Fobie
Se mi si parla di Uomo Nero, Babau, mostri, paure, fobie e cose da accapponare la pelle il mio primo pensiero va al dentista.
Devo premettere di non aver mai subito traumi o grandi interventi, la mia è semplice paura anzi paurissima, quella palpabile, quella visibile, terrore allo stato puro.
Le volte che ci vado, per un controllo, per la pulizia a volte per piccole carie mi fanno la prima immensa cortesia, conoscendomi, di fissarmi un appuntamento praticamente nell’immediatezza del secondo per evitarmi l’insonnia nelle notti a venire e di pensare e ripensare al terrore che proverò, alla paura che avrò avendo paura anche solo di avere paura...
L’odore, già solo quello mi fa venire voglia di piangere, tutti quei ferretti appuntiti che luccicano sotto l’impietosa luce fredda della lampada.
Appena entro esordisco con un timido saluto, il terrore è palesemente dipinto sul mio volto, lui gentilissimo mi saluta “buongiorno” e io a metà tra un attacco di panico ed uno isterico ribatto “giorno sì, buono mica tanto visto che sono qui”.
Sorridono e mi fanno accomodare su quella scomodissima poltrona dove ti senti scivolare come fosse cerata, fredda come un cadavere e piccola che temo un giorno cadrò su un fianco; lì mi prende un effetto tensione tipo rigor mortis, non appoggio nemmeno la testa, resto sospesa fino alle spalle, irrigidisco le gambe dritte dritte... tutto un lavoro di addominali... e lui che appena cerca con una piccola spinta di farmi appoggiare allo schienale si vedono le gambe che come un contrappeso si sollevano ulteriormente come una barchetta sulle onde; il fatto è che questa mia posizione mi porta ad uscire dallo studio a fine seduta piena di dolori... ai denti? No addominali glutei e cosce, proprio come una lezione intensiva di GAG! Ho sempre la speranza che tutto sto’ irrigidimento mi porti quantomeno un giovamento fisico, non so... gambe toniche... addominali scolpiti... sederino sodo e alto tipo zainetto come Jennifer Lopez.
Mi ci vuole quel tot prima di farmi convincere ad aprire la bocca e quando esco di lì mi rendo conto che gli escamotage che hanno usato sono quelli che utilizzano per i bambini: “apri... un pochino di più... guarda in alto... brava ma sei proprio bravissima...”; mentre loro cercano di lavorare vezzeggiandomi e consolandomi io emetto come un rantolo continuo, come una lenta agonia, come un canto gutturale di morte che mi esce dal petto e sale fino alla gola.
Loro (poveracci) già partono scoraggiati, solo per infilarmi lo specchietto in bocca devono vezzeggiarmi come fossi la migliore al mondo e partono con la frase “bravissima guarda abbiamo quasi finito”... so che mi stanno coglionando ma fingo di crederci anche solo per la mia salute mentale che lentamente mi sta abbandonando.
Seconda fare traumatica quando mi controllano e non parlano per un po’, poi dicono “Mmmm guarda qui” all’assistente e io già sento che le mutande si fanno pesanti... non so se avete capito...
Successivo step: l’anestesia, io ne voglio tanta e per qualunque cosa... erano così disperati l’ultima volta che dovevano togliermi il dente del giudizio e io piangevo come mi avesse investito un treno merci che mi hanno persino proposto un’anestesia con la mascherina soporifera che ti stordisce e che solitamente usano per gli interventi sui bambini!
La cosa che però mi manda di più al macero è che, sempre per calmarmi, continuano ripetutamente a chiedermi come va e come sto: il problema è che tra le mani del dentista, quelle dell’assistente, l’aspirabava ed i ferretti non è che mi resti molto margine di risposta.
Finito tutto l’ambaradan, dolorante, rigida e madida di sudore arriva un’altra parte dolente: il conto.
Ora mi spieghino i dentisti perché togliere costa come mettere, mi dicano come delle medicazioni di cemento grandi come capocchie di spillo costano più dei brillanti a parità di dimensione, mi illuminino su come mai una seduta di un’ora da loro ancora non mi ha fatto venire un sorriso perfetto alla Durbans e nemmeno gli addominali a tartaruga.
Elena Vergani, autrice di Il Mondo è bello perchè è variabile