"Bubuuuu, sette-te", "Cuu-cuu", "Di' bene maaaammm-mmma": quando ci mettiamo a fare le vocine con i bambini sembriamo scemi? Sì, ma anche molto teneri! E la buona notizia è che questo atteggiamento è decisamente educativo.
Sapete perché ci viene istintivo parlare lentamente, con una vocina acuta e facendo quasi il verso ai bebè? Perché in questo modo imparano meglio a comunicare e pronunciare le parole.
Imparare a parlare: le vocine servono
Uno studio condotto presso l'Università della Florida e pubblicato qui dimostra come a quanto pare parlare ai propri bebè facendo le vocine sia propedeutico all'apprendimento del linguaggio. In altre parole: pronunciare le paroline storpiandole e usando un tono acuto e carino non è solo simpatico, ma anche educativo.
Spesso gli adulti parlano ai bambini istintivamente in questa maniera, rallentando la proncuncia ed esagerandola ad esempio, perché sono convinti che piaccia ai bebè. In effetti è così: li coinvolge maggiormente. Ma i benefici non si limitano all'attenzione, perché secondo i ricercatori parlare in questa maniera favorirebbe anche l'apprendimento delle parole e la formazione di discorsi propri.
Il motivo è semplice: rallentando e massimizzando la pronuncia (come accade con "le vocine") i bambini e le bambine riescono ad afferrare meglio le sillabe e i tratti più brevi del discorso, permettendo loro di ragionare su come questi suoni possano uscire dalla loro bocca. Ascoltando parole più brevi e semplici (suoni limitati), ai bambini viene più voglia di provare da sé la pronuncia.
Le "paroline" stimolano la produzione motoria del parlato
Lo studio riporta che i bambini presi in considerazione, infanti tra i 4 e i 6 mesi di vita, tentano di pronunciare suoni (vocali) che abbiano qualcosa di infantile nelle vocali, piuttosto che imitare i suoni di una voce più adulta, suggerendo quindi la presenza di una speciale "banca mnemonica" riguardante proprio la produzione di nuovi suoni durante l'infanzia.
Questo modo di parlare da parte degli aduli, quindi, "sembra stimolare la produzione motoria del parlato, e non solo la percezione di esso": a dirlo è il dottor Matthew Masapollo, del Department of Speech, Language and Hearing Sciences dell'Università in cui si è svolta la ricerca. "Non si tratta di meri gu-gu e ga-ga. (...) (Quando lo facciamo) stiamo tentando di coinvolgere i bambini mostrando loro qualcosa riguardo alla produzione fisica delle parole, spingendoli a provare con la loro voce".