Fare del bene con un biscotto!

Mercoledì, 02 Maggio 2018 11:21

Sono deliziosi, sono bellissimi, sono sani, gustosi, coccolosi. E poi sono buoni. Nel senso di “essere pieni di bontà, gentilezza e altruismo”. Parliamo dei Cuori di Biscotto di Telethon, che potremo acquistare in questi giorni nelle piazze italiane per sostenere la ricerca e un’iniziativa bellissima.

Fare del bene con un biscotto: grazie ai biscotti di Telethon possiamo sostenere la ricerca e dare speranza a tutte le mamme

Mamme, facciamo squadra: siamo vicine l’una per l’altra, sosteniamoci, aiutiamoci. Nel quotidiano, ovviamente, ma anche in occasioni straordinarie. Come questo weekend: il 5 e 6 maggio 2018, infatti, Fondazione Telethon scende in piazza per offrirci biscotti e beneficienza.

I Cuori di Biscotto che troveremo negli stand Telethon in tutta Italia (sono 1600 le piazze coinvolte) non sono solo deliziosi e belli da vedere (e da regalare!): li produce la storica pasticceria genovese Grondona e sono il simbolo di “Io per lei”, la campagna promossa questa primavera da Fondazione Telethon e Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare (UILDM), che supporta la ricerca scientifica per sconfiggere le malaria genetiche rare e che vuole dare la giusta e degna assistenza alle persone che vivono con una malattia neuromuscolare.

#ioperlei: questo l’hashtag ufficiale per sostenere l’iniziativa, che a noi sta molto a cuore. Perché comprare i magnifici Cuori di Biscotto significa sostenere le MAMME RARE. Quelle mamme che affrontano ogni giorno con forza, carattere e abbracciando le difficoltà la malattia dei propri bambini,

Noi sabato e domenica andremo in piazza e compreremo certamente le nostre scatole: siamo in prossimità della festa della mamma e le nostre amiche riceveranno i Cuori di Biscotto anche da parte nostra, non solo dei loro bambini. Perché essere mamme vuol dire anche fare parte di una meravigliosa rete di donne forti, di donne coinvolte, di donne altruiste che si danno aiuto a vicenda, con le piccole e con le grandi cose!

Non preoccupatevi se non riuscirete ad essere in piazza: i biscotti sono disponibili all’acquisto anche sul sito ufficiale di Telethon, nel loro shop online. E per chi volesse sostenere l’iniziativa partecipando attivamente alla campagna, sarà possibile unirsi agli altri volontari, telefonando al numero 06.44015758 oppure scrivendo una mail all’indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

Insomma, noi compreremo i nostri Cuori di Biscotto, e poi organizzeremo un delizioso tè del pomeriggio insieme alle nostre amiche mamme. Per condividere, svagarci, ridere, riflettere. Proprio come una volta facevamo con la nostra, di mamma. Le cui scatole di biscotti erano iconiche e tenere.

Un biscotto sembra piccolo, ma in questo caso racchiude un mondo intero di beneficenza. E Telethon e l’Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare ringraziano di cuore. Anzi, #contuttoilcuore, con tutti i cuori di biscotto, con tutti i biscotti del mondo!

Giulia Mandrino

“Errare è umano”.

“Sbagliando s’impara”.

A volte i proverbi della tradizione, nella loro semplicità, sono quanto di più vero e sincero possiamo trovare. E per quanto riguarda l’argomento “errori” di certo ci azzeccano moltissimo.

Sbagliare serve all’essere umano. Serve per crescere, serve per imparare, serve per formare il proprio carattere e per fondare su qualcosa di solido i propri comportamenti. E noi non smetteremo mai di dirlo: dobbiamo lasciare che anche i nostri figli sbaglino, cadano, si sbuccino le (metaforiche e no) ginocchia, senza che noi stiamo sempre lì pronti a rimediare o a consolarli.

Ecco perché questo workshop ha preso immediatamente la nostra attenzione: si intitola “Maginifici fallimenti” e avrà luogo a Treviso i prossimi 11 e 12 maggio. E ora ve ne parliamo.

“Magnifici fallimenti”, un workshop con Erik Kessels: perché sbagliare è importante per la nostra crescita e perché dovremmo abbracciare i nostri fallimenti

Erik Kessels è molte cose: è un artista, è un designer, è un comunicatore, è un curatore fotografico, è un creativo (ed è sua l’agenzia di comunicazione KesselsKramer, che ha sedi a Londra e Amsterdam). Ed è proprio dalla sua esperienza che ha imparato moltissimo. Ora questa esperienza la mette a disposizione a noi, attraverso un libro e un workshop.

Il libro si intitola “Failed it!”, un titolo abbastanza spiritoso che gioca sull’assonanza tra “Nailed it!” (letteralmente, “Mi è riuscito perfettamente!”) e “Failed it!” (“Ho fallito miseramente”). Ma questo fallimento non è inteso come qualcosa di negativo, anzi. È inteso proprio come se fosse qualcosa che ci è riuscito da Dio. Perché anche fallire e sbagliare, come riuscire in qualcosa, è fondamentale per la nostra vita. Basta leggerlo nel modo giusto e fare del bagaglio tesoro.

Erik Kessels porterà quindi la sua esperienza e i suoi argomenti l’11 e il 12 maggio a Fabrica, centro di ricerca sulla comunicazione nato a Treviso (a Villorba) dalla mente di Luciano Benetton e Oliviero Toscani, parte del Benetton Group. Il corso (che ha un costo di 200 euro, si terrà in lingua inglese e sarà aperto ad un numero limitato di partecipanti - per info e iscrizioni rimandiamo al sito) si intitola “Magnifici Fallimenti”: attraverso i racconti e le spiegazioni di Kessels e qualche esercizio creativo e pratico (bisogna portare un laotop, un dispositivo per scattare fotografie e un proprio eventuale portfolio), il designer e comunicatore spiegherà e farà vivere sulla pelle dei partecipanti l’importanza degli errori.

La paura dell’errore, infatti, ci porta a frenare. Ci porta a spaventarci e a fermarci. Ma se la possibilità di fallimento ci fa sentire male, il rischio è quello di infossarci in qualcosa di apatico. E, come dice Kessels, a quel punto l’unica soluzione è quella di decidere di rinchiuderci in uno stanzino d’ufficio. Perché essere creativi significa affrontare e prendere per le corna il toro del fallimento!

Questo workshop, tuttavia, non è solo per creativi. O meglio, è perfetto per chi lavora con la propria creatività, ma la creatività non è relegata solo ai lavori “artistici”. La creatività serve a tutti, in tutte le professioni, in tutto ciò che facciamo nella vita. Ecco perché secondo noi il workshop è davvero adatto a chiunque. Perché aiuta a capire che è ora di superare il nostro bisogno di non sbagliare, la nostra necessità di essere perfetti.

No, non dobbiamo essere perfetti. Non possiamo. E non lo vogliamo. Dobbiamo lasciarci ispirare dagli errori, lasciarci guidare da loro nella giusta direzione. Chi parteciperà al corso potrà capirlo davvero: Kessels li costringerà a fallire. E sarà davvero liberatorio e costruttivo.

Giulia Mandrino

Alfie Kohn è uno scrittore che scrive libri riguardanti la genitorialità, l’educazione e il comportamento umano. Un suo libro, in particolare, ha avuto molto successo. Si intitola “Amarli senza se e senza ma” e parla di un approccio genitoriale diverso da quello a cui siamo abituati.

Alcuni parlano addirittura di una “lettura obbligata” per un genitore. Di certo è molto interessante questo volume, che parlando un po’ scientificamente e un po’ con esempi concreti (Kohn parla della sua diretta esperienza come genitore) ci porta a riflettere sulla parola “incondizionato”. Perché ciò che vuole trasmettere è un’educazione basata sull’amore incondizionato verso i figli.

Alfie Kohn e il suo “Amarli senza se e senza ma”: perché dovremmo educare i nostri figli sempre e comunque con amore incondizionato

Cosa significa educare sempre con amore incondizionato? Significa dare amore ai nostri bambini anche quando nella nostra testa (o nel sentire comune) andrebbero trattati più che con amore con autorità. Per spiegare meglio: quando sono esagitati, quando si comportano male, quando fanno capricci per tutto il giorno, quando devono imparare una lezione.

Quando ci troviamo in una di queste situazioni tendenzialmente adottiamo un atteggiamento (con varie e personali sfumature, naturalmente): quello di imporre la nostra autorità per impartire una lezione. Quando i bimbi si comportano male li sgridiamo, cerchiamo di farli riflettere, a volte li puniamo togliendo loro un privilegio (temporaneamente).

E se invece ci comportassimo esattamente all’opposto? E se invece di punirli, sgridarli o lasciare che piangano e si rattristino dopo un attimo li prendessimo in braccio, gli leggessimo una storia, li coccolassimo?

La teoria contenuta nel libro “Amarli senza se e senza ma” di Alfie Kohn (che potete acquistare qui) si fonda su un concetto attorno al quale si sviluppa tutto: ciò che è importante non è ciò che noi genitori pensiamo, ma ciò che il bambino pensa, ciò che il bambino prova.

Come dicevamo il libro è abbastanza scientifico, ma per capire ciò che Alfie Kohn intende basta affidarsi ai suoi esempi. Quando sua figlia, dopo l’arrivo del fratellino, comincia a comportarsi male, a pretendere e a comunicare solo per “no” infiniti, ciò che gli viene subito in mente è quello di metterla in punizione e mandarla a letto a riflettere sul suo comportamento. E probabilmente dopo un giorno d’esasperazione è ciò che verrebbe in mente anche a noi. E invece no. Non lo fa. Invece, la prende tra le sue braccia, la coccola, la calma, le fa i complimenti.

Ciò che pensiamo è una cosa: il suo comportamento è sbagliato perché in questo modo la figlia penserà che le andrà sempre liscia, che il suo atteggiamento anche se sbagliato non porta a conseguenze. Ma non è così. Perché?

Secondo Kohn, la punizione e il mandare a letto (o mandare in un angolo, o comunque cercare di imporre la nostra autorità) non faranno che peggiorare la situazione, facendo sentire la bambina ancora più infelice. Soprattutto, la faranno sentire più incompresa. E, ancor di più, le faranno credere di essere degna d’amore (perché l’amore per i bambini passa anche dai gesti) solo nei momenti in cui si comporta bene. E che il comportarsi “bene” sia fare ciò che i genitori si aspettano che lei faccia.

Insomma: coccolare i bimbi anche quando si comportano male non li porta a pensare “ok, fantastico, non importa se mi comporto così perché tanto va bene lo stesso. Continuerò a farlo!”. Piuttosto, l’amore farà sentire loro che abbiamo capito che qualcosa non va e che è giusto parlarne. Perché quel comportamento è l’unico modo che in quel momento hanno per comunicare con noi un malessere, un’infelicità, qualcosa che li fa stare male.

Alfie Kohn parla quindi in questo senso di “fiducia verso i bambini”. Che significa fidarsi di ciò che sono, di ciò che fanno, di ciò che comunicano, cercando di ascoltarli davvero.

In questo modo, potremo guidarli, accompagnarli, aiutarli. Senza imporre dittorialmente la nostra autorità, ma facendo la strada insieme a loro. La regola è: non focalizziamoci sul comportamento in sé, ma sul bambino che mette in atto questo comportamento.

Di certo mettere in atto questo amore incondizionato è molto difficile. Ci vogliono pazienza (tantissima) ed esperienza. Anche perché l’ambizione di questo libro è quella di raggiungere uno stato nel quale grazie all’amore incondizionato i nostri figli ci obbediranno molto di più.

Tutto si gioca sull’equilibrio tra le nostre richieste, le nostre regole e i loro no. La pressione è fortissima e la lastra di ghiaccio sulla quale ci muoviamo è molto sottile. Ma secondo Kohn in ogni caso le punizioni, i premi e i castighi non sono la soluzione, perché rappresentano solo forme di controllo che, come dicevamo prima, portano i nostri figli a crescere con la convinzione di essere brave persone e di essere amati solo nel momento in cui ci compiacciono.

Cambiando il nostro atteggiamento verso quello descritto da Kohn, secondo l’autore tutto si trasformerà in qualcosa di davvero molto più positivo, perché i nostri figli, che si sentiranno amati, ascoltati e capiti anche nei loro momenti peggiori, capiranno di essere amati per quello che sono e non per quello che fanno.

Come dicevamo è molto, molto difficile. Ma in fondo non è ciò che tutti noi genitori vorremmo? Che i nostri figli siano consapevoli del fatto che li amiamo a prescindere da ogni cosa, e a prescindere anche da ogni loro sbaglio?

Certamente è un obiettivo comune, che tuttavia rischia di offuscarsi e di non essere efficace se ci rifugiamo in una educazione fatta solo di punizioni, regole e autorità ferrea. Quella di Alfie Kohn è una tra le tante educazioni che ci portano a questo risultato. L’importante, come ripetiamo sempre, è ascoltare i bambini, dialogare, spiegare, comunicare, collaborare, esserci.

Giulia Mandrino

Una ricetta che viene dalla Francia, che è deliziosa e che è pure green, dato che possiamo realizzarla tutto l'anno semplicemente scegliendo la frutta di stagione che più ci aggrada! Noi stavolta abbiamo scelto le fragole, dato che da poco le troviamo anche al mercato.

Il Clafoutis francese: la ricetta della deliziosa torta d'oltralpe a base di frutta di stagione

 

Il merluzzo è tra i nostri pesci preferiti. È un pesce azzurro ricco di Omega3, e circa una volta alla settimana lo proponiamo in tavola (anche in forma di polpette o di bastoncini di pesce fatti in casa). Una ricetta che amiamo particolarmente è quella del merluzzo alle erbe, che ci permette di dare sapore al pesce senza salare eccessivamente!

Merluzzo alle erbe: la ricetta del merluzzo saporito al forno per proporre il pesce azzurro ai bambini

 

A volte la mancanza di fantasia ci fa rinunciare a dei buonissimi piatti. Che non devono per forza essere iper elaborati! I sandwich, ad esempio: basta pochissimo per rendere un semplice panino qualcosa di gustoso, nutriente e goloso, ma allo stesso tempo sano.

Ecco quindi 12 idee per sandwich sani e golosi che possiamo preparare in pochissimo tempo per un pranzo a scuola, un lunch veloce a casa o una merenda sfiziosa, senza rinunciare al benessere (la base? Sempre del buonissimo pane integrale, ai cereali o di segale tostato!).

12 idee di sandwich sani e golosi dolci e salati: le ricette per trasformare i soliti panini in qualcosa di strepitoso (in maniera semplicissima!)

Ricotta dolce, melograno e uvetta

Per merenda, questo sandwich a base di formaggio e frutta è l’ideale. Per stare più leggeri noi scegliamo una ricotta di capra, alla quale aggiungiamo del miele. Mescoliamo bene e poi lo spalmiamo sul pane integrale tostato, appoggiando poi sopra l’uvetta e i chicchi di melograno!

Radicchio, ravanelli e germogli di soia con olio e senape

Quando è stagione, i ravanelli arricchiscono benissimo i nostri panini: dopo aver condito del radicchio tagliato finissimo con olio e un pizzico di senape, adagiamo l’insalata sul sandwich e completiamo con dei ravanelli tagliati a fette e dei germogli di soia.

Crema di cioccolata homemade, mandorle e farina di cocco

La nostra crema di cioccolata homemade è perfetta per i sandwich dolci di colazione o merenda: spalmiamola sul pane tostato e guarniamo il panino con delle lamelle di mandorle e della farina di cocco.

Radicchio, pomodori e semi di girasole

Di nuovo il radicchio tagliato sottile (che a seconda delle stagioni possiamo sostituire con altra insalata a nostro piacimento): sarà alla base del nostro panino con radicchio, pomodorini tagliati a cubetti e semi di girasole!

Porro e carote

Tagliamo finemente il porro a rondelle: se ci piace il suo sapore (abbastanza forte, ma meno della cipolla!) sarà la base perfetta. Adagiamolo sulla nostra fetta di pane tostato con delle carote (o baby carote, o tagliate alla julienne) e condiamo con olio e sale alle erbe.

Crema di caprino e frutti rossi

Il caprino spalmabile è uno dei nostri formaggi preferiti (ed è anche più leggero rispetto al formaggio di latte vaccino). Spalmiamolo sul nostro panino tostato e adagiamoci sopra dei frutti rossi a scelta: sarà delizioso il contrasto tra dolce e salato!

Crema di caprino, more e uva

Stessa idea sta alla base dell’altro sandwich sano a base di caprino: possiamo sbizzarrirci con la frutta in cima. In questo caso more e uva, ma possiamo scegliere anche fragole e banane, oppure arance e finocchi…

Hummus, fagioli, carote, germogli di soia e semi di zucca

L’hummus di ceci è ottimo come base per i nostri sandwich integrali. Basta spalmarlo e completare con altri ingredienti a nostra scelta. In questo caso, fagioli, carote alla julienne, germogli di soia e semi di zucca.

Hummus, pomodori, germogli di soia e semi di zucca

Di nuovo l’hummus, ma stavolta in cima ci mettiamo dei pomodorini a cubetti (che lasciano andare un buonissimo sughetto), dei germogli di soia e dei semi di zucca.

Burro di mandorle, fragole e farina di cocco

Lo troviamo al supermercato ma possiamo anche farlo in casa: il burro di mandorle è delizioso! Prepariamo un semplice sandwich con burro di mandorle, fragole a fette e farina di cocco e gustiamoci il sapore pazzesco!

Porro e gamberi

Vi sono rimasti i gamberi scottati del risotto di ieri sera? No problem! Pane tostato, porro a rondelle, gamberi e un filo d’olio e sale sono il sandwich perfetto!

Ricotta dolce e bacche di Goji

Di nuovo la ricotta dolce (semplicemente mescolata con una punta di miele): è la base perfetta per mangiare le nostre bacche di Goji sul pane tostato!

Giulia Mandrino

Milano-Mongolia: tredicimila chilometri. Sì, tredicimila. E immaginate la fatica (e la bellezza!) di percorrere questa enorme distanza a bordo di una vecchia Fiat Panda!

Lo faranno il prossimo 26 luglio Federico, Marco e Luca, partecipando ad una delle più belle corse automobilistiche del mondo: la Mongol Rally. Che non è solo una corsa automobilistica, ma molto, molto di più. E che quest’anno ci sta ancora più a cuore perché il team Novy Gagarin ha un obiettivo ben preciso in testa: supportare la Fondazione Laureus Italia, che sostiene i minori che vivono in forti condizioni di depravazione socio-economica.

Da Milano alla Mongolia per superare le barriere: alla Mongol Rally il team Novy Gagarin percorrerà 13000 km a bordo di una Panda per sensibilizzare e supportare i ragazzi delle periferie

La Mongol Rally è una corsa automobilistica fantastica e iconica: parte da Milano (quest’anno il 26 luglio) e arriva a Ulan-Udė, in Siberia. Ma non è un semplice rally (godibile solo dagli uomini più appassionati di automobilismo). No: le regole sono bizzarre e divertentissime.

Innanzitutto, il Mongol Rally non ha carattere competitivo. La partenza è quindi libera. Ma, soprattutto, le vetture in “gara” non possono superare la cilindrata di 1.2 (tradotto per noi: non sono per niente potenti!), non si possono utilizzare GPS, mappe online o altre tecnologie (questo per incentivare l’interazione e il rapporto con le popolazioni locali dei luoghi attraversati) e ci si impegna a versare due quote in beneficienza: la prima è per l’associazione Cool Earth, che combatte la deforestazione della foresta pluviale), la seconda per una Onlus a propria scelta.

Il team Novy Gagarin ha deciso di partecipare, e per farlo salirà a bordo di una vecchia Fiat Panda del 1998 (che nostalgia!) ribattezzata “Vostok 85”. E ha deciso di supportare con la sua beneficienza la Fondazione Laureus Italia, di cui di fatto Federico, Marco e Luca sono ambasciatori internazionali. Per la Fondazione raccoglieranno fondi, ma soprattutto diffonderanno il suo messaggio.

Federico, Marco e Luca sono del 1985. Vengono dal milanese e ognuno ha una sua attività: Luca si occupa di cinema, Marco è biologo e ricercatore e Federico è impegnato nel digital marketing.

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La Fondazione Laureus - Sport for Good è da loro sostenuta perché fa una grande lavoro nelle periferie di Milano, Napoli e Roma. Dal 2005 è accanto ai minori che vivono in realtà difficili ed è attraverso lo sport che cerca di costruire tra loro una rete solida fatta di associazioni sportive, scuole, educatori e psicologi, per trasformare la pratica sportiva in opportunità per stimolare l’inclusione sociale, l’aggregazione e il superamento delle barriere.

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Tutto è pronto, ma in realtà c’è ancora molto da fare: se i ragazzi sono pronti per andare in Mongolia a bordo della loro Panda, ci tengono che anche noi ci impegniamo in prima linea in questa loro avventura. Ecco perché possiamo sostenere loro e l’associazione donando qualcosa, attraverso un crowdfunding: basta cliccare qui per scoprire come donare.

Donando una cifra a propria scelta si riceveranno dei gadget di ringraziamento, ma soprattutto si sosterrà la Fondazione Laureus - Sport for Good, che investe ogni anno 500 euro a bambino per inserirlo in un proprio progetto sportivo. I 500 euro coprono non solo un anno di attività sportiva, ma garantiscono ai ragazzi il supporto psicologico e pedagogico di cui hanno bisogno, un kit sportivo e l’assicurazione.

Giulia Mandrino

Il gentle parenting secondo L.R. Knost

Giovedì, 26 Aprile 2018 08:46

Quando un’attivista politica e femminista si rivolge al campo genitoriale, niente potrebbe andare storto. Perché certamente la sua empatia è ad un livello altissimo e perché al centro della sua attenzione non potrà che esserci il bene del bambino.

L.R. Knost è tutto questo: è attiva politicamente, sostiene l’uguaglianza di genere, è direttore della rivista Holistic Parenting Magazine e ha fondato il gruppo di consulto per genitori e famiglie Little Hearts/Gentle Parenting Resources, supportato dai suoi illuminanti libri. Perché i suoi studi trattano un argomento importantissimo, che a noi sta molto a cuore: il gentle parenting, ovvero la genitorialità gentile, l’essere genitori gentili con i propri figli.

Ma vediamo meglio insieme la pedagogia di L.R. Knost, e perché anche in Italia dovremmo cominciare a prenderla in considerazione.

Il gentle parenting secondo L.R. Knost: come la genitorialità gentile influenza i nostri figli secondo L.R. Knost

Sul sito internet di riferimento di L.R. Knost, Little Hearts Books, l’autrice ci introduce ad un mondo bellissimo per parlarci della genitorialità gentile. Cosa significa essere genitori gentili? Significa “guidare i nostri figli invece di controllarli, creare legami invece che punire, incoraggiare invece che pretendere. Significa ascoltare, comprendere, rispondere e comunicare. (…) Il tutto per sviluppare un approccio genitoriale più gentile, pacifico ed istintivo, nutrendo e facendo crescere le nostre risorse più preziose: i nostri figli!”.

Purtroppo viviamo in una società dove molte credenze in fatto di educazione e pedagogia sono ancora molto radicate (pur senza basi o fondamenti). Istintivamente, molte persone credono che utilizzare con i figli un approccio gentile e rispettoso significhi minare l’autorità adulta e di conseguenza non insegnare nulla o non educare per niente.

Nei suoi libri (per ora solo in lingua inglese), L.R. Knost parla di questo e spiega benissimo perché questa credenza sia assolutamente infondata. Perché essere genitori gentili non significa essere lascivi, buoni, permissivi o assenti. O “brocchi” (sì, molti lo credono). Perché il gentle parenting è semplicemente un modo diverso di porsi per ottenere gli stessi risultati con molti più benefici.

Essere genitori gentili significa ascoltare i propri figli. Significa rispettarli in quanto persone e non solo in quanto bambini. E vuol dire, come accennato, soprattutto guidarli e non imporgli tutto a prescindere. Questo atteggiamento è molto stimolante e non solo per i bambini, perché in questo modo i genitori sono molto più coinvolti e impegnati nella vita dei figli.

Il gente parenting è una modalità d’essere genitori molto attiva: guidando, siamo anche noi coinvolti in prima persona. Mettiamo più attenzione in tutto (anche perché il nostro esempio è ciò su cui si fonderà la vita di nostro figlio), partecipiamo, cerchiamo, organizziamo… Soprattutto, diventiamo molto più empatici, perché viviamo molti più momenti insieme ai bambini. Non “insieme” inteso come tempo quantitativo, ma qualitativo. Perché la nostra attenzione è molto più forte nel momento in cui siamo coinvolti, rispetto a quando imponiamo un ordine. Non credete?

Il tutto, naturalmente, non prescinde dai confini e dalle regole. I bambini ne hanno bisogno. Ma nel gentle parenting le regole sono viste più che come imposizioni, come opportunità di crescita, come insegnamento. Le si segue tutti insieme, non si sgarra, e quando si sgarra ci si ragiona sopra. Si trovano soluzioni insieme, si fanno strappi alla regola piacevoli e divertenti. Ma le regole ci sono, come in tutte le case e come è giusto che sia.

Ma avere regole non significa essere estremamente autoritari o dittatoriali.

E come si può essere genitori gentili? Come si raggiunge il gentle parenting? La regola è una, e cioè la gentilezza, che poi si traduce in empatia (ascoltiamo i nostri bambini, il loro cuore, le loro emozioni, e agiamo di conseguenza). E poi c’è l’esempio concreto che diamo noi genitori. Ma L.R. Knost ha comunque stilato dodici passi che sono molto utili ed estremamente interessanti per diventare genitori che fondano l’educazione dei propri figli sulla gentilezza.

RALLENTARE

Rallentare è fondamentale perché il gentle parenting si fonda su una forte connessione tra genitori e bambini. E per costruire e nutrire questa connessione non solo serve tempo per stare insieme, ma c’è bisogno di sfruttare appieno questo tempo, lentamente, assaporandolo. Un tempo che è solo per la famiglia.

ASCOLTARE

È solo ascoltando che conosciamo qualcuno per davvero, fino in fondo. E lo stesso vale con i nostri figli. Non importa quanto piccoli siano, non importa quale sia la loro forma di comunicazione. Ascoltare vuol dire connettere, vuol dire entrare in empatia, vuol dire conoscersi ed apprezzarsi. Vuol dire esserci anche quando non siamo d’accordo. Vuol dire ascoltare anche quando qualcuno non usa parole ma gesti (belli o brutti) per comunicare un bisogno.

VIVERE CIÒ CHE VOGLIAMO CHE I NOSTRI FIGLI IMPARINO

E questo passo parla proprio dell’esempio: a volte le parole non servono, non hanno utilità. Possiamo insegnare mille cose ai nostri bambini, ma se poi facciamo il contrario di ciò che diciamo, dove cadrà l’insegnamento? Le parole sono importanti, certo, ma è importante soprattutto confermare con i fatti ciò che insegniamo. L’educazione passa dal nostro esempio!

RESPIRARE

È come “rallentare”, ma più specifico: siamo spesso sopraffatti dalla vita frenetica, e anche se cerchiamo il tempo per stare in famiglia la nostra mente è sempre sul lavoro… Respiriamo, lasciamo lo stress fuori dalla porta di casa. 

LEGGERE

Oltre a tutte le attività che si possono fare insieme, leggere è certamente sul podio: rilassa, fa imparare qualcosa insieme, crea un legame, conforta (la voce della mamma e del papà che leggono la storia preferita è qualcosa di magico)…

TRASFORMARE I NO IN SÌ

Non significa dire di sì a tutto, ma porre diversamente la frase. Basta, ad esempio, trasformare il solito: “Non guardare la tv adesso!” in un: “Ora dobbiamo cenare, ma perché dopo non guardiamo insieme quel cartone che tanto ti piace?”.

GIOCARE

Giocare è il lavoro dei bambini, è il loro linguaggio. Lasciamo che giochino liberamente (è fondamentale per la loro crescita!) ma ogni tanto giochiamo insieme a loro. Ma giochiamo veramente, non svogliatamente o distrattamente. Perché anche attraverso il gioco possiamo comunicare, anche argomenti importanti! E poi si creano legami profondissimi.

MANGIARE BENE

Non fa bene solo a noi adulti, ma anche ai bambini. E stare bene fisicamente significa stare bene insieme. Il benessere del corpo si riflesse sul benessere mentale e psicologico!

RIDERE

Rilassiamoci, ridiamo, inventiamo battute che faranno ridere solo noi, divertiamoci! Non facciamo i sostenuti e lasciamoci andare con i nostri bambini. Per un attimo dimentichiamo i problemi del momento, anche quelli provocati dai bambini, e ridiamoci su!

COSTRUIRE

Costruire insieme. Lavorare ad un progetto. È incredibile quanto sia terapeutico. E non ci vuole molto: scegliete qualcosa che interessa ai bambini, o qualcosa che piace a entrambi (un terreno comune) e sviluppate un progetto: costruire insieme o organizzare in famiglia creerà un momento profondo, tra il divertente e il serio, e attraverso questa attività si svilupperà un legame molto forte.

ESSERE GRATI

Insegniamo ai nostri figli ad essere grati. Che è diverso dal dire semplicemente “Grazie”. È fare capire l’importanza del dono, dell’apprezzamento, dei complimenti. È essere consapevoli degli altri, di ciò che fanno per noi, della bellezza del fatto che ci siano!

FESTEGGIARE

Non date per scontata la vostra gentilezza, genitori: diventare genitori gentili è un grande passo e per questo va celebrato. Datevi una pacca sulla spalla e riconoscete i vostri sforzi. Ragionate, analizzate la vita della vostra famiglia, apprezzate le cose belle e imparate dagli errori!

Giulia Mandrino

Parto traumatico, parto pesante, esperienza terribile, ricordi tremendi: in un mare di madri che hanno vissuto il parto in maniera tranquilla e serena, ce ne sono ancora troppe che lo vivono male non per colpa dell’atto in sé, ma per la mancanza di cure o per il poco tatto che trovano attorno a loro.

Eppure c’è chi già nel secolo scorso aveva raccomandato la dolcezza del parto. Si tratta di Frédérick Leboyer, ginecologo e ostetrico francese ideatore del “parto dolce”, che non ha solo teorizzato l’importanza della nascita senza traumi ma che, tra le altre cose, ha introdotto il messaggio neonatale.

Leboyer, per un parto che sia il più dolce possibile: perché il bambino dovrebbe nascere senza traumi e come farlo, secondo Frédérick Leboyer

Frédérick Leboyer è vissuto nel secolo scorso ed è stato uno tra i ginecologi ed ostetrici più rinomati al mondo. A lui si deve la teoria secondo la quale il bambino dovrebbe nascere senza traumi (o comunque minimizzandoli il più possibile). Teoria che mise in pratica nella sua clinica parigina, nella quale ginecologi e ostetrici mettevano al mondo i bambini seguendo regole e iter studiati apposta per permettere al bambino una nascita senza inutili violenze o traumi.

Il metodo Leboyer si fonda essenzialmente su un concetto molto semplice eppure a volte dato per scontato o dimenticato: la mamma e il bambino hanno il DIRITTO ad un parto dolce e ad una buona nascita. E questo lo si ottiene con pochi ma fondamentali accorgimenti che le strutture ospedaliere o neonatali dovrebbero sempre prendere in considerazione.

L’importanza della nascita dolce è supportata da molte teorie psicologiche e neurologiche secondo le quali sono proprio le prime fasi nella vita a decidere il futuro mentale e fisico dell’essere umano. A seconda infatti del trauma vissuto durante il parto, il bambino avrà più o meno capacità di affrontare lo stress e di rispondere alle malattie, e il suo carattere verrà forgiato anche in conseguenza a questi momenti. Meno stress durante il parto significa meno stress per la vita, insomma.

La nascita tuttavia è sempre un trauma. È difficile sia per la mamma che per il bambino. Questo però non significa, secondo Leboyer, che dobbiamo lasciarci sopraffare da questa situazione o che dobbiamo adagiarci e non cercare di renderla meno difficoltosa.

Sono poche (ma buonissime) le regole da seguire.

Innanzitutto, durante il parto si dovrebbe creare l’atmosfera giusta per la madre. Luci non troppo forti e sparate, rumori attutiti, musica rilassante, voci pacate…

Banditi sono poi i movimenti troppo violenti come la rotazione o il tiraggio della testa del bambino per facilitare l’uscita dal canale vaginale. Meglio lasciare che la natura faccia il suo corso permettendo che i due corpi agiscano secondo quanto ritengono ottimale. E il tutto dovrebbe avvenire senza movimenti bruschi e sempre con luci delicate e suoni pacati.

Fondamentale è comunque anche il momento appena successivo alla nascita: Leboyer raccomanda di lasciare subito il bimbo sul ventre della madre (e in questo caso la pratica del breast crawling è davvero in linea con i precetti di Leboyer). La mamma, dal canto suo, è libera di accarezzarlo, cullarlo, parlargli, toccarlo… Il tutto contribuisce a rilassare il bambino, che sente il calore della madre e il suo battito cardiaco, calmandolo e facendolo sentire al sicuro.

Il cordone ombelicale, secondo Leboyer, non dovrebbe essere immediatamente tagliato, ma solo clampato e in un secondo momento reciso (solo una volta smesso di pulsare). Anche questo gesto serve per mantenere un attimo di tranquillità, dal momento che rende meno traumatico il passaggio alla respirazione polmonare: il bimbo qui “decide” da sé quando prendere il primo respiro, senza venire costretto dagli altri.

Le ostetriche, i ginecologi e chi lavora nella struttura non dovrebbe poi prendere troppo presto il bambino dalle braccia della madre per il bagnetto e le procedure mediche post parto. Meglio lasciare il tempo ai due di conoscersi, studiarsi e rilassarsi insieme: tutto (se il parto è stato fisiologico) può attendere.

Tutto, naturalmente, si riferisce ad un parto fisiologico senza problemi. In caso di complicanze, ai medici è ovviamente lasciata carta bianca di procedere chirurgicamente o in maniera tale da assicurare alla mamma e al bambino un parto senza pericoli.


Sono molti gli ospedali che già prendono questi accorgimenti. Ma in realtà se ci pensiamo la maggior parte delle strutture fa esattamente il contrario: le sale parto sono bianche e asettiche con luci accecanti, i rumori sono fortissimi, la frenesia attorno è palpabile, il bambino viene quasi immediatamente allontanato dalla madre…

La teoria e il metodo Leboyer è a nostro parere molto positiva e legittima. Ci piace pensare che il parto possa finalmente tornare ad essere qualcosa di naturale, poco traumatico per mamma e bambino, e che al centro ci sia il loro benessere non solo fisico ma anche mentale.

Tuttavia riteniamo anche che ogni donna debba decidere per se stessa e per il suo bambino. Ad esempio: per Frédérick Leboyer gli uomini dovrebbero essere esclusi dalla sala parto. Secondo lui la dimensione in cui la donna entra durante il parto è un momento unico, personale e trascendentale che l’uomo non potrà mai capire e per questo nelle sue sale parto gli uomini sono banditi.

Ma se una partoriente preferisce avere accanto a sé il proprio compagno, perché questo non dovrebbe esserci? Un parto non traumatico significa un parto nel quale le esigenze della madre e le sue legittime richieste vengono rispettate. Perché queste richieste non sono capricci, ma bisogni, bisogni che se soddisfatti rendono in maniera naturale il parto meno traumatico. Perché la mamma sa di cosa ha bisogno!

Detto questo, sarebbe davvero bello se il metodo Leboyer fosse seguito da tutte le strutture. Al centro ci sarebbero il benessere della madre e del bambino, ma soprattutto verrebbe favorito il legame tra loro, dal momento che i primi istanti della vita del bambino sono per lui fondamentali dal punto di vista del contatto e del legame! E poi basta riflettere un attimo: non stiamo meglio quando attorno a noi ci sono rilassamento, calma e poche urla? Ecco: anche il bambino la pensa così.

Se vi interessa approfondire le teorie di Leboyer, vi consigliamo i suoi libri, scientifici ma davvero utili e scritti in maniera comprensibile: “Nascere e Shantala”, che parla anche del massaggio infantile da lui ideato; e “Per una nascita senza violenza”.

Giulia Mandrino

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