Tutti i figli sono meravigliosi, dolci, bellissimi. Ma, diciamo la verità, a volte sono proprio testardi. E quando questa testardaggine (che è tipica dei due e tre anni, ma che quando gestibile non deve spaventare perché è solo un modo dei bambini di mettere alla prova i genitori) diventa un’abitudine non troppo simpatica, il rischio è che i genitori si ritrovino senza sapere più cosa fare.
Il rischio? O cedere sempre, facendo sì che il bambino rafforzi la sua testardaggine (ottenendo sempre ciò che vuole, il bambino logicamente non cambierà il suo atteggiamento); oppure impuntarsi e evitare ogni volta di dargliela vinta, creando contrasti fortissimi.
Una via di mezzo tuttavia c’è.
Consigli per educare i figli testardi: come comportarsi quando i bambini testardi ci mettono continuamente alla prova
Innanzitutto, chiariamo una cosa: la testardaggine di un bambino riflette una sua caratteristica positiva, e cioè la sua determinazione, il suo essere sicuro di sé, il sapere cosa vuole. Avendo quindi in testa questo, e cioè che possiamo considerare questi comportamenti magari stancanti un punto di forza, dobbiamo trovare con lui un equilibrio, un modo di educarlo che non svilisca questa sua determinazione, stroncandola e quindi rischiando di annullarla, ma che non porti altrettanto a farlo crescere egoista, concentrato solo su di sé o fin troppo testardo.
La prima cosa da fare è quindi iniziare a guardare al nostro bambino “testardo” esaltando ciò che è, e cioè determinato, deciso, sicuro; oppure forte, confidente, energico, entusiasta. Guardare in maniera più positiva renderà anche noi più positivi, e lui lo percepirà, piano piano. Dopodiché, prendendo le giuste precauzioni e i giusti atteggiamenti, anche lui capirà come è meglio comportarsi, calibrando la sua determinazione.
Innanzitutto, dobbiamo cercare di capire bene da cosa derivi questa testardaggine, questa determinazione a chiedere qualcosa. Se questo qualcosa è “superfluo”, e cioè secondario, allora non c’è problema; se invece le richieste nascono da bisogni più profondi di legame, intimità o bisogno di sicurezza, allora prima di tutto c’è da lavorare su quello.
Detto questo, come accennato i bambini piccoli spesso tendono a intestardirsi e a non ascoltare soprattutto per testare i limiti dei genitori. Ecco perché a volte dire “no" è utile e opportuno. Il tutto, sempre, con gentilezza e tramite il dialogo: evitiamo quindi di dire troppi “no” solo per dirlo, ma iniziamo a porci davanti al bambino spiegando i nostri limiti, le nostre regole, coinvolgendolo e facendogli capire il perché, piuttosto che lanciando il “no” in maniera mera e semplice.
Questi limiti, però, una volta definiti (soprattutto se prima non c’erano, e se quindi al bambino era permesso fare tutto) potrebbero causare pianto e urla. È normale, perché attraverso questo atteggiamento il bambino manifesta la sua frustrazione, il suo non trovarsi a suo agio con qualcosa, il suo non capire. Accettiamo quindi per un attimo queste lacrime, e non tentiamo di spegnerle imponendo di non piangere o distraendo il bambino con qualcos’altro. Consoliamolo, piuttosto, parliamogli, facciamolo parlare, e in questo modo anche lui capirà che la vita non è sempre semplice o come la vogliamo, ma che dopo avere riflettuto si può andare avanti, cercando un’altra via.
Questo dialogo è proprio la soluzione migliore. È sempre consigliato, ma soprattutto con questi figli determinati e testardi. Perché? Perché i bambini, in generale e soprattutto in questo caso, spesso hanno bisogno di sentirsi coinvolti, ma soprattutto di sentirsi indipendenti, di sentire che le loro scelte siano personali e non dettate dai genitori.
Per questo il dialogo è importante: quando mettiamo dei limiti, parliamone con il bambino, chiediamogli una sua soluzione, agiamo insieme a lui, chiedendo piuttosto che imponendo ordini. Piano piano il bimbo capirà che il suo pensiero è importante, ma soprattutto che è indipendente (non importa quanto: è sempre tutto calibrato in base all’età, naturalmente), e che i genitori lo ascoltano. Che quindi è importante.
Un esempio concreto?
Quante volte vi sarà capitato che vostro figlio volesse proprio quel cibo che ora non c’è in tavola? "Io non mangio la zuppa, voglio la pasta”. Le opzioni sono tre: obbligarlo senza spiegazioni a mangiare la zuppa; accendere i fornelli e accontentarlo, ritardando anche la cena; oppure trovare un punto di incontro.
“Perché non ti piace questa zuppa?”. “Perché di no”.
“Ma lo sai che la mamma ha ormai cucinato e non ha tempo di preparare altro?”. “Sì”.
"Cosa proponi, quindi?”.
Vi sorprenderà, ma le soluzioni a cui arriverà saranno probabilmente molte, di volta in volta, dal “va bene, ora mangio la zuppa ma domani mi fai la pasta, ok?”, all’”grazie mamma, hai ragione”. Insomma, sarà una negoziazione. Che alla fine avrà risultati eccellenti nel breve e nel lungo termine!