Storie di budubu bababa: come parlare ai neonati

Alcune di noi alterano la voce quando parlano ai loro neonati, altre inorridiscono alla vista della nonna che si avvicina e interloquisce con lui con moine e bududu. Ma lui, il pupetto, cosa ne pensa a riguardo? Meglio parlargli fin da subito come se fosse un adulto? Oppure i versetti hanno il loro perchè? 

Numerosi studi hanno dimostrato che i neonati (diciamo all'incirca da 0 a 12 mesi) prestano molta più attenzione ai versetti e ai suoni pittosto che alle parole. I professionisti del settore in Usa lo chiamano "baby talk", ma noi lo conosciamo come "versetto". Questa forma di comunicazione se per noi è banale e scontata, in realtà è stata ed è tuttora fonte di grande interesse nel panorama accademico mondiale e sono state condotte molte ricerche a rigurado: i generale è stata riscontrata una grande differenza a livello di genere in quanto le femminucce sembrano produrre un repertorio di suoni molto più variegato rispetto ai compagni maschietti, i quali a loro volta sembrano produrre più suoni di tono alto e corposo.  Alcuni ricercatori come Rima Shore (Rethinking the brain: New insights into early development) ritengono che i versetti dei bambini rivestano un ruolo importante per lo sviluppo dei processi emozionali tra il bambino e i genitori che aiutano il piccolo nell'apprendimento.

Come possiamo dunque aiutare i nostri piccoli a comunicare con noi nel primo anno di vita attraverso i versetti? In generale abbiamo detto che i bambini prestano più attenzione ai suoni che imitano il linguaggio del bambino oppure quando usiamo le parole in maniera più ripetitiva e cadenzata di quanto non facciamo regolarmente. Se poi riusciamo a utilizzare semplici suoni associati a un movimento, per richiamare la loro attenzione o per comunicare loro si sentiranno maggiormente incentivati a rispondere e a modulare la loro soglia di attenzione: per esmpio possiamo inventare un suono che utilizziamo quando è ora di andare a nanna, per svegliarsi, quando si inizia a mangiare, quando arriva il papà la sera da lavoro. 

Il linguaggio del bambino piccolo ha inoltre il beneficio di fornire le basi per lo sviluppo della vera e propria lingua: è importantissimo incoraggiare i bambini e accogliere con goia i loro suoni dimostrando interesse. Infatti i bambini che ricevono maggiore accoglienza e incoraggiamento in ciò che pronunciano nella fase del "baby talk", sembrano poi approcciarsi all'apprendimento della lingua vera e propria in maniera più veloce.

Ma non solo: il dialogo con il bambino nel primo anno di vita aiuta il bambino a selezionare in maniera appropriata le persone con cui interagire. Nonostante i neonati abbiano una serie di capacità che consentono loro di riconoscere chi si prende cura in maniera adeguata di loro, l'interazione verbale risulta un ulteriore indicatore di quali persone si occupino del suo sviluppo cognitivo. Quando un adulto interagisce con la voce con un neonato gli comunica un messaggio di empatia, di amore e fiducia.

I versetti del neonato servono anche a lui per comprendere quali effetti hanno i suoni che emette sugli adulti: grazie a questi processi i bambini sembrano diventare più consapevoli delle loro potenzialità ed enfatizzano questo metodo per farsi comprendere come modalità alternativa al pianto. Quindi se non è mai consigliato anticipare la manifestazione del bisogno del neonato, per cui lasciare che lui sperimenti modalità differenti fin dai 3 mesi di vita, è importante ascoltare le sue richieste e considerarle in tutte le sue varianti. 

Un altro processo interessante che si verifica quando un adulto interagisce ai segnali verbali del bambino nel primo anno di vita, è la capacità dei bambini di prendere in considerazione e soffermarsi sulle espressioni facciali dell'adulto: in particolare i bambini sembrano ricercare l'associazione suono-sorriso, per cui provo a emettere "buuuuu" e guardo se mi sorridi o se comunque mi dai un feeddback positivo. 

Ricapitolando è importante non sottovalutare il linguaggio dei versetti del bambino e dovremmmo cercare di giocare il più possibile con il suono.

Giulia Mandrino

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