No, i BES e i DSA non sono troppi

Rispetto a qualche anno fa, è vero, sono aumentate a dismisura le diagnosi di disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) e di bisogni educativi speciali (BES). Certo: “una volta non ce n’erano così tanti” è una delle frasi più gettonate. Tuttavia è sbagliato pensare che ci sia un eccesso di medicalizzazione, o che ci sia un atto un fenomeno per il quale ci si approfitta della situazione.

Il problema sarebbe invece che nonostante questo alto numero di diagnosi, la scuola non si sia ancora adeguata alla situazione, tarando i metodi e le valutazioni sempre sugli studenti “bravi” e non tenendo in realmente considerazione i bisogni veri degli alunni.

A dirlo è Giacomo Stella nel suo blog sul sito di Giunti Scuola. E ha una proposta “sconvolgente” che effettivamente ha un suo perché.

No, i BES e i DSA non sono troppi: perché la scuola dovrebbe cambiare, prendendo davvero in considerazione i bisogni dei bambini con disturbi dell’apprendimento

I dati del MIUR parlano chiaro: tra gli studenti, il 2% soffre di disturbi dell’apprendimento. Un dato significativo, che secondo il dottor Stella dovrebbe però essere completato meglio. Le diagnosi, infatti, tardano ad arrivare, e si può benissimo stimare che quel 2% nella realtà sia tranquillamente un 3%.

Negli ultimi anni sono molti gli insegnanti che hanno chiesto la valutazione e una diagnosi di moltissimi bambini che a parere loro soffrono di disturbi dell’apprendimento (spesso parte proprio da loro, dagli insegnanti, la richiesta, e non dalle famiglie). Queste richieste di diagnosi, però, sono moltissime, e il SSN non riuscirebbe a starci dietro. Ecco perché, di fronte alle lunghe attese, le famiglie si rivolgono a strutture private, ed ecco perché all’appello mancano ancora quei centomila casi che andrebbero a rappresentare l’1% in più di cui parla Stella.

Detto questo, se il 2% (o il 3%) sembra poco, poco non è. Ma, soprattutto, non sta qui il nodo della questione. Piuttosto, il problema non sono le diagnosi, ma la scuola italiana in toto. Nonostante, infatti, una nettamente maggiore consapevolezza attorno ai BES e ai DSA rispetto ai tempi passati, la scuola non si è aggiornata, o comunque non si sta sforzando troppo per rendere le cose più semplici a tutti gli studenti, mettendo (come dovrebbe) i bisogni e l’individualità di ogni bambino al centro, ma tenendo metri di giudizio arbitrari e distanti dalla realtà.

Giacomo Stella, insomma, parla di una didattica “per bravi”. Perché? Perché c’è troppa burocrazia, ancora. I bambini con bisogni speciali hanno bisogno di autorizzazioni, di diagnosi, di parole scritte da specialisti, non lasciando ai singoli insegnanti il buonsenso di capire quando un alunno ha bisogno di qualcosa in particolare, valutando da sé la situazione di difficoltà.

Il problema, insomma, è che si pensa ancora che gli strumenti e i metodi didattici che usiamo, quelli “standard”, siano i migliori, quando in realtà dovremmo tutti capire che lo strumento migliore non è universale: ogni bambino, DSA o non DSA, impara con la sua testa, con un suo metodo, con i suoi strumenti e con le sue logiche, ognuno in maniera differente.

La proposta di Stella? Liberalizzare tutti gli strumenti, eliminando le certificazioni. Eliminare le certificazioni significherebbe dare agli insegnanti la possibilità di svolgere il loro compito, quello di valutare ogni bambino per quello che è, con la propria testa, per formulare una didattica ad hoc per ogni classe e ogni alunno. Liberalizzare gli strumenti, invece, è un’idea ancora più bella: se su ogni banco ci fossero una tavola pitagorica, la linea dei numeri e le formule delle figure geometriche, ogni bambino potrebbe decidere con la sua testa (sviluppando così anche delle abilità logiche e di problem solving importantissime) quale strumento usare, se imparare a memoria o se affidarsi a un aiuto, giungendo alle soluzioni dei problemi alla sua maniera.

Nessuno svantaggiato, tutti muniti degli strumenti più utili e importanti: chi l’ha detto che imparare a memoria sia utile a tutti? Chi ha detto che la tavola pitagorica davanti agli occhi abbassa le prestazioni? Non è forse più importante saper scegliere il proprio mezzo, la propria strada e il proprio metodo, in modo da portarlo poi con sé per tutta la vita?

Giulia Mandrino

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