L’intelligenza emotiva

Andare bene a scuola e avere voti alti non è per forza sinonimo di successo nella vita. Non in quella sociale, né in quella lavorativa. E non è un concetto astratto o una teoria: pensate solo ai vecchi compagni di classe. Quello bravissimo magari oggi ha un lavoro perfetto e una vita piena e soddisfacente, ma c’è anche chi più probabilmente pur avendo avuto tutti 10 ha fatto davvero fatica per inserirsi al meglio nel mondo, oppure chi è diventato insopportabile e saccente, o chi non riesce più in quello che fa. Al contrario, quello che magari andava un po’ meno bene ma che era un pochino più sensibile e attento si è rivelato il più sveglio, oppure il più di successo, o il più sinceramente amato.

Daniel Goleman ha piegato il perché: sta tutto nell’intelligenza emotiva. Che non è solo quella che concerne il quoziente intellettivo o l’”andare bene a scuola”.

L’intelligenza emotiva: perché per crescere al meglio ogni persona dovrebbe sviluppare il suo lato più virtuoso e sensibile, oltre a sfruttare il proprio quoziente intellettivo

“L’intelligenza non è tutto”, si legge in quarta di copertina. A scuola come nella vita. Ed è vero: per Daniel Goleman ciò che conta nella vita è l’intelligenza emotiva, e svilupparla significa avere per sempre quel passo in più per avere la vera soddisfazione sociale e professionale. Anche i nostri bambini dovrebbero essere spronati in questo senso. E per farlo basta inseguire le virtù e competenze che l’autore suggerisce nel suo libro.

I bambini che possiedono un’intelligenza emotiva li riconosci, basta fare attenzione a certi piccoli atteggiamenti. Il non arrabbiarsi troppo spesso (almeno non prima di aver analizzato bene le situazioni e i punti di vista altrui). Il prendere le difese di qualcuno in difficoltà o preso di mira. Il sapere di non aver raggiunto gli obiettivi (i famosi voti), seguito dalla consapevolezza di doversi impegnare di più…

Insomma, in altre parole, l’intelligenza emotiva riguarda il cuore, perché coloro che già l’hanno sviluppata sanno mettere in campo oltre che le conoscenze anche le sensazioni.

Riconoscere e comprendere le emozioni (proprie e degli altri), oltre che saperle gestire e utilizzare, è proprio ciò che caratterizza infatti l’intelligenza emotiva. Ed essere persone intelligenti emotivamente significa essere qualcuno in grado di relazionarsi al meglio con gli altri, di analizzare le situazioni per capire come sfruttarle al meglio e di sviluppare una capacità di problem solving molto importante. Tutte skill estremamente preziose che nella vita si rivelano molto più utili della semplice intelligenza da alto quoziente intellettivo. Insomma: serve a poco sapere a menadito le nozioni se poi nella vita non siamo in grado di comportarci al meglio.

Tra le abilità che secondo Goleman dobbiamo sviluppare, aiutando anche i nostri bambini a farlo, ci sono l’autocontrollo, l’empatia, l’attenzione agli altri e la pervicacia.

L’autocontrollo è alla base di tutto, perché permette di sfruttare il momento dello stallo (quello in cui resisti alla tempesta improvvisa dell’emozione) per leggere dentro di sé, capire cosa accade e decidere come agire. Con l’autocontrollo si attenuano le tensioni, si evitano conflitti, si impara a ragionare sotto stress e, alla fine, si apprezza di più la vita con le sue difficoltà, perché essere in grado di darsi un freno significa avere più possibilità di reagire positivamente. Una dote che è strettamente connessa con il problem solving, dal momento che senza autocontrollo è davvero difficile prendere in mano le situazioni.

L’empatia, una virtù che oggi nel mondo sembra mancare, è un altro dei pilastri dell’intelligenza emotiva. Significa essere in grado di capire e interpretare le emozioni degli altri, mettendosi nei loro panni, in modo da gestire le situazioni non solo dal proprio punto di vista, ma integrando anche quello altrui. L’empatia può essere emotiva (il capire, appunto, l’emozione), oppure cognitiva (ovvero la capacità di capire, durante una discussione o un confronto, il punto di vista dell’altro, prendendo sempre in considerazione il suo pensiero), e in ogni caso è uno strumento (oltre che molto umano) molto utile per diventare una persona credibile, affidabile, buona e influente in maniera positiva.

Ecco quindi la pervicacia, o in altre parole la motivazione. Essere motivati significa essere in grado di raggiungere i propri obiettivi anche durante le difficoltà, ponendosi obiettivi e spingendosi positivamente. Sul lavoro è importante a livello personale, ma lo è anche in senso sociale, poiché una persona emotivamente intelligente sa motivare gli altri, spingendoli e ispirandoli, diventando pilastro e aiutando il gruppo. Essere molto motivati, poi, significa imparare l’importanza della concentrazione, e sapere sfruttare la bellezza dell’immergersi completamente in un compito per cogliere tutte le positività.

Infine, l’attenzione verso gli altri, strettamente legata all’empatia e fondamentale per l’intelligenza emotiva, che implica in se stessa l’apertura all’altro. Essere attenti a chi ci sta di fronte significa ascoltare, interagire in maniera positiva, comprendere e sfruttare ciò che sappiamo per creare un rapporto solido, proficuo e di fiducia. Insomma, un rapporto di qualità. Questa qualità è importantissima non solo perché ci permette di realizzarci (socialmente e lavorativamente), ma anche perché permette di tirare fuori il meglio di se stesso e degli altri. Ecco perché le persone emotivamente intelligenti sviluppano naturalmente negli anni una capacità di ascolto sopra la media, una comunicazione non verbale preziosa che gli permette di entrare in connessione con l’interlocutore e una conseguente capacità di persuasione davvero utile nella vita.

Giulia Mandrino

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