Nella pancia della mamma un bambino se la passa decisamente bene: amore, contenimento, calore, movimento e nutrimento. Che cosa si può volere di più dalla vita? Una volta usciti nel "grande freddo", l'amore rimane; ma tutto il resto? Come possiamo sostenere attivamente questo cambiamento? Ce lo spiega Licia Negri, autrice del libro Lasciati Abbracciare, edito da Mental Fitness Publishing.
"Normalmente, il primo mezzo di trasporto utilizzato, da un secolo e mezzo a questa parte, appena usciti dall'ospedale è la carrozzina. Tutti si sono dimenticati che ne esiste uno migliore: la mamma. Come possono solo una carrozzina e un lettino, anche se con i più teneri pupazzetti del mondo, far rivivere al neonato quelle condizioni che conosceva nel ventre materno e che così tanto lo rassicurano?
È inevitabile che quel tenero frugoletto inizi giustamente a imprecare, alla sua maniera.
Non ricordiamo chiaramente quei momenti, ma osservando la disperazione dei bebè in certe situazioni dovremmo forse farci delle domande.
Quando mi veniva suggerito di far piangere il mio bambino ("così si allar- gano i polmoni"), di dargli delle regole per mangiare ("avrà tempo per questo se vorrà fare il militare, no?") e di lasciarlo solo nella sua stanza a disperarsi ("altrimenti lo vizi!"), mi sono sempre chiesta: MA PERCHÉ?
Ai tempi, pur avendo studiato molto sulla maternità, avevo un'intima insicurezza e non sapevo che cosa fosse "giusto" o "sbagliato".
A un certo punto mi sono data una risposta: PERCHÉ NO! E ho iniziato ad ascoltare semplicemente il mio istinto. Consapevole che avrei commesso molti errori (chi non ne fa), ma almeno avrei sperimentato quello che il mio cuore mi portava a fare. Lo ammetto, fa molto Susanna Tamaro, ma rende l'idea.
Ho cercato, quindi, di non soffocare ciò che sentivo e di dare retta alle mie intime sensazioni: attraverso di me e il più possibile a contatto con il mio corpo — anziché solo —, il mio bambino avrebbe potuto scoprire il mondo sereno e sicuro.
E così ho iniziato a portare mio figlio pochi giorni dopo la sua nascita. Mi sembrava il modo più naturale per accompagnarlo dolcemente dalla pancia al mondo.
"È di fondamentale importanza per i genitori della specie uma- na comprendere appieno ciò che l'immaturità dei propri neonati significa: che il bambino continua il suo periodo gestazionale anche una volta nato. [...]
Attraverso il contatto corporeo con la madre, il bambino stabilisce i primi contatti con il mondo, e questi lo coinvolgono in una dimensione nuova di esperienza, l'esperienza del mondo degli altri. Questo contatto corporeo è fonte prima di benessere, sicurezza, calore e predispone sempre più a esperienze nuove" Ashley Montagu, antropologo.
Anche Maria Blois, autrice del libro Babywearing5 lo dice a chiare lettere: "Il babywearing permette di prolungare il periodo gestazionale, fornendo al bambino la possibilità di un ottimale sviluppo del cervello e del sistema nervoso".
Molti altri ricercatori definiscono il portare i bambini e altre abitudini atte a "richiamare" condizioni prenatali con un'espressione: "utero di transizione", cioè un luogo dove continuare quello sviluppo che alla nascita ci presenta al mondo tutti "prematuri".
Grazia De Fiore, autrice del libro Portare i bambini6, ci ricorda che l'essere umano "come specie è molto immaturo alla nascita. Il volume del suo cervello rappresenta il 25% del volume che raggiungerà nell'età adulta, contro, ad esempio, il 45% negli scimpanzé e la percentuale è maggiore negli altri mammiferi".
Insomma, alla nascita l'homo non è poi così "sapiens" come si pensa! E se è vero, come riportano autorevoli neuroscienziati, che il cervello di un neonato accresce di circa tre volte la sua dimensione nel primo anno, non possiamo negare che gli stimoli e le esperienze vissute proprio in questo primo periodo di vita siano di fondamentale importanza per lui."
Licia Negri, Il neonato e i suoi segreti, Mental Fitness Publishing