Harris Cooper e il suo studio sul lavoro a casa dei bambini
Argomento scottante sul quale avevamo già detto la nostra: i compiti a casa. Non lo abbiamo mai negato: secondo noi, anche se non del tutto inutili, i compiti non sono davvero uno strumento efficace. O, almeno, non lo sono nel modo nel quale sono concepiti oggigiorno. Sono troppi, almeno alle elementari, e non ci stancheremo di dirlo.
Se già le statistiche ci dicevano qualcosa in questo senso (e cioè che il rendimento non è assolutamente connesso o proporzionale alla mole dei compiti a casa), ora a ribadirlo ci pensa anche Harris Cooper, psicologo della Duke University, secondo il cui studio i compiti fanno sì bene, ma solo se non sono troppi.
Harris Cooper e il suo studio sul lavoro a casa dei bambini: perché i troppi compiti a casa non fanno bene, ma, anzi, sono controproducenti
Lo studio, condotto qualche anno fa, ha messo in luce la relazione tra compiti a casa e rendimento scolastico, ponendo il focus sulle elementari, le medie e le superiori.
Secondo l’autore dello studio, Harris Cooper, esiste sì questa relazione, positiva e significante, ma solo se i compiti non sono troppi. Se infatti, a tutti i livelli scolastici, superano un dato lasso di tempo, questi diventano controproducenti. Soprattutto durante gli anni della scuola primaria. Ma vediamo nel dettaglio cosa intende.
Cooper spiega che i compiti alle elementari in realtà, anche se possono essere uno stimolo positivo, non saranno mai importanti quanto le ore passate a scuola. Insomma: l’apprendimento, per i bambini delle elementari, passa soprattutto dalle ore passate in classe, e i compiti servono solo per mantenere questi insegnamenti. Se il tempo di studio passato a casa aumenta troppo, allora i risultati saranno contrari, e cioè negativi.
Lo stesso accade alle medie, ma soprattutto alle superiori, periodo nel quale se i ragazzi studiano a casa per più di due ore al giorno si ritrovano con un fardello in più che non significa necessariamente buoni risultati. “Quando i ragazzi delle scuole superiori vengono coperti di compiti, ciò non porta a voti più alti”, dice Cooper, anche se ammette, naturalmente, che è normale che i ragazzi più grandi beneficino di più ore di studio a casa (rispetto ai bambini più piccoli): se i bambini delle elementari hanno ancora difficoltà a concentrarsi (com’è anche giusto che sia, essendo appunto bambini), e se non hanno ancora una loro routine di studio, con il passare degli anni i ragazzi imparano a porre il loro focus sullo studio e a trovare abitudini efficaci.
Ecco perché lui stesso ha suggerito la regola dei 10 minuti, per aiutare gli insegnanti a capire quanti compiti dovrebbero dare ai ragazzi. Si parte dai 10 minuti al giorno della scuola elementare, per aggiungere di volta in volta 10 al raggiungimento dell’obiettivo, e cioè al passaggio della classe successiva. Si passerà così a qualche minuto in più in seconda elementare, e così via, fino ad arrivare alle 2 ore durante gli anni della scuola superiore.
Ma qui ci si ferma. Perché è vero che alle superiori si deve studiare effettivamente molto, ma se sommiamo le ore in classe con quelle a casa, superare le due ore per sera diventa davvero controproducente e studiare di più non significa raggiungere necessariamente votazioni più alte.
E, tornando alla scuola elementare, per Cooper è importantissimo che gli insegnanti tengano sempre conto sia dei raggiungimenti scolastici dei bambini, sia della loro età sia delle circostanze familiari. E in sostanza suggerisce come dovrebbero essere i compiti: brevi, non troppo difficili, con un aiuto, talvolta, da parte dei genitori (ma solo sporadicamente, senza che diventi una regola); e che gli insegnanti dovrebbero spingere ad attività extra-scolastiche sia produttive sia divertenti, puntando anche molto sulla lettura per piacere.