No, catalogare i bambini come “buoni” o “cattivi” non è una buona idea
Il titolo a una prima lettura fa dire: “Beh, è ovvio”. È chiaro che nella vita tendiamo a non etichettare i bambini come “buoni” o come “cattivi”. O almeno non lo facciamo intenzionalmente. Ma tante piccole cose (come i “bravo!” dispensati un po’ troppo leggermente o i Babbo Natale e Santa Lucia vari che portano i regali “solo ai bambini buoni”) possono essere una trappola.
Vediamo insieme perché la catalogazione in “buoni/cattivi” può essere deleteria per la crescita armoniosa dei nostri bambini.
No, catalogare i bambini come “buoni” o “cattivi” non è una buona idea: perché i regali che arrivano “solo ai bimbi buoni” non sono una strategia educativa ottimale
Lo dice anche la canzone di Natale tra le più conosciute: “You better watch out, you better not cry… He's making a list, he's checking it twice, he's gonna find out who's naughty or nice… Santa Claus is coming to town!”. Che tradotto fa: “Stai attento, meglio non piangere… Lui sta facendo una lista, la controllerà due volte, saprà chi ha fatto il bravo e chi il cattivo… Babbo Natale sta arrivando in città!”. Una canzone natalizia che riassume benissimo la tradizione del catalogare i bambini come “buoni” o “cattivi” da parte di Babbo Natale o Santa Lucia.
Che sembrerebbe una tradizione innocua. Tuttavia, nasconde una lezione nascosta, un precetto educativo inconscio. Sentendo di venire giudicati come “buoni” o “cattivi”, i bambini automaticamente si categorizzano nell’una o nell’altra casella. E se si sentono “cattivi”, questo significa che lo sono, che non possono cambiare, e che questo loro non essere buoni li rende meno meritevoli dell’amore dei genitori e dei regali (poiché i regali, nella loro testa, sono un po’ la misura dell’amore).
Certo, questa piccola e innocua minaccia del “Babbo Natale ti vede se non fai il bravo!” può essere un metodo per aggiustare le maniere e i comportamenti dei bambini, ma è insidioso. Perché in realtà è solo un tappabuchi, un metodo efficace nel breve termine ma controproducente sul lungo, per due motivi. In primo luogo, il bambino non viene lasciato libero di capire da sé e a fondo il significato delle proprie azioni, precludendosi così un suo metro di giudizio. E in secondo luogo, il bambino in questo modo, se abituato ad “aggiustare” le sue azioni in base a queste promesse o minacce, potrebbe diventare un bersaglio di persone tossiche che cercheranno di manovrarlo.
Certo, si tratta di situazioni limite, ma in generale l’etichettare in buoni o cattivi, promettendo regali solo “sotto condizione”, è deleterio per il rapporto perché porta i bambini a pensare che l’amore nei loro confronti è soggetto a giudizio in base al loro comportamento.
Ci sono altri metodi per indirizzare l’educazione: l’esempio, prima di tutto, e poi il dialogo, i libri, gli esercizi di empatia… La lista dei “buoni/cattivi” non deve quindi diventare la regola, con mamma e papà che buttano lì, ogni tanto durante l’anno, un “Babbo Natale ti sta guardando!”. Dosiamola.
Facciamo quindi un po’ più di attenzione. Non abbandoniamo le tradizioni, quello sarebbe drastico; ma, magari, quando ci scapperà un “se non fai il bravo ti arriva il carbone” pensiamoci una volta di più, ecco. E proviamo a dire: “Babbo Natale porta sempre i regali, perché nessuno è buono del tutto o cattivo del tutto, sai? E ti vorrà sempre bene”.