Pene e vagina: perché è meglio chiamare le parti intime con il loro nome, anche con i bebè
"Hai mai chiamato gli occhi di una bambina coccinelle? O le sue dita polipetti? Per quanto mi riguarda pene e vagina vanno benissimo": qualche tempo fa Claudio Rossi Marcelli, giornalista, ha risposto su L'Internazionale a una domanda sul "come chiamare i genitali con i bambini" e la risposta è stata tra le più precise, azzeccate e puntuali.
La risposta continuava così: "Tanto più che un’amica americana sempre in prima fila nella lotta alla criminalità mi ha informato che secondo studi recenti i pedofili sono inibiti dai bambini che chiamano i genitali con il loro nome corretto".
Niente di più vero. E il discorso non si applica solo alla pedofilia e alla criminalità, ma anche alla crescita armonica psicofisica dei bambini e delle bambine. Ecco perché, quindi, dovremmo smetterla di chiamare "farfallina", "pisello" e compagnia bella le parti intime: meglio togliere ogni tabù, dando il giusto significato, peso e rispetto alle parole.
"Farfallina", "pisellino": perché non usiamo i termini corretti
È normalissimo: siamo cresciuti così ed è normale portare avanti l'abitudine. La maggior parte dei genitori, insomma, utilizza termini vezzeggiativi per indicare (con i bambini ma anche con se stessi) le parti intime. Spesso si tratta di immagini che ricordano in maniera più soft l'organo a cui ci si riferisce: la farfalla per la vagina (oppure il biscottino, la patatina), il pisello per il pene (o il pistolino).
Quest'abitudine sembra innocua e addirittura carina, gioiosa e simpatica, ma in realtà è insidiosa. E deriva da secoli di stigma: il sesso, e gli organi ad esso connessi, sono sempre stati un tabù, una vergogna e un peccato, ma fortunatamente oggi la sfera sessuale viene vissuta con una libertà maggiore (che non significa libertinaggio) e soprattutto con una consapevolezza imporante, fondamentale sia a livello affettivo, sia per quanto riguarda la sicurezza dei rapporti.
Le immagini sono importanti anche per la crescita
Non dimentichiamo che le parole portano con sé immagini e celano significati. E che quando una parola diventa un tabù, con lei diventa "indicibile" tutto ciò che indica. Vivere una sana vita sessuale, consapevole e sicura, può diventare molto difficile quando si conoscono solo i vezzeggiativi.
Insomma: usare parole bizzarre e buffe sminuisce l'argomento e allo stesso tempo continua a perpetuare lo stigma attorno ai genitali, facendoli percepire ai bambini come qualcosa di cui vergognarsi, di cui non parlare apertamente. Eppure basta usare semplicemente e con naturalezza "pene", "vulva", "vagina", "ano" o "testicoli" per rendere il discorso più aperto, armonioso, salutare e positivo.
Non dimentichiamo poi che, usando un linguaggio più corretto e aperto, i bambini e le bambine saranno più inclini a parlarne, facendo domande sui propri dubbi e intavolando così in maniera più semplice e naturale l'educazione sessuale, che diventa - più che un momento specifico - un insegnamento costante, sempre adatto all'età.
A beneficiarne, infine, è anche la salute. Quando i bambini possiedono un vocabolario preciso riguardo ai loro organi sessuali, quando qualcosa non va sono in grado di descrivere meglio ciò che provano agli adulti (genitori o medici), che possono a loro volta comprendere più facilmente la situazione.
Perché usare i giusti nomi anatomici è un'arma contro i pedofili
Ma torniamo al discorso fatto in apertura. A confermare il fatto che l'utilizzo di termini come "vagina" e "pene" siano un deterrente per le persone pedofile è anche il Graduate Center del John Jay College of Criminal Justice, che in un'intervista alle professoresse Elizabeth Jeglic e Cynthia Calkins spiega bene come sia importante per i genitori essere consapevoli dei pericoli della violenza sessuale, e di come ci siano piccoli accorgimenti che aiutino a prevenirla.
Tra questi, l'utilizzo dei corretti termini anatomici relativamente alle parti intime: usare "pene" e "vagina" per indicare gli organi sessuali a partire dalla prima infanzia è per loro importantissimo perché uno studio a cui fanno riferimento ha rilevato come i sex offender siano meno inclini ad abusare di un bambino o di una bambina quando questi conoscono i nomi corretti delle loro parti intime. Il motivo? Probabilmente, per i violentatori è un indizio di bambini "svegli" e abituati ad esprimersi, che potrebbero parlare con i propri genitori portando all'identificazione del reato e del criminale.