Halloween è alle porte e quale modo migliore per entrare nel clima della festa se non con un bel brivido? Ma attenzione, non stiamo parlando di paure da incubo, bensì di storie divertenti e avventurose che sapranno conquistare anche i più piccoli. Mettiamoci comodi, accendiamo le luci soffuse e prepariamoci a tuffarci in un mondo di fantasmi, streghe e mostri... ma sempre con un sorriso sulle labbra!
Le piattaforme di audiolibri come Audible, Storytel e RaiPlay Sound offrono un vasto catalogo di storie perfette per Halloween. Ecco una selezione di titoli che faranno tremare di paura e ridere allo stesso tempo.
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Uno studio pubblicato sulla rivista eClinical Medicine, condotto su circa 1.300 bambini e ragazzi di età compresa tra 0 e 18 anni, ha rivelato che il Long Covid può durare fino a tre anni, con effetti significativi sulla vita scolastica e sulle attività quotidiane. La ricerca, condotta presso il Policlinico Gemelli di Roma, ha evidenziato che nonostante molti guariscano dal Covid, alcuni bambini continuano a manifestare sintomi a lungo termine. Il dottor Danilo Buonsenso, responsabile dello studio, ha sottolineato l'importanza della vaccinazione come fattore protettivo contro il Long Covid, ma con variazioni in base all'età e al numero di dosi ricevute.
Il Long Covid nei bambini si manifesta con sintomi che persistono per un periodo prolungato, anche fino a tre anni dopo l'infezione iniziale. I sintomi possono essere debilitanti e variare da stanchezza cronica a difficoltà respiratorie, dolori muscolari e problemi di concentrazione. Sebbene molti bambini riescano a guarire completamente dal Covid, lo studio ha confermato che una parte significativa di pazienti continua a soffrire di questi sintomi, compromettendo la loro capacità di riprendere le normali attività quotidiane.
Secondo il dottor Buonsenso, questi sintomi influenzano fortemente la vita scolastica dei bambini, che spesso non riescono a frequentare regolarmente la scuola o a partecipare ad attività extra-scolastiche a causa della debolezza fisica e mentale. Questo ha un impatto negativo non solo sulla loro formazione, ma anche sul loro sviluppo sociale e emotivo, poiché si trovano impossibilitati a svolgere le normali attività con i coetanei.
Lo studio ha evidenziato che la vaccinazione rappresenta un fattore protettivo contro il Long Covid, ma la sua efficacia dipende dal numero di dosi somministrate e dall'età del paziente. In particolare, i bambini che hanno ricevuto più dosi di vaccino sono risultati meno soggetti a sviluppare forme gravi di Long Covid o a soffrire di sintomi a lungo termine.
Il vaccino agisce come una sorta di scudo protettivo, riducendo la probabilità di contrarre il Long Covid anche in caso di reinfezione. Tuttavia, questo effetto protettivo varia in base a diversi fattori, e in alcuni casi i bambini possono comunque sviluppare il Long Covid anche dopo una reinfezione, anche se il rischio complessivo è considerato molto basso. È dunque essenziale che i genitori considerino la vaccinazione come una misura preventiva importante, non solo per proteggere i bambini dall'infezione iniziale, ma anche per mitigare il rischio di sintomi a lungo termine.
I bambini che soffrono di Long Covid spesso riportano difficoltà nella gestione delle attività scolastiche. L'affaticamento cronico e i problemi di concentrazione rendono difficile per loro seguire il programma scolastico, con conseguenze sul rendimento. Alcuni bambini sono costretti a ridurre o addirittura interrompere la frequenza scolastica per lunghi periodi, aumentando il rischio di isolamento sociale.
Inoltre, il Long Covid può influenzare negativamente la sfera emotiva dei bambini. La mancanza di energia e le difficoltà fisiche possono portare a un senso di frustrazione e tristezza, compromettendo il loro benessere mentale. I bambini che non possono partecipare alle attività sportive o sociali con i loro coetanei possono sentirsi emarginati, con un potenziale impatto sul loro sviluppo psicologico.
Per questo motivo, è importante che genitori, insegnanti e pediatri collaborino per garantire che i bambini affetti da Long Covid ricevano il supporto necessario sia a livello medico che scolastico. Adattare il carico di studio e fornire sostegno emotivo può fare una grande differenza nel recupero di questi bambini.
Un altro dato rilevante emerso dallo studio è che il rischio di presentare una forma grave di Covid in caso di reinfezione nei 24-36 mesi successivi all'infezione iniziale è estremamente basso. Tuttavia, anche se raro, è possibile che i bambini sviluppino il Long Covid dopo una reinfezione. Questo sottolinea l'importanza di continuare a monitorare la salute dei bambini che hanno già contratto il virus e di mantenere misure preventive adeguate.
Inoltre, lo studio ha dimostrato che i bambini con Long Covid sono a maggior rischio di infezioni sintomatiche rispetto ai loro coetanei che non hanno avuto il Long Covid. Questo significa che, nonostante il rischio complessivo di reinfezione sia basso, coloro che hanno già sofferto di Long Covid potrebbero essere più vulnerabili ad altre infezioni, rendendo necessarie ulteriori attenzioni da parte dei genitori e dei medici.
Il Disturbo Primario del Linguaggio (DPL) è una problematica che riguarda circa il 7,6% dei bambini in età prescolare e il 4% di quelli in età scolare, come riportato da un convegno della Federazione dei Logopedisti Italiani (Fli), tenutosi in occasione della Giornata Mondiale dedicata a questa condizione. Spesso sottovalutato, il DPL può influenzare non solo il rendimento scolastico, ma anche la salute mentale dei bambini, aumentando significativamente il rischio di sviluppare disturbi dell’apprendimento. Nonostante l’importanza di una diagnosi precoce, ancora oggi molti bambini e le loro famiglie non ricevono il supporto necessario.
Il Disturbo Primario del Linguaggio è un disturbo del neurosviluppo che si manifesta come difficoltà nell’acquisizione della lingua madre, senza la presenza di altri deficit cognitivi, sensoriali o ambientali. In parole semplici, i bambini con DPL hanno difficoltà a parlare e comprendere il linguaggio rispetto ai loro coetanei, ma non per cause esterne come problemi di udito o ritardi cognitivi.
Secondo Anna Giulia De Cagno, logopedista e vicepresidente della FLI che riferisce queste cose ad Ansa, questo disturbo colpisce 1 bambino su 14 in età prescolare. Il DPL può presentarsi in diverse forme, dalla totale assenza di linguaggio verbale a difficoltà più lievi nel parlare e comprendere parole e frasi. La gravità del disturbo varia, e la diagnosi è fondamentale per intervenire tempestivamente e fornire al bambino il supporto necessario per sviluppare le proprie competenze linguistiche.
Un aspetto preoccupante è che spesso il DPL non viene riconosciuto, ritardando l’intervento che, invece, potrebbe fare la differenza. Gli studi dimostrano che un trattamento precoce e mirato può migliorare notevolmente la qualità della vita del bambino, prevenendo ulteriori difficoltà sia a livello scolastico che emotivo.
Per genitori, insegnanti e pediatri, è cruciale saper riconoscere i segnali di rischio che possono indicare la presenza di un Disturbo Primario del Linguaggio. Secondo Francesca Mollo, logopedista e referente della FLI, il DPL può essere diagnosticato già a partire dai 4 anni, quando i bambini iniziano a sviluppare le loro abilità linguistiche in modo più evidente.
Alcuni dei segnali precoci che possono far sospettare la presenza del disturbo includono:
Riconoscere questi segnali in tempo consente di intervenire precocemente con terapie logopediche adeguate, che possono migliorare significativamente il quadro clinico del bambino. È importante anche coinvolgere attivamente la famiglia, affinché il trattamento sia efficace e continuativo.
Il ruolo dei genitori e degli insegnanti è fondamentale nel riconoscere il disturbo, ma altrettanto cruciale è il coinvolgimento delle istituzioni sanitarie e scolastiche per garantire un intervento tempestivo. Il DPL non è solo una difficoltà linguistica temporanea, ma può avere ripercussioni importanti sul rendimento scolastico e sulla salute mentaledel bambino.
I bambini con DPL hanno un rischio 12 volte maggiore di sviluppare un Disturbo Specifico dell’Apprendimento (DSA), come la dislessia, se il disturbo non viene trattato adeguatamente. Inoltre, secondo i dati presentati al convegno della FLI, questi bambini hanno un rischio aumentato del 30% di sviluppare problemi di fragilità emotiva e depressione rispetto ai coetanei senza DPL.
Un intervento logopedico precoce, combinato con il supporto scolastico e familiare, può aiutare il bambino a superare molte delle difficoltà linguistiche e prevenire complicazioni future. Per questo, è essenziale promuovere una maggiore sensibilizzazione sul tema, in modo che sempre più genitori e insegnanti siano in grado di individuare il disturbo e richiedere una diagnosi accurata.
Una volta diagnosticato il Disturbo Primario del Linguaggio, esistono diverse strategie che possono aiutare i bambini a sviluppare le loro capacità comunicative. Il trattamento più efficace è rappresentato dalla logopedia, che può essere adattata alle esigenze specifiche del bambino in base alla gravità del disturbo.
Oltre alla logopedia, è utile creare un ambiente che favorisca l’apprendimento del linguaggio anche a casa e a scuola. Ecco alcune strategie che genitori e insegnanti possono adottare:
Secondo Tiziana Rossetto, logopedista e presidente nazionale della FLI, è cruciale che il DPL sia reso visibile e riconosciuto anche in ambienti scolastici e lavorativi, affinché si possano adottare strategie comunicative adeguate che permettano alle persone con questo disturbo di esprimersi pienamente.
Rendere il Disturbo Primario del Linguaggio più noto e compreso è un passo fondamentale per garantire un futuro migliore a tutti i bambini che ne sono affetti. Con l’intervento giusto e il sostegno delle figure educative e professionali, è possibile fare la differenza nella vita di questi piccoli.
Il Senato italiano ha approvato una nuova legge che rende la gestazione per altri (GPA), detta fino a qualche tempo fa (erroneamente) maternità surrogata o - peggio- utero in affitto, un reato universale. Il testo, proposto dalla deputata di Fratelli d’Italia Carolina Varchi, mira a punire chiunque ricorra a questa pratica, anche all’estero.
In Italia la GPA è vietata dal 2004, ma ora la nuova norma estende il divieto anche agli italiani che scelgono di praticarla in Paesi dove è legale, prevedendo pene fino a due anni di reclusione e multe fino a un milione di euro.
Con l’approvazione di questa legge, chi ricorre alla GPA all’estero potrebbe essere perseguito penalmente in Italia. Il principio del “reato universale” viene qui applicato per contrastare una pratica che, secondo la destra italiana, minerebbe i valori tradizionali della famiglia. Il testo ha incontrato forte sostegno dal partito Fratelli d’Italia, che si ispira a ideali di protezione della famiglia tradizionale e di difesa della genitorialità biologica.
Questa legge rappresenta uno degli interventi più restrittivi in Europa sulla GPA e va oltre il semplice divieto all’interno del territorio nazionale, introducendo una punibilità per i cittadini italiani che si recano all’estero per accedere a questa forma di genitorialità. Le sanzioni possono arrivare fino a due anni di reclusione e prevedono una multa di circa un milione di euro, con l’obiettivo di disincentivare completamente il ricorso a questa pratica.
La GPA, nota anche come maternità surrogata, è una pratica che permette a una coppia o a un singolo di avere un figlio attraverso una persona che porti avanti la gravidanza per loro conto. La pratica è legale in vari Paesi come Stati Uniti, Canada e Grecia, dove le cliniche offrono assistenza alle coppie che, per motivi biologici o personali, non possono portare a termine una gravidanza.
In Italia, tuttavia, la GPA è vietata dal 2004, e questo divieto è stato applicato rigorosamente per oltre due decenni. Le coppie italiane, che secondo stime sono circa 250 ogni anno, ricorrono per lo più a cliniche all’estero per diventare genitori tramite GPA e, una volta rientrate in Italia, chiedono la trascrizione dell’atto di nascita del bambino all’anagrafe.
Le coppie che intraprendono questo percorso sono per il 90% eterosessuali, secondo quanto riportato dai media italiani.
L’estensione della punibilità della GPA anche all’estero potrebbe avere ripercussioni legali per chi sceglie di intraprendere questa strada. Le famiglie che ricorrono alla maternità surrogata in Paesi esteri potrebbero dover affrontare procedimenti giudiziari al ritorno in Italia, con il rischio di sanzioni pesanti e l'impossibilità di vedersi riconosciuti come genitori legali del bambino.
La trascrizione dell’atto di nascita è già stata motivo di disputa giuridica in passato, con i tribunali italiani che si sono trovati a dover decidere caso per caso. Tuttavia, l’introduzione del reato universale potrebbe complicare ulteriormente la situazione, creando incertezza legale per i genitori e per i figli nati tramite GPA.
Critici della legge sollevano preoccupazioni anche sull’efficacia e sulla legittimità del provvedimento. Alcuni costituzionalisti sostengono che il reato universale per la GPA sia difficilmente applicabile e abbia possibili profili di incostituzionalità, specie considerando che la pratica è consentita in altri Stati. L’Italia potrebbe trovarsi in difficoltà a far rispettare una legge che si scontra con normative estere, aprendo possibili contenziosi diplomatici e giuridici.
Secondo i critici, la legge potrebbe essere considerata discriminatoria per diverse categorie di persone. Le coppie eterosessuali infertili, che rappresentano la maggioranza delle coppie italiane che ricorrono alla GPA, sono tra le più colpite, trovandosi private di una delle poche opzioni disponibili per diventare genitori biologici. Ma il divieto colpisce anche le coppie omosessuali (soprattutto composte da uomini), che spesso non hanno altre possibilità per formare una famiglia tramite legami biologici, esacerbando così le disuguaglianze nell’accesso alla genitorialità.
I gruppi che difendono i diritti civili e LGBTQ+ evidenziano che la legge potrebbe accentuare le discriminazioni, dato che limita ulteriormente le opzioni per le coppie dello stesso sesso. La GPA rappresenta, infatti, una via percorribile soprattutto per le coppie omosessuali maschili, impossibilitate biologicamente ad avere figli senza l’ausilio di una terza persona. Questa legge, sostenuta principalmente da forze politiche conservatrici, è vista come un tentativo di promuovere una visione di famiglia esclusivamente eterosessuale e biologica.
In un contesto globale dove molti Paesi stanno ampliando i diritti riproduttivi e famigliari, la scelta italiana di criminalizzare la GPA anche all’estero rischia di isolare l’Italia dal panorama europeo e internazionale, sollevando questioni etiche e giuridiche che continueranno a dividere l’opinione pubblica.
Durante la gravidanza, molti alimenti sono soggetti a una valutazione accurata, e spesso alcune raccomandazioni mediche differiscono da paese a paese. I funghi rientrano tra gli alimenti che destano dubbi: il Ministero della Salute italiano suggerisce di evitare il consumo di funghi durante la gestazione, così come per i bambini piccoli.
Tuttavia, questa raccomandazione non trova riscontro nelle linee guida di altri Paesi, dove i funghi sono comunemente consumati senza particolari restrizioni. È fondamentale approfondire le motivazioni alla base di questa raccomandazione e valutare i potenziali benefici e rischi del consumo di funghi durante la gravidanza.
I funghi sono alimenti ricchi di nutrienti essenziali come vitamine, minerali e antiossidanti. Ad esempio, contengono vitamine del gruppo B (come la B2 e la B3), vitamina D, selenio, rame e potassio. Questi nutrienti sono importanti per il benessere generale e per la salute del feto in crescita. La vitamina D, presente soprattutto nei funghi esposti alla luce solare, contribuisce alla salute delle ossa e del sistema immunitario. Inoltre, il potassio aiuta a regolare la pressione sanguigna, un fattore importante in gravidanza.
Tuttavia, per ottenere questi benefici senza rischi, è consigliato scegliere funghi coltivati e certificati, che sono soggetti a controlli di qualità e di sicurezza alimentare. I funghi selvatici, infatti, possono contenere tossine o essere contaminati da sostanze pericolose se non raccolti correttamente.
L’opuscolo informativo del Ministero della Salute italiano sconsiglia il consumo di funghi a determinate categorie, tra cui persone in gravidanza, bambini e persone con specifiche patologie. Questa raccomandazione sembra derivare dal rischio di intossicazione legato ai funghi selvatici. Alcune specie di funghi raccolti in natura contengono tossine pericolose che possono provocare sintomi quali vomito, diarrea e, nei casi più gravi, danni epatici. Questo rischio ha probabilmente portato a una precauzione estensiva che include anche i funghi coltivati, benché il rischio sia quasi nullo per questi ultimi, in quanto provenienti da ambienti controllati.
A differenza dell’Italia, in molti Paesi non ci sono limitazioni specifiche sul consumo di funghi durante la gravidanza, a patto che siano funghi coltivati. Questo indica una differenza culturale e normativa, più che una questione di sicurezza scientificamente provata.
Una delle motivazioni comunemente citate per l’evitare i funghi durante la gravidanza riguarda la loro difficoltà di digestione. I funghi contengono chitina, una fibra resistente che può risultare complessa da digerire, e zuccheri come il mannitolo e il trealosio, che potrebbero causare disagi intestinali. Durante la gravidanza, il sistema digestivo può essere più sensibile, e alimenti ricchi di fibre e zuccheri complessi, come i funghi, potrebbero contribuire a problemi digestivi come gonfiore e crampi.
Tuttavia, non ci sono prove che gli zuccheri specifici dei funghi siano particolarmente problematici per le persone in gravidanza rispetto ad altri tipi di fibra. Molti specialisti suggeriscono che moderare le porzioni e scegliere funghi ben cotti possa essere sufficiente per ridurre i possibili effetti collaterali.
Se si desidera includere i funghi nella dieta durante la gravidanza, è importante seguire alcune precauzioni fondamentali:
Seguendo questi accorgimenti, molte persone possono consumare funghi senza problemi durante la gravidanza, godendo dei loro benefici senza rischi.
Il divieto italiano di consumare funghi in gravidanza risulta singolare, soprattutto considerando che altri paesi non pongono questa restrizione. Ad esempio, le linee guida alimentari statunitensi e canadesi non fanno menzione di un rischio specifico legato ai funghi per le donne incinte. In Francia, i funghi sono ammessi anche nella dieta dei bambini, purché siano introdotti gradualmente e ben cotti. Lo fa presente anche il sito Uppa.
Questa differenza potrebbe derivare da un contesto culturale piuttosto che da una valutazione scientifica oggettiva. In Italia, il consumo di funghi selvatici è comune, e questo aumenta la possibilità di intossicazioni alimentari, spingendo le autorità sanitarie a raccomandare una maggiore prudenza. Nei paesi dove i funghi selvatici non sono diffusi, le istituzioni sanitarie non percepiscono il bisogno di una raccomandazione così restrittiva.
Mamma Pret a Porter non è una testata medica e le informazioni fornite hanno scopo puramente informativo e sono di natura generale, esse non possono sostituire in alcun modo le prescrizioni di un medico o di un pediatra (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione), o, nei casi specifici, di altri operatori sanitari (odontoiatri, infermieri, psicologi, farmacisti, fisioterapisti, ecc.) abilitati a norma di legge. Le nozioni sulle posologie, le procedure mediche e le descrizione dei prodotti presenti in questo sito hanno un fine illustrativo e non devono essere considerate come consiglio medico o legale.
Quando arriva il momento di spiegare ai bambini da dove vengono i bambini o come nascono, molti genitori si sentono impreparati. Si tratta di una domanda naturale e sana che, affrontata con un linguaggio chiaro, sincero e rispettoso, può contribuire a sviluppare un dialogo di fiducia e apertura su un argomento importante.
Non esiste un’età specifica per questa domanda; alcuni bambini iniziano a mostrare curiosità già dai tre o quattro anni, mentre altri solo più tardi. Per questo è utile prepararsi a rispondere in modo adeguato, senza trasmettere ansia o imbarazzo. Di seguito alcuni consigli per aiutare i genitori a rispondere alla classica domanda: “Come si fanno i bambini?” in modo adatto a ogni età e livello di comprensione.
Prima di rispondere, è importante ascoltare attentamente cosa chiede realmente il bambino. Spesso i più piccoli non cercano dettagli scientifici completi, ma vogliono risposte semplici e rassicuranti. Un buon modo per iniziare è chiedere loro cosa sanno già o cosa vorrebbero sapere. Ad esempio, se un bambino chiede “Da dove vengono i bambini?”, si potrebbe iniziare con: “Cosa pensi tu?” o “Che idea ti sei fatto?”
Adeguare il linguaggio all’età e al livello di comprensione del bambino è essenziale. I bambini in età prescolare potrebbero accontentarsi di sapere che i bambini “crescono nella pancia della mamma”, mentre quelli più grandi, soprattutto in età scolare, potrebbero voler conoscere i dettagli su come nascono o come si sviluppano. In ogni caso, è importante non mentire e non usare parole che possano confondere. È meglio fornire una spiegazione semplice, onesta e rispettosa della loro capacità di comprensione.
Per spiegare come si fanno i bambini, le metafore possono essere uno strumento utile. Ad esempio, si può fare un paragone con i semi delle piante. “Come un seme piantato nella terra cresce fino a diventare una pianta, così un seme speciale del papà incontra un ovulo della mamma e insieme iniziano a crescere fino a diventare un bambino.” Questo tipo di paragone non è solo comprensibile, ma evita di entrare in dettagli che possono essere inappropriati per l’età del bambino.
Le metafore legate alla natura aiutano a rispondere senza imbarazzo, facendo vedere la nascita come un processo naturale. È importante sottolineare che “ci vuole tempo”, proprio come una pianta che cresce lentamente, per aiutare i bambini a capire che ogni cosa ha il suo corso naturale.
Nel rispondere alla domanda “Come si fanno i bambini?”, può essere utile procedere per gradi. Si può iniziare dicendo che ogni persona è nata e che ogni bambino inizia a crescere all’interno della pancia della mamma. Evitare dettagli troppo specifici fino a quando non ci sono domande più precise è di solito la scelta migliore per evitare confusione. Ecco alcuni passaggi che possono essere utili per spiegare il concetto ai bambini:
Quando i bambini hanno un po' più di età e fanno domande più specifiche, potrebbe essere opportuno rispondere con informazioni semplici ma corrette sui corpi maschili e femminili, mantenendo sempre un linguaggio rispettoso e appropriato.
Essere sinceri senza entrare in dettagli inappropriati è un equilibrio importante da mantenere. Anche se rispondere alla domanda “Come si fanno i bambini?” può far sentire a disagio molti adulti, ricordare che i bambini cercano una risposta naturale può aiutare a mantenere la conversazione rilassata.
Se il bambino chiede qualcosa di specifico e si sente che non è ancora il momento di entrare in certi argomenti, è possibile rispondere in modo generico e rassicurante, spiegando che potrà capire meglio quando sarà un po' più grande. Un esempio potrebbe essere: “È un po’ complicato, ma te lo spiegherò meglio quando sarai più grande. Per ora, sappi che quando due persone si vogliono bene, possono decidere di avere un bambino insieme.”
Favorire una comunicazione aperta e sicura permette al bambino di sentirsi a suo agio nel fare domande e nel cercare risposte. Mostrare disponibilità e accettazione per ogni domanda è importante per rafforzare la fiducia e costruire un dialogo sano.
Rispondere in modo sincero alla domanda “Come si fanno i bambini?” rappresenta un’occasione per educare i bambini all’importanza del rispetto per il proprio corpo e per la propria intimità. In questo modo, possono crescere consapevoli delle dinamiche che caratterizzano il ciclo della vita, senza paura o vergogna.
Incoraggiare una comunicazione aperta e rispettosa con i propri figli li aiuta anche a sviluppare una visione positiva e naturale della sessualità, a capire l'importanza delle relazioni basate sul rispetto reciproco e a sviluppare una sana percezione del proprio corpo. I bambini apprendono e interiorizzano ciò che vedono e sentono dai genitori, e iniziare da subito a parlare apertamente, senza stigmatizzare, può aiutarli a costruire relazioni future serene e positive.
Con il giusto approccio, questa domanda non diventa un argomento difficile, ma una meravigliosa opportunità di dialogo.
La ribollita è una delle zuppe più rappresentative della tradizione toscana e della cucina italiana, che molto spesso è naturalmente veg.
Nata come piatto povero, si prepara con ingredienti semplici e di stagione come cavolo nero, fagioli cannellini, verdure e pane raffermo. La ribollita, che significa esattamente bollita una seconda volta dopo la cottura, ha un sapore intenso e corposo, perfetta per i mesi invernali.
Scopri come prepararla seguendo questa ricetta originale. I consigli per una ribollita perfetta? Eccoli:
Gli occhi rossi nei bambini potrebbero essere stanchezza, ma a volte si tratta di congiuntivite.
La congiuntivite è un'infiammazione della congiuntiva, il tessuto che riveste la parte interna delle palpebre e la superficie del bulbo oculare. Colpisce frequentemente i bambini, specie quelli che frequentano asili e scuole, dove il contagio è più facile.
Conoscerne le cause e i sintomi, e sapere come trattarla, è essenziale per ridurre il rischio di complicazioni e favorire una rapida guarigione. Gli occhi dei bambini necessitano attenzione!
La congiuntivite può avere diverse cause e ognuna di queste ha modalità di trattamento specifiche. Tra le cause principali ci sono:
Riconoscere i sintomi della congiuntivite può aiutare a intervenire rapidamente e a prevenire il contagio ad altri bambini o familiari. I sintomi variano a seconda della causa dell’infiammazione, ma i seguenti sono i più comuni:
Consultare un pediatra o un oftalmologo è fondamentale per identificare la causa esatta della congiuntivite e seguire il trattamento più adatto. Le opzioni terapeutiche variano in base al tipo di congiuntivite:
Per prevenire il diffondersi della congiuntivite, specialmente in ambienti scolastici, è utile osservare alcune pratiche igieniche. Ecco alcuni consigli efficaci:
Alcuni sintomi richiedono un intervento medico immediato per escludere complicazioni o infezioni più gravi. Tra i segnali a cui prestare particolare attenzione ci sono:
Essere informati sulla congiuntivite e sui metodi di prevenzione consente ai genitori di agire tempestivamente e in sicurezza, riducendo così i disagi per il bambino e le probabilità di contagio agli altri.
Mamma Pret a Porter non è una testata medica e le informazioni fornite hanno scopo puramente informativo e sono di natura generale, esse non possono sostituire in alcun modo le prescrizioni di un medico o di un pediatra (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione), o, nei casi specifici, di altri operatori sanitari (odontoiatri, infermieri, psicologi, farmacisti, fisioterapisti, ecc.) abilitati a norma di legge. Le nozioni sulle posologie, le procedure mediche e le descrizione dei prodotti presenti in questo sito hanno un fine illustrativo e non devono essere considerate come consiglio medico o legale.
La dipendenza da schermo tra gli adolescenti e i bambini è un fenomeno in crescita, complicato dalla facilità con cui giovani e giovanissimi possono accedere a smartphone, computer e tablet. Secondo uno studio condotto dalla Screens and Gaming Disorder Clinic e dall'Università Macquarie di Sydney, la gestione dell'uso dello schermo da parte dei genitori può influire positivamente nel ridurre questa dipendenza senza ricorrere a misure drastiche come la completa eliminazione dei dispositivi.
La dipendenza da schermo nei giovani presenta spesso effetti negativi su vari aspetti della loro vita. Problemi di concentrazione, difficoltà nel completamento dei compiti scolastici e scontri in famiglia sono alcuni dei sintomi tipici di questa dipendenza. Come osservato dai ricercatori australiani, il 32% dei genitori coinvolti ha segnalato una riduzione significativa dei sintomi di dipendenza nei figli grazie a misure di controllo consapevoli (come riporta Ansa). Inoltre, per i giovani con sintomi specifici di dipendenza dai videogiochi, il tasso di successo è salito fino al 60%.
La ricerca ha suggerito cinque strategie principali che i genitori possono adottare per ridurre la dipendenza da schermo nei loro figli, tutte volte a incentivare l'autocontrollo, piuttosto che una privazione totale:
Uno degli elementi più interessanti della ricerca è il suggerimento che ridurre e regolare l'uso degli schermi sia più efficace di un divieto totale. Gli smartphone e le app sono spesso progettati per trattenere l’utente il più a lungo possibile, stimolando continuamente l’attenzione. Questa caratteristica degli schermi digitali fa sì che anche gli adulti possano trovare difficoltà a mantenere un uso moderato. Per adolescenti e pre-adolescenti, ancora in fase di sviluppo neurologico, la regolamentazione diventa ancora più importante per la capacità di autoregolazione.
L’intervento e l’applicazione di regole razionali possono aiutare i ragazzi a sviluppare abitudini sane e a non dipendere interamente dalla gratificazione immediata offerta dagli schermi. La condivisione delle scelte con i giovani, il rispetto delle loro preferenze e la considerazione dei loro bisogni sono fondamentali per promuovere un rapporto equilibrato con i dispositivi.
Per prevenire e ridurre la dipendenza da schermo, è fondamentale che i genitori siano informati sulle dinamiche psicologiche che ne stanno alla base. Promuovere l'educazione sull'uso consapevole e responsabile della tecnologia può fornire agli adolescenti strumenti per gestire la propria relazione con i dispositivi, rendendoli meno suscettibili alle tentazioni e più autonomi.
Una nuova ricerca presentata al National Conference & Exhibition 2024 dell'American Academy of Pediatrics a Orlando solleva un allarme preoccupante: i social media stanno diventando uno strumento per adescare e abusare di adolescenti. Lo studio evidenzia come Instagram e Snapchat siano tra le piattaforme più utilizzate dai predatori, soprattutto nei casi in cui l'aggressore non ha legami di parentela con la vittima. Si stima che il 7% degli adolescenti vittime di abusi sessuali abbia subito aggressioni facilitate dai social, un dato che sale al 12% tra le vittime i cui aggressori erano estranei.
Negli ultimi anni, i social media sono diventati una componente fondamentale della vita degli adolescenti. Secondo Miguel Cano, pediatra specializzato in abusi e autore della ricerca (che ha parlato con Ansa), questi spazi digitali offrono notevoli vantaggi, come la possibilità di connettersi con amici e parenti. Tuttavia, Cano mette in guardia sui rischi: "Sebbene l'uso dei social media offra vantaggi come il collegamento con altre persone e il mantenimento dei contatti con familiari e amici in tutto il mondo, esistono anche molti pericoli ben documentati".
Tra i rischi associati all'uso dei social media ci sono cyberbullismo, molestie, esposizione a contenuti inappropriati e l'adescamento da parte di predatori sessuali. Il problema principale è che questi ultimi sfruttano la possibilità di comunicare con gli adolescenti in maniera anonima, creando un'apparenza di sicurezza e familiarità che porta spesso le giovani vittime a fidarsi e a instaurare un legame con chi sta dall'altra parte dello schermo.
Lo studio ha coinvolto adolescenti di età compresa tra i 10 e i 18 anni che si sono rivolti al Chadwick Center for Children and Families del Rady Children's Hospital tra il 2018 e il 2023 per denunciare abusi sessuali. I dati emersi sono allarmanti. L'età media delle vittime è di appena 13 anni, e ben l'89% delle vittime è composto da ragazze. In molti casi (60%), l'aggressore è un membro della famiglia, ma quando il responsabile è un estraneo, la percentuale di aggressioni facilitate dai social sale al 12%.
Gli aggressori, per lo più uomini adulti, riescono a sfruttare i social media per stabilire un contatto iniziale con le vittime, spesso portando questi incontri virtuali a incontri reali che possono sfociare in abusi sessuali. Instagram e Snapchatemergono come le piattaforme più frequentemente utilizzate dai predatori, anche a causa della mancanza di controlli e dell’accessibilità alle informazioni personali degli utenti. Secondo la ricerca, la facilità con cui questi social permettono di connettersi con estranei senza alcuna supervisione rappresenta un fattore di rischio importante.
Di fronte a questa situazione, Cano lancia un appello ai genitori, agli educatori e ai pediatri affinché comprendano il pericolo rappresentato dai social media e mettano in atto strategie preventive per proteggere i minori. I social medianecessitano di regole più rigide e controlli più accurati per limitare la possibilità di abuso, ma è altrettanto essenziale che anche le famiglie si impegnino a monitorare l'attività online dei propri figli.
Tra le raccomandazioni più importanti per i genitori e i tutori ci sono:
L’assenza di regole e la difficoltà di controllare in modo efficace l’attività online sui social media rappresentano un grosso limite per la tutela dei minori. Mentre le piattaforme come Instagram e Snapchat stanno sviluppando misure di sicurezza per prevenire abusi, il rischio resta elevato a causa della facilità con cui gli adolescenti possono essere contattati da sconosciuti.
Per risolvere questo problema, è essenziale l’introduzione di normative che impongano alle piattaforme social di attuare misure di verifica dell’età e di identificazione più rigorose. Cano conclude con un appello alle autorità e agli sviluppatori di social media affinché lavorino insieme per ridurre i rischi online, proteggendo gli adolescenti dai pericoli sempre più frequenti del mondo digitale.