Sono sempre stata una bambina difficile nel mangiare, se una cosa non mi ispirava alla vista e/o all'olfatto
non c'era verso di farmela assaggiare. Ho sempre avuto un'alimentazione un po' limitata: niente formaggi
se non la mozzarella o la ricotta, niente carne se non polpette o polpettone, poche verdure, niente di
strano nel piatto, niente affettati se non il prosciutto cotto. Complici tempi e mentalità antiche e luoghi
comuni, senza voler colpevolizzare nessuno, mia mamma era una di quelle che aveva i suoi "cibi che ti
facevano bene per diventare grande" per poi dopo anni di mie e sue sofferenze capire che se il latte mi
metteva una giornata di diarrea a spruzzo forse se non lo bevevo la mattina era meglio. Odiavo quando
faceva certi cibi e la casa si riempiva di una puzza per me insopportabile; quando faceva il bollito che
detestavo poi mi propinava il risotto giallo fatto con il brodo di carne e io le dicevo "uffa no, ora devo
scartare tutti i pezzetti marroni nel riso" o il fegato, mi devastava... la cosa peggiore però era la lingua,
tornavo da catechismo e sentivo dalla strada quell'olezzo infernale, allora correvo in camera mia e piangevo
"no ti prego non la voglio", l'ora di cena arrivava come un supplizio, erano lacrime incessanti "dai che ti fa
bene, ti do la punta che è la parte più buona" "mi fa schifo" "non si dice schifo del cibo, si dice non mi
piace" "si ma a me fa proprio schifo, ti prego" e mi buttavo per terra a piangere. Per i miei genitori erano
solo capricci da bambina allora mi rimettevano a tavola, mio padre mi teneva la testa e mia mamma mi
ingollava il boccone e mi obbligavano a masticare, io lo buttavo giù intero con un bicchiere pieno di acqua...
"ti fa tanto bene" "ma come fa a farmi bene se poi ho mal di pancia?!", sì perché bastavano due bocconi,
forse tre e poi mi trasformavo in un idrante di vomito ininterrotto per almeno due ore. Alla fine hanno
capito che se la reazione era quella forse tanto tanto bene non mi faceva...!!!
Quindi arrivati all'asilo per me la cosa peggiore era la mensa. Ai miei tempi poi la scelta era limitata
davvero, giravano sempre quei tre cibi in croce e se non ti piacevano erano cazzi da cagare! (scusate il
francesismo!).
Pasta al pomodoro: maccheroni così cotti che di aprivano in due e poi ci mettevano il grana e io lo odiavo,
ma non volevano mai darmela senza: chissà perché?! Bistecca impanata. Polpette. Insalata verde: era così
condita e unta che diventava molliccia e scura. Carote crude. Risotto giallo o bianco. Prosciutto cotto: a mio
parere viscido e pieno di grassino trasparente. La mela gialla o la banana. Cos'altro? Bastoncini di pesce e...
il tanto temuto petto di gorilla.
All'ora di andare in mensa tutti erano entusiasti, a me personalmente mi tremavano i baffi! Scendavamo le
scale che dal piano superiore portavano in refettorio, accompagnati dalle maestre e dalle suore, giù c'erano
tanti tavolini e la cucina dove si vedeva la cuoca che rimestava nei pentolini in acciaio formato caserma
militare. E qui si svolge il peggio pranzo mai fatto.
Quel giorno
Prima portata: minestra con tanto tanto grana... cazz... non lo voglio il grana, allora non lo mescolavo lo
toglievo mentre ancora galleggiava in superficie e lo mettevo nel tovagliolo senza farmi vedere.
Secondo: carote grattugiare e due fette di petto di gorilla.
Suore – Elena mangia tutto
Io – Non mi piace
Suora – Mangia che ci sono i bambini che muoiono di fame, io li conosco bene
Io – Vuoi portargli il mio piatto?
Suora – Non ti alzi finchè non svuoti il piatto
Io – Ho detto no e no è no!
Suora – Allora ti siedo nel tavolo dei cattivi finchè non hai finito
E mi siedono su un tavolino più piccolo degli altri, da sola (per non influenzare negativamente l'appetito
degli altri) sotto la scala che dal piano superiore scendeva al refettorio.
Fatto sta che alle 16.00 viene mia zia a prendermi all'asilo, il tempo passa, i bambini escono, tutti prendono
i loro cappotti e se ne vanno, mi cercano ma io non ci sono, le classi sono vuote, ma sull'appendiabiti resta
il mio cappottino. Alcune cose me le ricordo perfettamente, come gli odori che se chiudo gli occhi mi pare
di risentire, altre mi sono state raccontate; fatto sta dopo qualche momento di panico e concitazione,
ispezionate aule, bagni, giardino e sala giochi, pare che un po' di panico si sia creato, dopo circa trenta
minuti di ricerche le suore si guardano in faccia, si girano verso la mia maestre: "l'abbiamo dimenticata in
refettorio!".
Scendono di corsa, accendono le luci (ormai era buio, complice l'inverno e la poca luce che filtrava dalle
bocche di lupo) e seduta nel sottoscala mi trovano.
Non spaventativi e non inorridite, grazie al cielo penso a questa cosa con un sorriso, non ne sono rimastra
traumatizzata, né spaventata, non avevo e non ho paura del buio, non ho pianto, non avevo paura di strare
da sola, ero una grande, lasciatemelo dire: mi hanno trovata così, seduta, che non avevo pianto, non
spaventata, con le braccia conserte, il piatto pieno (!!) davanti e quando mi sono corse incontro per
abbracciarmi e scusarmi la prima cosa che ho detto alla suora è stata "visto, se dico no è no!" che mito!
Logicamente quando mia mamma lo ha saputo le mancava poco di ribaltare la suora a sberle e svenire per
la preoccupazione.
Indagando poi mia madre ha scoperto che il famigerato petto di gorilla era in realtà petto di tacchino di
quello che si affetta e si serve freddo, messe sul piatto una accanto all'altro... fantasiosa rivisitazione di una
bimba del primo anno di asilo.
Ora è la frase tipo di casa nostra, quando al ristorante o da qualche parte vediamo passare un piatto e non
capiamo bene cos'è subito qualcuno dice "sarà petto di gorilla?!".
Elena Vergani, autrice di Il mondo è bello perchè è variabile