Il Jobs act
Il cd. Jobs Act, costituito da un complesso di norme volte a riformare alcuni dei nostri più importanti istituti del diritto del lavoro, ha portato alcune importanti modifiche del Testo Unico in materia di tutela e sostegno alla maternità e paternità (D.lgs. 26 marzo 2001, n. 151).
Spieghiamo quindi nel dettaglio cos'è il Jobs act e le tutele della maternità: tutto quello che devi sapere in merito al sostegno della maternità e della paternità in Italia
I terzo provvedimento emanato nell'ambito di questa ampia riforma denominata Jobs Act, il D.lgs. 15 giugno 2015, n. 80, modifica parte delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità consentendo una maggiore flessibilità nella fruizione dei congedi parentali, in modo da favorire i genitori nella gestione del loro tempo e tenendo conto delle esigenze di cura del bambino oltre che del lavoro, e introduce, fra l’altro, congedi particolari per le donne inserite nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere.
Del resto, sono più di 20 anni che il Consiglio di Europa invita gli Stati membri ad adottare tutte le misure volte a favorire donne e uomini a conciliare la loro vita professionale con i loro impegni familiari, derivanti dalla cura e dall’educazione dei figli, sostenendo in maniera esplicita che la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro non è tema che deve riguardare soltanto le donne, ma tutti i lavoratori, indipendentemente dal genere.
Per entrare nello specifico, dal 25 giugno di quest'anno (data di entrata in vigore del decreto n. 80/2015), le neo-mamme, in caso di parto prematuro, potranno superare superare il limite complessivo di 5 mesi di astensione obbligatoria (per intenderci, i 2 mesi precedenti la data presunta del parto e i 3 successivi al parto) aggiungendo i giorni non goduti prima del parto avvenuto in data anticipata rispetto a quella presunta.
Inoltre, la madre può chiedere la sospensione del congedo di maternità post partum nel caso in cui il neonato venga ricoverato presso una struttura sanitaria, sia pubblica che privata. Potrà quindi godere del congedo di 3 mesi (o del periodo rimanente) a partire dalla data di dimissione del bambino dalla struttura.
È stato poi esteso, in generale, da 8 a 12 anni del figlio il periodo di fruibilità dei congedi parentali. Ricordiamo infatti che per ogni bambino nei suoi primi anni di vita, (prima erano 8 e adesso sono 12), ciascun genitore, ha diritto di astenersi dal lavoro per un periodo di 6 mesi, elevabili a 10 nel caso vi sia un solo genitore, parzialmente retribuito, nella misura del 30%, se fruito entro il sesto anno di vita del bambino (prima della riforma, il limite era entro il terzo anno). Peraltro, il decreto 80/2015 prevede anche che ciascun genitore possa scegliere tra la fruizione giornaliera e quella oraria, nei termini stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale o aziendale e, in ogni caso, con un preavviso al datore di lavoro non inferiore a cinque giorni nel caso di congedo giornaliero, non inferiore a due giorni nel caso di congedo su base oraria.
In tale quadro normativo vi è poi una pressoché totale equiparazione fra genitori naturali e genitori adottivi o affidatari. Ad esempio, il divieto di adibire al lavoro notturno si estende alla lavoratrice madre adottiva o affidataria di un minore, nei primi tre anni dall’ingresso del minore in famiglia e, parimenti sono stati elevati a 12, dal momento d’ingresso del minore nella famiglia adottiva o affidataria, gli anni entro cui godere del congedo parentale.
Anche in materia di dimissioni volontarie presentate durante il periodo in cui è previsto il divieto di licenziamento (che dura fino al compimento di un anno del bambino), sono state introdotte alcune novità: la lavoratrice ha infatti diritto alle medesime indennità previste dalle norme di legge e contrattuali in caso di licenziamento e le lavoratrici ed i lavoratori che presentano le dimissioni durante il periodo in questione non sono tenuti al preavviso.
Infine, viene ampliato il diritto alle indennità di maternità a tutte le categorie di lavoratrici, anche a quelle iscritte alla Gestione Separata dell’INPS (le lavoratrici autonome, prive di un contratto di lavoro subordinato) e anche nel caso in cui il datore di lavoro non abbia versato i relativi contributi.
In osservanza della sentenza della Corte Costituzionale del 14 dicembre 2001, n. 405, si rende esplicito che l’indennità di maternità è corrisposta anche nei casi di licenziamento per giusta causa della lavoratrice, oltre ai casi di cessazione dell’attività aziendale e di scadenza del termine del contratto di lavoro.
Costituisce invece una assoluta novità il diritto per le donne vittime di violenza di genere di chiedere un congedo di tre mesi, anche non continuativi, che, oltre ad essere interamente retribuito, concorre
ai fini del calcolo dell’anzianità di servizio, della maturazione delle ferie, della 13ma mensilità e del TFR.
Avvocato Stefano de Santis