Anche la mediocrità può essere la via per la felicità

Velocità, aggiornamento, essere sul pezzo, avere le scarpe di ultimo grido, tenere in mano lo smartphone più performante, postare sui social la vita “bella”, avere un lavoro appagante, ricco e figo, tenere la casa sempre impeccabile... Una piccola lista delle cose che il mondo oggi vorrebbe che noi avessimo. Tutti. Senza distinzione. Ma siamo sicuri che l’avere tutto questo sia poi sinonimo di vita felice? O perlomeno di serenità d’animo?

Anche la mediocrità può essere la via per la felicità: accontentarsi non è sempre un male, se non perdiamo di vista ciò che ci fa felici

Nessuno lo nega: un lavoro appagante fa felici. Il frigo pieno fa felici. La casa in ordine fa felici. I figli perfetti fanno felici. Ma, ammettiamolo, è difficilissimo avere tutto questo contemporaneamente. Ed è difficilissimo raggiungere questa apparente perfezione. La strada, quindi, è tortuosa, e spesso a pagarne il prezzo è la nostra serenità. Perché tutto questo scintillare nasconde in realtà qualcosa di brutto: lo stress.

Lo stress non è dato solo dalla frenesia della vita. Anzi. Quella è normale, e a volte basta accettarla per sentirsi meglio con se stessi, vivendo le “cose da fare” più serenamente. No, lo stress non è dato da quello (o perlomeno non solo da quello), ma dal rincorrere sempre ciò che non ci appartiene, e dal rincorrerlo con gli occhi girati verso chi ci guarda, con il pensiero sempre fisso su ciò che loro vorrebbero, e non a ciò che vogliamo realmente noi.

E allora perché dobbiamo sentirci in colpa se in realtà ci sentiamo bene quando facciamo poco? Quando rallentiamo? Quando ci rilassiamo nella pace e nella quiete della nostra (forse disordinata) casa? Quando preferiamo stare a casa con i nostri figli e il cellulare spento piuttosto che presenziare al party aziendale in quel posto super chic? Quando sentiamo di non voler “rendere il mondo migliore facendo della nostra vita qualcosa di grande” ma di voler rendere la nostra vita migliore restando nel nostro piccolo?

Restare nel proprio piccolo non è un peccato. In un mondo caotico, rumoroso, che vuole che puntiamo all’eccellenza o a nulla, perché non accontentarsi invece della via di mezzo? Eccellere non è una brutta cosa, anzi; ma chi l’ha detto che è obbligatorio?

La serenità la si trova anche nel proprio piccolo, e ciò non significa rinunciare, mollare o essere egoisti. Non si rinuncia a nulla perché in realtà si sta solo rinunciando allo stress provocato da qualcosa che non ci appartiene; non si sta mollando perché in realtà non è qualcosa che siamo obbligati a perseguire, ma solo un plus; e non si è egoisti, perché non volere eccellere non significa non essere buoni. Siamo buoni lo stesso, nella nostra dimensione, e state certi che sapremo dare felicità anche senza sbandierarlo, no?

C’è chi è adatto all’eccellenza, chi riesce a fare tutto. E chi tra le pareti di casa sua, con la sua famiglia e la sua vita mediocre ci sta da Dio. Non è forse meglio accettare quello che ci appartiene, piuttosto che perseguire ciò che ci metterebbe in difficoltà?

I nostri figli solo in questo modo vivranno serenamente. Perché certo che vogliamo anche per loro il meglio, ma solo accettando la nostra dimensione diventeremo genitori in grado di capire quando spronarli e quando tirarci indietro (perché magari li stiamo incoraggiando a fare qualcosa solo perché proiettiamo su di loro nostri sogni e desideri). E solo in questo modo anche loro, di rimando, vedranno la serenità e cercheranno la serenità. Che magari per loro sarà l’eccellenza, sarà la grandiosità. Oppure anche per loro sarà la quiete delle pareti di casa, delle coccole, della “normalità” e della mediocrità!

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