Fivet: chi sono io per parlarne?
Prima che scorriate l'articolo, con in testa questa domanda, ne sfato subito l'aspettativa: NESSUNO. Si, non sono proprio nessuno per parlarne, ma siccome in maniera tangenziale è la terza volta che ne raccolgo i racconti e ne tasto i segni e le ferite, ho deciso che pur non essendo nessuno, forse posso riportare parte della mia esperienza di ascoltatrice. In questo periodo per me è un tema caldo. Una delle mie più care amiche si è avventurata in quell'inferno. Non trovo le parole, non so esserle vicina come vorrei, nonostante lei me lo chieda mettendomi al corrente di come sta. Ora, dopo due fivet fallite, è depressa al punto che ha sospeso il lavoro. Nonostante ciò, è tale ed ardente il desiderio di diventare madre che vuole provare per la terza volta. Non ho parole giuste... in fondo, il fatto che io sia mamma, per quanto non ci siano gelosie ed attriti, mi rende, con la mia esperienza, come una pozione urticante su di una pelle sottile e screpolata. Per qualche giorno mi sono chiesta perché la mia amica non mi risponda ad un messaggio... sono preoccupata, ma non so se faccio meglio a rispettare il suo silenzio o pregarla di darmi notizie... Insomma, un bel pasticcio, che rischia per giunta di indebolire un'amicizia che ritengo familiare e calda.
Cerco ora di ripercorrere quanto avviene, rifacendomi ai racconti della mia amica che chiamerò Sabrina per l'occasione. Dopo avere preso la decisione di provare una Fivet che sta per Fecondazione in vitro con impianto dell'ovulo fecondato, bisogna tassativamente passare per un'importante cura ormonale. Sabrina ha problemi di ipotiroidismo e questa condizione non le giova affatto. Una serie di iniezioni anticipano la cura con le gonadotropine, in una dose tale da mettere in atto un'iperovulazione. Sviluppandosi più follicoli viene prodotto un numero maggiore di ovociti. Al termine di questa cura che viene monitorata tutti i giorni per capire il grado di maturazione dei folicoli, in anestesia totale, vengono prelevati gli ovuli. Sabrina si è sentita sola e mi racconta il paradosso della procreazione in un ambiente medicalizzato, come se stesse avvenendo una qualsiasi operazione chirurgica. Tutto intorno a te è freddo ed asettico, anche se hai appena fatto il gesto che innescherà l'amore che ancora non conosci, ma che immagini essere il più grande della vita.
Al termine del prelievo si rimane sulle spine. Una parte di te, però è nelle mani di sapienti medici che, si spera, sapranno scegliere l'ovulo giusto. Sono loro, infatti, che mettono il tuo ovulo nella condizione di essere fecondato e tentano la fecondazione. Se questa avviene, da quell'atto, in qualsiasi momento del giorno e della notte, puoi essere chiamata dall'ospedale per presentarti e metterti a disposizione per l'impianto. L'impianto avviene in maniera meno invasiva, ma egualmente asettica. Se vengono fecondati più ovuli, possono essere impiantati fino ad un massimo di tre ovuli. Si è messa questa restrizione perché in passato si metteva a rischio la vita di madre e bimbi a seguito delle gravidanze multiple. Oggi se ne impiantano un massimo di tre, ma di solito "ce la fanno" uno o al massimo due degli embrioni. La seconda volta che tentò fu inizialmente un successo. Gliene vennero impiantati due. La gravidanza sembrava essere iniziata. Nella sua testa cominciava a concretizzarsi quell'idea di vita nuova, il pensiero di non essere più sola si faceva spazio nella sua mente. Riusciva già a pensare a ciò che sarebbe servito per la casa... ma al terzo mese qualcosa è cambiato. Sentì che dentro di lei era avvenuta una mutazione. Era tale e forte la sensazione che non fu una sorpresa sapere che nella sua pancia desiderosa non c'era più vita. No, non fu una sorpresa, ma un lutto, un fallimento, uno scherzo del destino che sembra penalizzarti quanto più forte desideri qualcosa. Per suo marito ci fu anche la sorpresa choccante di una notizia che non poteva intuire in anticipo o vagamente prevedere. Da allora hanno dentro un lutto, non solo come qualcosa che non è arrivato, ma come qualcosa che c'è stato e che non c'è più. Mi chiedo che cosa spinga tante donne a vivere un'esperienza così angosciante. Forse ci sarei arrivata anche io... non posso saperlo, ma non ho mai pensato ad un figlio come a qualcosa per me... Ho sempre pensato che forse sarebbe successo... Ma io non faccio testo perché nel suo "succedere" quella bomba che è mettere al mondo una creatura cui sei legata per la vita, ha sconvolto la mia vita al punto che non sono in grado di mantenere tutto saldo. Quindi non sono all'altezza di parlare di cose che succedono e basta, senza portarne i segni addosso.
Penso solo che un figlio è un dono e forse quando ci accaniamo per ottenerlo stiamo combattendo in parte contro noi stesse... Vedo in Sabrina quella foga autodistruttiva che la porta a deprimersi, a farsi del male, pur di ottenere quel risultato. Se si amasse e rispettasse, mi dico a volte, non si chiederebbe tanto...
Sara Donati
saradonatifilmaker.com