretto da parte della natura e l’esperienza concreta del bambino che può imparare attraverso la sua curiosità.
- Forse dal titolo non vi sembrerà pertinente, ma questo libro è interessantissimo se letto in quest’ottica: “Pedagogia hip hop” è uno studio di Davide Fant che ha preso ad esempio i giovani ragazzi cresciuti nei ghetti newyorkesi, culla dell’hip hop, per capire come abbiano fatto a sviluppare capacità incredibili di resilienza, autonomia e serietà. Parla di hip hop, certo, ma parla anche di come questi ragazzi siano cresciuti in libertà, e di come questa libertà possa essere un valore inestimabile.
- Anche Maria Montessori era una sostenitrice della vita all’aria aperta (e sono moltissime le attività montessoriane che si possono svolgere fuori). Ecco quindi “In giardino e nell’orto con Maria Montessori”, il libro che raccoglie i pensieri della pedagogista riguardo alle potenzialità educative degli spazi aperti.
- Infine ecco “Evviva il maltempo”, un libro che raccoglie più di settanta attività da svolgere con i bambini all’aperto anche quando piove, anche con la neve, quando c’è freddo e quando non ci sembra il caso di uscire. Perché è sempre il caso! Lo diciamo sempre: non esiste cattivo tempo, solo cattivo abbigliamento!
Viva i Mumin!
Giovedì, 23 Marzo 2017 10:07(Foto credits: Moomin.com)
Conoscete i Mumin? Sapete quanto amiamo la Finlandia e la sua avanguardia in fatto di istruzione ed educazione pedagogica, quindi non possiamo negarvi che siamo innamorate anche del simbolo per eccellenza dell’infanzia finlandese: esatto, i Mumin!
In realtà si chiamerebbero Moomin, ma l’italianizzazione è passata anche da loro. Ecco quindi i piccoli troll in forma di ippopotamo che affascinano da più di mezzo secolo la Finlandia, ma che sono arrivati in tutto il mondo.
Viva i Mumin! Vi presentiamo i piccoli esserini finlandesi per bambini nati dalla matita di Tove Jansson
Guardandoli, sembrano ippopotami bianchi. Ma sono molto di più! Nella mente di Tove Jansson, l’illustratrice che li ha creati (nata a Helsinki nel 1914), questi esserini buffi che vivono a Muminland sono personaggi naïf, ingenui e bonaccioni che attraverso le loro avventure insegnano ai bambini ad apprezzare tutti gli aspetti della vita, anche quelli spaventosi e meno belli. Perché nella loro ingenuità Troll Mumin, Mamma Mumin, Papà Mumin e tutti i loro amici e parenti - Adipella, la fidanzata del figlio; la vicina di casa signora Sgarzolini, apprensiva e ossessionata dall’ordine; Sniff, Mietta, Pipetta, Puzzetta... - prendono la vita sempre con il sorriso, in maniera un po’ sprovveduta, simpatica e avvincente.
Tove Jansson li disegnò per la prima volta, da bambina, sul muro del suo bagno, dopo una lite con il fratello. Voleva creare un personaggio brutto, spaventoso, e nacque questo “troll” che in realtà si è trasformato in un tenerissimo ippopotamo antropomorfo. Le prime volte li utilizzò come corredo a libri per l’infanzia da lei stessa scritti, ma non ci volle molto perché le illustrazioni diventassero esse stesse protagoniste, in fumetti (inizialmente commissionati dal londinese The Evening News e poi pubblicati anche in Italia sulla storica rivista comic “Linus” e su “Alterlinus”), libri, cartoni animati, film e gadget.
(Foto Credits: Moomin.com)
Le illustrazioni, nella loro semplicità, sono davvero bellissime e riconoscibili, d’altri tempi, e le storie sempre avvincenti e divertenti: i piccoli lettori, infatti, una volta che entrano nel meccanismo della famiglia Mumin capiscono che tutto non è preso sul serio, nemmeno i casi “thriller”, nemmeno i poliziotti. Perché alla fine il senso è proprio quello di prendere la vita in prospettiva, trovando il divertente dappertutto, esaltando quell’ingenuità che non deve essere per forza un difetto.
Un’altra bellissima caratteristica di questi libri per bambini è l’amore per la natura che emerge da ogni pagina. Una caratteristica che deriva direttamente dalla vita dell’autrice: nel 1920, infatti, la sua famiglia si trasferì sull’isola di Pellinge. Qui Tove vedeva panorami bellissimi e scorci naturali unici, gli stessi che la sua matita ha poi trasposto nei libri, sia illustrati che non, dei Mumin. Anche la famiglia Mumin, infatti, è innamorata del mare, delle barche e della vita all’aria aperta. E anche la Seconda Guerra Mondiale ha influenzato questo amore: se prendiamo ad esempio il libro “Mumin e la cometa”, è palese la metafora della cometa che quasi distrugge la valle dei Mumin che rappresenta la bomba atomica che ha raso al suolo Hiroshima e Nagasaki.
In Italia si possono ancora trovare moltissimi libri delle serie dei Mumin. Molti sono inediti nella nostra lingua, altri non si trovano più in commercio (ma chiedete in biblioteca!). Molti altri, pur essendo cult, invece si trovano: “Le memorie di papà Mumin”, ad esempio, o “Magia di mezza estate”, “Magia d’inverno", “Racconti della valle dei Mumin”. E poi quelli illustrati, come “E adesso che succede?”, “Piccolo Knitt tutto solo”, “Mumin e i briganti”, "Mumin e i marziani”, “Le follie invernali di Mumin” e “Mumin e la cometa”. Questi ultimi sono una (relativa) novità: la casa editrice Black Velvet, prima di chiudere i battenti, ha infatti riproposto i libri di Tove Jansson in bellissimi cartonati che non potranno mancare sulle librerie dei nostri figli!
(Foto Credits: Moomin.com)
E poi sul sito ufficiale dei Mumin (anzi, dei Moomin!) si trovano anche dei bellissimi poster: non sono meravigliosi per le camerette dei bimbi?
Quando un piccolo cartone animato insegna una grande filosofia
Mercoledì, 22 Marzo 2017 14:46Recentemente ci siamo imbattuti in un video su Vimeo, la piattaforma sulla quale i video-maker e i creativi caricano le loro realizzazioni.
L’autrice si chiama Kaukab Basheer, è californiana e per lavoro disegna personaggi animati e inventa storie. Insomma, è una creatrice di cartoni animati, una di quelle professioni che affascinano tantissimo i bambini.
Il video di cui stiamo parlando si intitola Dechen, dal nome del suo piccolo protagonista, un apprendista monaco tibetano impegnato nella vita di monastero. È bellissimo, e il messaggio che arriva dopo i cinque minuti di visione è davvero importantissimo.
Quando un piccolo cartone animato insegna una grande filosofia: “Dechen”, dell’artista Kaukab Basheer, è un piccolo gioiello d’animazione che ci insegna i limiti dell’attaccamento materiale e affettivo
Una favola è degna di tale nome solo quando alla fine insegna una morale. Lo è dai tempi dei miti dei nostri antenati, lo è da quando Andersen raccontava le avventure della Sirenetta e da quando i fratelli Grimm inventavano le loro storie tra il divertente e il macabro.
Anche questa è quindi una fiaba, una favola. Cortissima, ma pur sempre una fiaba. Potrebbe un po’ ricordare il piccolo principe, dal momento che il soggetto è un piccolo bambino che si prende cura della sua rosa. Ma non è così, perché, primo, questo bambino è un monaco tibetano in erba e, secondo, il messaggio dietro all’accadimento di questa rosa è assolutamente diverso.
Se infatti il Piccolo Principe insegnava l’importanza di prendersi cura delle altre persone, in questo caso Kaukab Basheer ci mette davanti ad un’altra questione, e cioè a quella dell’essere troppo possessivi. Con le cose ma anche con le persone.
L’attaccamento è infatti una buona cosa, se parliamo si affetto e di accudimento (proprio come nel caso del Piccolo Principe di Antoine Saint Exupery). Ma quando diventa estremamente legante e possessivo ecco che si trasforma in qualcosa di sbagliato e di negativo.
Quando ci prendiamo a cuore una persona, una situazione o un oggetto a noi particolarmente caro, non dobbiamo mai dimenticarci del suo essere. Perché noi siamo qualcuno, e lui è qualcosa. E non possiamo forzarlo ad essere qualcosa che non è, o a sopportare una situazione che non gli appartiene.
Non solo: le difficoltà fanno parte della vita, non esiste felicità senza tristezza. E come in questo video dobbiamo provare a fare come Dechen: lasciare andare, perdere il controllo per un attimo, andare nella giusta direzione e capire che anche se le cose non ci appartengono o non stanno sotto al nostro controllo non significa che sia sempre negativo. Ogni situazione può insegnare qualcosa, ogni situazione può essere guardata da un altro punto di vista, ma soprattutto ogni situazione, per quanto dolorosa o sfuggente al nostro controllo, ha sempre una soluzione, che anche se fatichiamo a vedere o ad accettare può rivelarsi davvero benefica.
Infine: amare non significa possedere. Non significa cercare di cambiare qualcuno, pur pensando di fare il suo bene. Non significa non lasciargli essere ciò che davvero è perché abbiamo paura che si faccia male! Prendiamo gli affetti con più tranquillità, accettiamo gli altri per quelli che sono e senza provare a cambiarli accompagniamoli semplicemente nel loro cammino. Accanto a noi, mano nella mano. Ma con una mano che non strattona, spinge o tira; una mano che semplicemente c’è.
Arriva in Italia l’autore di Diario di una Schiappa!
Mercoledì, 22 Marzo 2017 13:46Ne siamo certe: se i vostri bambini amano leggere, conosceranno sicuramente Greg Heffley. Chi è? Ma naturalmente il protagonista di “Diario di una schiappa”, la serie letteraria per ragazzi con protagonista un bambino alle prese con la vita (terribilmente difficile!) alle scuole medie.
L’idea del libro (che poi è diventata una serie) è dell’autore Jeff Kinney, scrittore statunitense che da dieci anni a questa parte regala ai ragazzi le avventure di Greg, tra amicizia, scuola, recite, avventure, disavventure e problemi quotidiani.
A fine mese Jeff sarà in Italia: perché non approfittarne per portare i vostri figli a conoscere la penna che sta dietro a uno dei loro idoli?
Arriva in Italia l’autore di Diario di una Schiappa: Jeff Kinney sarà a Milano, Amatrice, Norcia e Bologna, un’occasione imperdibile per conoscerlo
Noi di mammapretaporter seguiamo una filosofia ben precisa quando si tratta di libri: appassionare un bambino alla lettura non è impossibile, nemmeno se apparentemente la odia proprio. Il sistema è semplicissimo: abituarlo fin da piccolo a vedere (con il nostro esempio adulto) la lettura come un passatempo piacevole e normale, ma soprattutto lasciargli leggere ciò che vuole e quando vuole, senza storcere il naso, senza forzare letture troppo complicate ma senza nemmeno obbligare a non leggere qualcosa perché, beh, ha 6 anni e il libro dice “dagli 8 in su”.
E poi lo dicono anche dalla casa editrice (Il Castoro, quella del nostro amatissimo “Buonanotte”): Jeff Kinney con Diario di una Schiappa è riuscito a conquistare tantissimi “lettori riluttanti!
“Diario di una schiappa” (vincitore del premio Andersen della letteratura per ragazzi), come molte saghe per ragazzi, è davvero un bel prodotto. Questo perché è semplicissimo e parla ai ragazzi in maniera naturale, trattando tantissimi argomenti quotidiani e importanti, sempre con il sorriso ma anche con una buonissima morale.
Sono moltissimi i bambini che ne sono appassionati (o che, siamo sicuri, si appassioneranno in futuro) e quindi l’occasione è d’oro: a fine marzo, infatti, è previsto un piccolo tour che porterà Jeff Kinney in giro per l’Italia! Il 30 marzo alle 17.30 sarà a Milano e il 2 aprile alle 11.30 a Bologna (in entrambi i casi incontrerà i piccoli lettori presso le Librerie Feltrinelli), mentre il 31 marzo passerà addirittura a salutare, dandogli il suo sostegno, i ragazzi delle zone colpite dal terremoto, fermandosi nelle scuole di Amatrice e Norcia.
I bambini potranno incontrarlo, ascoltarlo, fargli tutte le domande che vogliono, scoprire la sua storia e guardare un video dedicato agli aneddoti e ai personaggi della serie. E poi via con i selfie con l’autore!
Jeff Kinney lo sa: la promozione della lettura per i ragazzi passa certamente attraverso il divertimento, e non l’imposizione (sostiene infatti da sempre le biblioteche e le scuole pubbliche per far sì che siano attente al tema lettura!). Per questo l’incontro con lui pò diventare un’occasione in più per mostrare ai bambini quanto sia bello questo mondo, quello dei libri, questi sconosciuti che ti portano in mondi differenti e ti fanno vivere milioni di vite diverse!