La solitudine delle madri
Buorgiorno Marilde, grazie per averci dato la possibilità di intervistarla. Parliamo di "La solitudine delle madri". La maggior parte delle donne che oggi diventa madre lavora, normalmente full time, interagisce con molte persone, ha una buona quantità di tempo libero, tempo da dedicare a se stessa e al suo compagno, hobbies... Si ritrova quasi di colpo a casa, da sola, con uno stile di vita totalmente diverso e con un'ansia da prestazione incredibile: "non posso sbagliare con mio figlio"!!!! Sono proprio questi due punti fondamentali: il cambiamento di vita repentino durante il quale diminuiscono parecchio - quando non spariscono del tutto - le abitudini quotidiane. Un ritmo che magari era consolidato da tempo, si interrompe, cambia lo scenario, nel quale è ora presente un neonato- indubbiamente delizioso- ma con il quale dobbiamo imparare a conoscerci. Ci vuole tempo, come in qualunque altra relazione. Invece, dall’esterno, giungono molte voci il cui filo comune riguarda la perfezione richiesta alla donna nel suo essere madre. Ci si dimentica che ha appena iniziato e che ha ancora tutto da imparare. Come il padre, del resto. Oggi i padri sono più presenti, anche se la discrepanza di impegno è ancora consistente nella maggior parte delle famiglie. Spesso, anzi sempre, si parla di esigenze del bimbo, si cosa bisogna fare e cosa non si deve fare; riceviamo suggerimenti, consigli e moniti. leggiamo, studiamo, ascoltiamo il nostro istinto ma anche cosa ci dice l'amica e la suocera. Insomma che confusione che abbiamo in testa noi mamme! Perchè secondo lei siamo così insicure e spesso ci sentiamo così inadeguate? La motivazione a scrivere il libro è nata dal rendermi conto che esistevano numerosi manuali sulle esigenze del bambino, e ben pochi su quelle delle madri. E’ naturale che il bambino proprio in quanto tale necessiti di attenzioni e cure, e ben vengano i libri che ci aiutano su questo, ma se ci dimentichiamo che anche chi fornisce cure continue ha a sua volta bisogno di attenzione, dimentichiamo un aspetto fondamentale della maternità. Con questi presupposti è purtroppo naturale la sensazione di non fare mai abbastanza, sensazione che si amplifica in una società nella quale i bambini sono oggetto di attenzione forte da parte del marketing. Importante fermarsi e chiedersi quali sono i bisogni reali e quali quelli indotti dalla pubblicità. Importante è ascoltare eventuali consigli, leggere libri, ma è innanzitutto di se stesse che bisogna fidarsi, altrimenti ci si trova fagocitate da una girandola di suggerimenti che creano insicurezza e confusione. Si parla di depressione post partum, di cambiamenti ormonali di "cose fisiologiche"... alcune di noi sanno che esiste, molte associazioni e servizi pubblici e privati stanno nascendo per sostenere le mamme colpite da questa forma depressiva. Ma il suo libro è particolarmente interessante a mio modo di vedere, perchè parla proprio di quel sentimento, la solitudine, che la mamma prova proprio dal momento in cui non sarà mai più sola. Solo chi l'ha provato può capire cosa significhi stare un giorno intero senza interfacciarsi con nessuno se non con la cosina che più ami al mondo ma allo stesso tempo richiede e succhia tutte le tue energie fisiche e mentali; a volte arrivano momenti in cui si è stremati, e riesci solo a pensare: "non ce la faccio più, ti prego non mi chiedere di fare altro..." E invece ciò che viene richiesto è di fare altro ancora, di fare di più e, peggio, di non dire ad alta voce che si è pensato “non ce la faccio più”. E’ questo il tradimento grande nei confronti delle donne e della maternità. Non raccontarla tutta, dipingendola come un viaggio lieve dai colori luminosi. Credo invece che quando raccontiamo anche le ombre, le giornate buie, rispettiamo in pieno ciò che è il diventare madri, non creando false illusioni, così pericolose proprio perché irreali, e quando una donna attraversa una di quelle giornate che sembrano non passare mai, ripensando alle parole di un’altra donna, di un articolo letto, di una pubblicità televisiva (quando è veritiera), forse arriva più facilmente al termine di quella giornata. Sapendo che è possibile, che può succedere, e che passerà. La nuova tendenza, a mio modo di vedere estremamente positiva, della riscoperta della maternità naturale a 360° di cui Mamma pret a porter si fa portatrice in toto, ha un lato però oscuro: non si parla di quanto sia difficile applicare un preciso stile educativo ai bimbi e seguire una logica di naturalità per esempio nell'alimentazione. Si legge sempre quanto faccia bene cucinare tutto fresco ai bimbi, seguire il più possibile i loro ritmi, giocare con loro.... ma alla mamma chi ci pensa? C’è un rischio che vale la pena di sottolineare. La crisi economica rende ancora più complessa la presenza delle donne nel mondo del lavoro, e dunque non stupisce affatto questa tendenza a ricondurle a casa in ruoli consolidati nel passato. Ora, e lo sottolineo perché non vorrei essere fraintesa: nulla di male, anzi, se una donna si diverte, e trova un senso pieno della sua vita nella maternità al punto tale da trascorrere interamente le sue giornate a preparare cibi freschi, creare giocattoli, occuparsi delle attività scolastiche o sportive dei propri figli. Bisogna però prestare attenzione al fatto che non diventi l’ennesima colpa che si scarica sulle donne. Alcune donne desiderano farlo e – dato non trascurabile- possono permetterselo. Benissimo. Ma quelle che desiderano dare spazio anche ad altre parti di sé?, quelle (la maggioranza) che devono lavorare? Come si possono sentire di fronte a queste tendenze, rispettabilissime, ma che ovviamente richiedono un tempo che per chi lavora è impensabile? Ben venga dunque la riscoperta della maternità naturale, a meno che non sia l’ennesima gabbia nella quale veniamo rinchiuse noi donne, talvolta senza esserne consapevoli. Forse non è un caso che il tema del mio ultimo libro (Reclusioni , che è probabilmente un titolo provvisorio, e uscirà a settembre), sia quello della scelta, delle gabbie. Gli argomenti sono una decina, eterogenei tra di loro, suddivisi in capitoli, ma con un filo conduttore: la reclusione. Scelta o subita? Perché se è scelta, ben venga, se è subita forse è bene che stiamo attente e che proviamo a romperla questa gabbia in cui siamo rinchiuse. Che si tratti del corpo (che deve fare i conti con i modelli che vengono proposti dai media), o degli anni passano (e bisogna fare i conti con il mito dell’eterna giovinezza), della maternità, di tossicodipendenza, oppure che si tratti di chiudersi in un convento, il rischio di rimanere ingabbiati in modelli stereotipati, in luoghi angusti, è sempre presente. Bene rifletterci dunque, e sentire cosa davvero desideriamo noi. Al di là degli stereotipi e dei luoghi comuni. In questo modo non solo saremo genitori migliori, ma soprattutto saremo persone più complete. Uno dei capitoli del libro, riguarda i segreti di famiglia, e facendo riferimento alle teorie transgenerazionali, ho sottolineato quanto sia fondamentale per ogni individuo indagare nella storia di famiglia, proprio perché un’altra (delle tante) forme di reclusione ha a che fare con i non detti, i lutti non risolti, i traumi presenti in numerose storie di vita, e sono davvero convinta del fatto che il dono più grande che possiamo fare ai nostri figli sia quello di rendere leggero ciò che inevitabilmente passiamo loro nella trasmissione generazionale. Anche questo aspetto ha a che fare con un’etica naturale della maternità.