L’importanza della comunicazione con i bambini
Spesso non diamo peso alla comunicazione. O meglio. Confondiamo i pianti, le richieste strane o le mille domande con un eccesso di bisogno di attenzioni o con un atteggiamento stressante da parte dei figli, quando invece dovremmo ricordare, sin dai primi mesi, che tutte queste azioni rappresentano proprio la comunicazione dei figli nei nostri confronti.
Un bambino piange per una bua piccolissima: “sta solo frignando”.
Una bambina ripete al papà, nel negozio di giocattoli, quanto sia bella quella bambola, ancora e ancora: “e basta, non te la compro, fai silenzio un attimo”.
Un altro bimbo chiede alla mamma: “Perché hai usato il cucchiaio di legno per cucinare?”: “Perché si usa questo, che domanda idiota”.
Sembrano atteggiamenti orribili, eppure sono molti i genitori che zittiscono i figli con un “Basta” seccato. E anche noi sicuramente a volte ce lo lasciamo sfuggire, quando siamo stressati, esasperati o proprio stanchi.
Tuttavia dovremmo sempre ricordarcelo: i bambini non sono esigenti in maniera futile; i bambini non piangono per capriccio. I bambini COMUNICANO.
L’importanza della comunicazione con i bambini: perché è fondamentale capire che la comunicazione è uno dei pilastri per crescere bene, sin dai primi anni e non solo in adolescenza
La conseguenza di un atteggiamento del genere (e cioè dell’abitudine a sminuire le richieste o a tacciare i pianti semplicemente come “capricci” o richieste di attenzioni senza senso) è a lungo termine: comportandoci in questo modo non potremo poi lamentarci se a nove, dieci, undici, dodici anni e via dicendo i nostri figli svilupperanno atteggiamenti chiusi, arroganti, silenziosi, strafottenti (a seconda dell’indole e della situazione familiare). È normale: se i bambini, da piccoli, non si sono sentiti ascoltati e non sono stati abituati a parlare (e a parlare venendo tenuti davvero in considerazione), chi glielo farà fare di comunicare?
La comunicazione dovrebbe essere intesa innanzitutto come la linea che sta tra il mondo e l’essere umano. È quindi fondamentale e basilare per la salute sociale delle persone, e quando trascurata diventa davvero pericolosa, poiché non permette all’individuo di avere le competenze per potersi esprimere nel mondo (e non solo in famiglia).
Questa comunicazione deve quindi essere allenata sin dai primi mesi, dai primi anni. Perché, udite udite, nella relazione genitori e figli la comunicazione è interamente responsabilità di mamma e papà. O meglio: parte da loro, sono loro che la costruiscono, che la rendono un’abitudine. Perché anche se il bambino ha il bisogno innato di comunicare, se questa comunicazione non viene allenata ma viene stroncata, allora si creerà un cortocircuito.
Naturalmente la comunicazione passa per diversi stadi, in base all’età del bambino (e a questo proposito il libro “Comunicazione e linguaggio nei bambini” è molto utile per comprenderla). Inizialmente si tratta del pianto (da non intendere mai come capriccio, ma come espressione di un bisogno profondo, e non di un “vizio”!), del contatto visivo, del copiare le espressioni facciali degli adulti... Dopodiché si passa alla comunicazione anche verbale. Sta al genitore, quindi, assecondare questa comunicazione basilare del bambino, che non ha ancora tutti gli altri strumenti. Assecondandola, il bambino capisce che il suo pensiero è recepito, che è ascoltato. Sin dai primi mesi. Non considerandola e ignorandola, invece, il bimbo sente che la sua comunicazione non va a buon fine, e che quindi è inutile.
È importantissimo quindi creare, da parte dei genitori, questa connessione, questo legame espressivo, che più che un fatto è un processo, un lungo processo, che se coltivato diventa poi naturale.
Non dobbiamo quindi mai più pensare che il pianto o il comportamento strano, le richieste o gli atteggiamenti testardi siano un tentativo da parte del bambino di manipolare noi genitori, o di ottenere in maniera viziata ciò che vogliono. Certo, ci testano, ci mettono alla prova (e in questo caso sono altri gli atteggiamenti da avere - come la comunicazione non violenta di cui parla Marshall Rosenberg nel suo libro, o come vi abbiamo spiegato in questo articolo). Ma stanno semplicemente comunicando, e proprio per rispetto di questa comunicazione (e sapendo le conseguenze che il non-dialogo avrà sul loro futuro) dobbiamo sempre ascoltare, senza alzare gli occhi, zittirli o rispondere seccati. Dobbiamo parlare. E comunicare tra di noi.