Come scegliere una scuola primaria vol 2
Come promesso ecco la seconda parte del mio articolo dedicato al mondo della scuola primaria. Ho voluto scriverlo con la collaborazione della dott.ssa Claudia Polloni, amica, pedagogista di grande competenza, maestra e preside della scuola dove ho deciso di mandare mio figlio.
Ho letto con attenzione molti dei vostri commenti e tendo a precisare che questi 3 articoli non hanno l’intenzione di proporre un’analisi né un paragone scuola pubblica o scuola privata: credo profondamente che sia utile per noi genitori (e in generali essere umani) aver la possibilità di confrontarsi, acquisire informazioni per poi prendere le decisioni più “giuste” per il proprio figlio, dettate da una serie unica e irripetibile di variabili.
Siamo una generazione di mamme attente al benessere del bambino, lo abbiamo cullato, non l’abbiamo fatto piangere, l’abbiamo messo in fascia, siamo attente alla sua alimentazione, ci mettiamo in discussione per educarlo alla libertà evitando la costrizione: portiamo questa rivoluzione anche nella scuola! Insieme davvero ce la possiamo fare!
In questo secondo articolo vi racconto quello che secondo me, e secondo una parte della moderna pedagogia, è fondamentale per il bambino per quanto concerne l’apprendimento e in generale la vita all’interno della scuola primaria.
Ecco allora come scegliere la scuola primaria di vostro figlio: le domande da porre a preside e maestre all’open day delle scuole elementari
Diciamo che a mio parere, anche da quanto appreso dalla dott.ssa Polloni, spesso l’offerta educativa nelle scuole elementari, sia pubbliche che private, è dettata dalla prassi più che da un progetto pedagogico vero e proprio, questo perché bene o male tutti i bambini arrivano alla fine dei cinque anni delle elementari che sanno leggere e scrivere, hanno raggiunto gli obiettivi che le maestre si erano preposte, sono generalmente sereni anche se quando a molti di loro viene chiesto “Ti piace la scuola?” la risposta è no. Lo spirito critico inteso come modalità di pensiero, quindi la messa in discussione al fine del miglioramento dell’offerta formativa non è vissuto come costante. E sopratutto il cambiamento fa paura, spaventa. L’apprendimento è prevalentemente basato sulla sfera linguistica e cognitiva perché “è da 20 anni che insegno così ho tanta esperienza”. Così molti bambini vengono diagnosticati dislessici, discalculici, disgrafici... Secondo l’esperienza della dott.ssa Polloni lavorando in maniera corretta con il bambino pochi di questi lo sono davvero.
Non solo, il bambino e in generale l’uomo, si sviluppa su 4 assi: cognitivo, motorio, relazionale e linguistico. il bambino armonico è caratterizzato dall’armonia dei 4 assi che sono sviluppati nello stesso livello. Il compito della scuola è nutrire tutti e 4 gli assi, non solo quello cognitivo e quello linguistico: i bambini oggi passano il 50% della loro giornata a scuola, è quindi giusto che in quel tempo siano nutriti tutti e 5 gli assi in maniera armonica.
Andando agli open day delle scuole primarie sentirete pronunciare le frasi “bambino come unico e irripetibile, utilizzo della pedagogia attiva”: spesso però non si conosce fino in fondo il significato di pedagogia attiva, per cui è secondo noi utile proporre domande specifiche affinché possiate verificare che non siano solo frasi fatte ma progetti e metodologie concrete (anche le maestre della scuola vecchia di Tommy parlavano di pedagogia attiva nel fargli copiare frasi alla lavagna per ore).
1. Qual’è il ruolo dell’esperienza pratica all’interno della didattica? Esiste nella vostra scuola un apprendimento attraverso il movimento?
Partiamo dal presupposto che i bambini di oggi, a differenza dei bambini di 100 anni fa, imparerebbero a leggere e a scrivere anche a casa, sono così stimolati e immersi nel mondo che riuscirebbero a fare tutto da soli. La differenza sta nel “come”, e il come lo fa la metodologia, messa spesso da parte per questioni di logistica, quindi di praticità nell’insegnare.
Dato che il bambino è unico e irripetibile la pedagogia attiva ritiene che sia fondamentale mettere al centro non il bambino in sé ma le capacità che il bambino ha in quel momento. Questo è un punto fondamentale: non è solo il bambino come spesso si sente raccontare ma le capacità, le competenze e le risorse che questo può mettere in atto in un determinato momento a dover orientare la didattica. Ma è importante comprendere cosa può fare un bambino in quel momento:
i principali pedagogisti sono concordi nell’affermare che si possano distinguere 3 fasce di apprendimento, quella che va da 0 a 3 anni, da 3 a 7 e da 7 in poi, quindi la fascia 3-7 anni è simile e accomunata da tante caratteristiche, perciò la prima e la seconda elementare devono essere più simili alla scuola materna rispetto a quella elementare tradizionale.
Scopriamo insieme quali caratteristiche ha il bambino di 6-7 anni:
- il bambino è autocentrato per cui per insegnare a lui qualcosa in maniera permanente bisogna partire dai suoi interessi, o quantomeno attraversare l’esperienza. Questo non vuol dire viziare o coccolare tanto quanto tenerlo in braccio quando a un mese piange ricercando il contatto della mamma: significa lavorare in maniera corretta secondo la natura del bambino, non contro la sua natura.
- l’astrazione è una capacità che hanno i bambini a partire dalla terza elementare, è quindi inutile proporla prima, cognitivamente un bambino non è pronto a imparare solo con l’astrazione.
- l’apprendimento deve partire dall’esperienza: è vero che ogni bambino è diverso e che solo dopo Natale una maestra riesce a conoscerlo, ma possiamo fare una proposta non sbagliata. E la proposta non sbagliata per un bambino significa passare dal corpo e dall’esperienza per imparare: sicuramente la lezione frontale, quindi veicolare tutto attraverso il linguaggio non va bene, non è compatibile con un bambino di sei anni. Questo non significa che debba essere eliminata, in quanto è utile la presenza di momenti di lezione frontale, ma deve essere assolutamente limitata.
- esistono numerosi tipi di intelligenze, quella visiva è una delle tante nonostante sia spesso l’unica utilizzata nella scuola: c’è anche quella emotiva, cinestetica, motoria... Riconoscere i tipi di intelligenza usati dalle persone e’ fondamentale per l’insegnamento. Ogni essere umano ha un canale privilegiato, nel quale si attiva di più: non è possibile utilizzare sempre lo stesso canale e avere la pretesa che tutti i bambini ci seguano. Così una maestra deve affrontare lo stesso argomento in almeno 3 modi differenti e veicolare il contenuto o la competenza attraverso diversi canali.
- è necessario utilizzare tecniche motorie per l’apprendimento: non è cosa giusta tenere il bambino seduto tutto il tempo in classe perché la maggior parte dei bambini ha il canale motorio attivato in maniera preponderante fino ai sette anni. Perché allora non proporre la teoria degli insieme in cortile suggerendo loro di creare per esempio insiemi omogenei per tipo di scarpe invece, o almeno prima, di disegnare sul quaderno due insiemi con palline rosse e blu?
2. I bambini possono uscire in giardino o comunque al di fuori della classe negli intervalli?
I bambini di oggi hanno due carenze secondo la dott.ssa Polloni: il deficit di natura e quello conflittuale. Per quanto concerne il primo è dato dal fatto che il bambino contemporaneo non cresce a contatto con la natura ma nei palazzi, se va bene viene portato ai giardinetti ma comunque vive poco a contatto con i ritmi della Natura. La persona ripercorre in pochi anni l’evoluzione che l’essere umano ha percorso in tanti milioni di anni: se noi non facciamo esperienza della natura ci manca qualcosa, come se passassimo dal gattonare all’andare in bicicletta. Stare all’aria aperta, non solo è solo positivo per la fisiologia del bambino ma anche per il suo benessere psicologico, per mantenere potenziata l’intelligenza motoria naturalistica insita in lui che risulta essere una dimensione fondamentale per il suo benessere globale. Abbiamo troppi bambini sbilanciati verso un’intelligenza logico matematica e linguistica, dei cognitivi puri, ma carenti sotto l’aspetto manuale. Fare entrambi gli intervalli all'aria aperta deve essere un must, a meno che non piova, così come l’apprendimento nella natura o comunque all’aperto quando è possibile.
Il secondo deficit è quello conflittuale: per deficit conflittuale si intende l’incapacità di reggere il litigio, di entrare in conflitto subito e sopratutto di chiudere il rapporto con grande facilità. Il litigio viene visto spesso come una guerra finale che come tale prevede l’impossibilità di una riappacificazione. In realtà è necessario insegnare ai bambini a vivere positivamente il litigio, dire all’altro che ha passato i limiti, affermare quelli che sono i propri limiti rivendicando quindi rispetto: questa negoziazione è una grande palestra di vita, una sorta di manutenzione. Il bambino deve essere libero di avere i litigi e l’intervallo è il luogo ideale per questo. L’intervallo serve proprio a sopperire a questi due deficit e come tale deve rientrare nel progetto pedagogico, non è solo un modo per sgranchirsi le gambe.
3. Chiedere esempi pratici di pedagogia attiva:
pedagogia attiva vuol dire fare esperienza a 360° dell’oggetto di studio, per cui prima di copiare 20 volte la lettera A è importante cantarla, crearla con il proprio corpo, crearla con materiale destrutturato, ritagliarla, cercarla tra altre lettere, comporla con dei fagioli insomma, deve essere vissuta questa lettera A. Poi, l’arrivo, sarà quello di scrivere la lettera a sul quaderno e fare esercizi sul libro. Abbiamo visto prima che il bambino fino a sette anni è prevalentemente motorio: è quindi importante che voi chiediate agli insegnanti come integrano questa caratteristica nell’apprendimento come per esempio creare le lettere con i loro corpi (a me è stato risposto che i bambini non stavano sempre fermi, che li facevano temperare, consegnare i quaderni a turno a tutta la classe, li mandavano a fare le fotocopie... e lì ho capito non parlavamo la stessa lingua).
4. Chiedere se i tempi di svolgimento del programma sono decisi a priori o a seconda della classe:
esistono dei parametri entro i quali un’insegnante è libera di gestire la didattica e sono davvero ampi. Se l’80% di una classe non è pronta in prima elementare a fare il corsivo perché sono molto indietro a livello di manualità fine, il corsivo può essere fatto in seconda elementare. Perché creare un’inutile frustrazione quando è possibile fare le cose con calma e bene?
5. Che tipo di inserimento viene proposto?
Il bambino certamente si deve staccare dal genitore, ma per quale motivo quel momento deve essere deciso da qualcun altro? E’ inoltre utile per il genitore accompagnare il bambino in classe all’inizio per poter parlare con l’insegnante, così da lavorare insieme e avere feedback quotidiani. Non solo, il bambino si sentirà rassicurato dal fatto che il genitore parli con l’insegnante e acquisirà maggiore fiducia in lui.
Arrivati a questo punto perché alla luce delle informazioni fornite tutte le scuole non si adeguano a queste metodologie? Perché il metodo tradizionale da sicurezza, è stato utilizzato dalla maestra per 30 anni e la maestra sa esattamente prevedere cosa succederà. E’ consapevole che diversi bambini rimarranno indietro ma questo “fa parte del gioco”: i bambini con intelligenze cognitive e linguistiche avranno buoni risultati a scuola, gli altri meno.
Ma spieghiamo bene la differenza tra le vecchie metodologie e quelle basate sulla pedagogia contemporanea ( in realtà lo diceva già Maria Montessori all’inizio del ‘900): l’esempio più utile è secondo me quello dell’apprendimento dei numeri. Nella pedagogia tradizionale il bambino viene invitato ad aprire il quaderno, scrivere la data, ricopiare il numero 1 in cifra, in parola, a fare l’insieme con una pallina all’interno. C’è chi si sbilancia e fa disegnare la manina con il solo pollice colorato o chi propone una storiella con disegni ritagliati a casa la sera prima magari con tanta fatica dalla maestra. Ma questo deve essere l’arrivo, l’esito del lavoro, perché prima il bambino deve fare esperienza del numero 1, deve paragonarlo a numeri più grandi (come faccio a capire il concetto di uno se non lo posso paragonare a quello del “molto”?), deve cercarlo sulle scale come primo gradino, deve vedere un barattolo pieno di palline e un’altro con una sola pallina. Scrivere il numero 1 in cifra e in lettere sono esercizi di motricità fine non è “imparare il numero 1”, così come la terza proposta è un esercizio logico-matematico ma sempre basato sul concetto di astrazione, che non è adatta al bambino. Per cui va bene scrivere il numero uno 20 volte, ma solo se questo è il punto di arrivo.
Un capitolo a parte merita il metodo utilizzato in maniera dilagante del far copiare le frasi alla lavagna: se questo è il concetto di fare pedagogia attiva partendo dall’esperienza della A non abbiamo proprio capito cosa significhi far esperienza di un concetto. Se invece è finalizzato al miglioramento della manualità fine possiamo elencarvi almeno 10 modi per lavorare su questa in maniera meno frustrante e con risultati molto più efficaci: infilare perline, infilare il nastro dello scolapasta, la pasta di sale, il cucito, fare e decorare biscotti, fare la pasta fresca e il pane, riprodurre segni, colorare mandala, incollare, punteggiare e ritagliare. Questi possono essere considerati da maestre della scuola primaria dei pre-requisiti che dovevano essere raggiunti alla materna, ma la dott.ssa Polloni ci spiega come sia fondamentale lavorare sui pre-requisiti nei primi due anni di elementari del bambino per ottenere buoni risultati a livello poi di apprendimento. Così scrivere e colorare nei contorni sono l’esito,non l’esercizio, per incrementare la manualità fine. Non solo, proporre questi tipi di attività al bambino, sopratutto se in gruppo svilupperanno capacità di organizzazione e coordinazione, programmazione, problem solving, abilità che sono fondamentali poi nel mondo del lavoro.
Così prima di arrivare al corsivo i bambini dovrebbero sperimentare ago e filo, acquerelli, fare il pane, disegnare onde su grandi fogli attaccati alla parete.
La dott.ssa Polloni ci spiega che “è necessario considerare la competenza come punto d’arrivo, non come punto di partenza, così come la competenza dello scrivere non è copiare parole; la matematica non deve essere veicolata dal linguaggio”.
Ora faccio la domanda che tante di voi si stanno ponendo: “Ma i bambini anche con i metodi vecchi imparano a leggere e a scrivere lo stesso e sono sereni”.
Ed ecco la risposta della dott.ssa: “Io contesto la serenità. Il lavoro, quindi anche lo studio, nobilita l’uomo, per cui tutti noi dovremmo essere sereni. E’ un nostro diritto. I bambini ancor di più. Se i bambini sono messi nelle condizioni di lavorare in maniera corretta, al massimo delle loro potenzialità, non avremo praticamente disgrafici e discalculici. Credo che sia fondamentale per avere adulti sereni e competenti lavorare con metodi che ci consentano di avere bambini sereni, consapevoli delle loro potenzialità e dei loro limiti, con una buona autostima e risorse non solo cognitive, ma anche motorie, umane e relazionali. Oggi si possono reperire tutte le informazioni in pochi minuti via web ma quello che dobbiamo insegnare è l’atteggiamento critico verso il mondo: già alle elementari deve essere insegnata l’analisi. Io maestra ti insegno a imparare, ti faccio vivere lo spirito critico, non ti do la realtà preconfezionata. Se insegniamo ai nostri bimbi attraverso non un apprendimento passivo ma attivo, sarà lui il protagonista perché creerà lui il risultato grazie all’esempio dell’insegnate. Il termine principale che usa l’insegnante è facciamo, non “fai”. Per questo nella mia scuola non c’è la cattedra, perché l’insegnante “fa” con il bambino, perché il bambino impara facendo e prendendo esempio”.
Per questo motivo io ho scelto la scuola San Giuseppe di Meda: abbiamo scelto di fare sicuramente sacrifici a livello economico e anche di tempo da dedicare alla scuola, ma credo fornisca un livello di offerta pedagogica davvero eccezionale. Quello che però io e la dott.ssa Polloni speriamo è che questa realtà diventi presto attiva anche nella scuola pubblica, perché nulla di ciò che viene fatto qui non potrebbe essere replicato altrove. Credo che sia un nostro diritto di cittadini avere una scuola pubblica con queste caratteristiche, e credo che potrebbe essere un grande progetto per formare non solo bambini in grado di leggere e scrivere e appiccicare nozioni per la verifica, ma plasmare uomini e donne liberi, consapevoli e competenti.
Nel prossimo articolo vi spiego come è strutturata la scuola e le caratteristiche principali così che possiate chiederle e proporle a gran voce anche nella vostra.
Giulia Mandrino