Adolescenti su Instagram, le nuove regole

Giovedì, 19 Settembre 2024 06:53

Instagram, la popolare piattaforma di social media di proprietà di Meta, ha annunciato una serie di nuove misure per proteggere i minori online. La novità principale è l’introduzione degli “account per teenager”, che includono protezioni automatiche per limitare chi può contattare i giovani utenti e quali contenuti possono vedere. Questa mossa arriva in risposta alle crescenti preoccupazioni globali riguardo alla sicurezza dei minori sui social media, in particolare gli adolescenti.

Account per teenager: cosa cambia

Gli account per teenager saranno configurati automaticamente per tutti gli utenti minorenni. Questo significa che i profili dei minori di 16 anni avranno impostazioni predefinite più restrittive, e qualsiasi modifica a queste impostazioni richiederà l’autorizzazione dei genitori. Le nuove misure includono:

  1. Limitazioni sui contatti: Solo le persone che i teenager seguono potranno inviare loro messaggi diretti. Questo riduce il rischio di contatti indesiderati e potenzialmente pericolosi.
  2. Account privato: automaticamente l'account sarà privato e servirà dare l'autorizzazione per essere seguiti da qualcuno.
  3. Contenuti sensibili: Gli account per teenager avranno una configurazione che limita la visibilità dei contenuti sensibili per limitare la probabilità che i minori vengano esposti a contenuti inappropriati.
  4. Notifiche e tempo di Utilizzo: Le notifiche saranno disattivate automaticamente tra le 22:00 e le 7:00, e gli utenti riceveranno promemoria per uscire dall’app dopo 60 minuti di utilizzo continuo.

Implementazione graduale

Le nuove misure saranno implementate entro 60 giorni negli Stati Uniti, Regno Unito, Canada e Australia. Nell’Unione Europea, l’implementazione avverrà più avanti nel corso dell’anno. Questo approccio graduale permetterà a Meta di monitorare l’efficacia delle nuove misure e apportare eventuali aggiustamenti necessari.

Reazioni e implicazioni

L’annuncio di Meta è stato accolto con favore da molti esperti e genitori, che vedono in queste misure un passo importante verso la protezione dei minori online. Tuttavia, ci sono anche critiche riguardo alla possibile invasività delle nuove impostazioni e alla loro efficacia nel lungo termine. Alcuni esperti sottolineano che, sebbene le nuove misure siano un passo nella giusta direzione, è necessario un approccio più olistico che includa l’educazione digitale e il coinvolgimento attivo dei genitori.

Questa iniziativa di Meta si inserisce in un contesto globale di crescente attenzione alla sicurezza dei minori online. Solo pochi giorni fa, l’autorità sanitaria svedese ha suggerito di vietare l’uso degli schermi ai bambini fino ai 2 anni, sottolineando l’importanza di proteggere i più piccoli dagli effetti negativi della tecnologia.

La desensibilizzazione è una terapia utilizzata per trattare diverse condizioni allergiche. Si basa sull'esposizione graduale e controllata a una sostanza allergenica, con l'obiettivo di ridurre la risposta immunitaria del corpo e alleviare i sintomi associati all'allergia. Questo approccio terapeutico è particolarmente rilevante nel campo delle allergie alimentari, dove il contatto accidentale con un allergene può avere conseguenze gravi, specialmente nei bambini.

La desensibilizzazione: una terapia per le allergie alimentari

La desensibilizzazione, nota anche come immunoterapia specifica (ITS), è una terapia che prevede l'esposizione graduale e crescente a un allergene.

Nel caso delle allergie alimentari, il paziente viene esposto a dosi progressivamente maggiori dell'allergene, con l'obiettivo di "abituare" il sistema immunitario a tollerare la sostanza. Come spiega l'Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze ad Ansa - il Meyer è uno dei pochi centri in Italia che offre questo tipo di trattamento ai bambini - la desensibilizzazione orale permette di aumentare la soglia di tolleranza agli allergeni, riducendo così la probabilità di reazioni allergiche gravi in caso di ingestione accidentale.

L’esperienza del Meyer: un successo per migliaia di bambini

L'Ospedale Pediatrico Meyer segue oltre 3.000 bambini con allergie alimentari: ben 2.500 hanno intrapreso il percorso di desensibilizzazione orale. Come sottolinea la responsabile dell'Allergologia del Meyer, Francesca Mori, questo trattamento rappresenta una "opportunità terapeutica molto importante", soprattutto per le allergie ad alimenti di largo consumo come grano, latte e frutta a guscio, dove il rischio di assunzione accidentale è elevato. "Il successo della desensibilizzazione orale è tangibile: grazie a questo percorso, molti bambini possono migliorare significativamente la loro qualità di vita", ha aggiunto Mori.

Il processo terapeutico: come funziona la desensibilizzazione

Il percorso di desensibilizzazione è lungo e richiede un coinvolgimento attivo della famiglia e del bambino.

Inizia in ospedale, dove vengono somministrate dosi infinitesimali dell'allergene, come 5 mg di fetta biscottata per i pazienti allergici al grano per esempio, e prosegue a casa con il monitoraggio costante. L'obiettivo è aumentare gradualmente la quantità di allergene assunta, fino a raggiungere una dose considerata sicura.

Come ricorda la dottoressa Mori, "si parte spesso da dosi infinitesimali per arrivare, nel corso degli anni, a quantità più rilevanti e tollerabili". Nel caso di una paziente seguita dal Meyer, allergica al grano, il trattamento ha permesso di passare da una briciola di pane a 40 grammi di pasta.

L'importanza della desensibilizzazione per la qualità della vita

La desensibilizzazione orale rappresenta a oggi l'unica opzione terapeutica in grado di modificare il decorso delle allergie alimentari. Attualmente, al Meyer il trattamento è utilizzato per allergie al latte, uovo, frutta a guscio, cereali e semi, su bambini e adolescenti selezionati in base a criteri rigorosi come la gravità dell'allergia e il rischio di esposizione accidentale.

"In alcuni casi – ha spiegato Mori – è possibile associare la desensibilizzazione con l'uso di farmaci biologici", un approccio che rappresenta una delle frontiere terapeutiche più promettenti. Grazie a questo metodo, molti bambini e famiglie possono vivere con maggiore serenità, riducendo il rischio di reazioni allergiche gravi nella vita quotidiana.

 

Mamma Pret a Porter non è una testata medica e le informazioni fornite hanno scopo puramente informativo e sono di natura generale, esse non possono sostituire in alcun modo le prescrizioni di un medico o di un pediatra (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione), o, nei casi specifici, di altri operatori sanitari (odontoiatri, infermieri, psicologi, farmacisti, fisioterapisti, ecc.) abilitati a norma di legge. Le nozioni sulle posologie, le procedure mediche e le descrizione dei prodotti presenti in questo sito hanno un fine illustrativo e non devono essere considerate come consiglio medico o legale.

Le polpette di zucca e ceci sono un piatto vegano gustoso e sano, perfetto sia come antipasto che come secondo. Questo piatto combina la dolcezza della zucca con la ricchezza proteica dei ceci, creando una soluzione ideale per chi cerca un’alternativa vegetale, leggera e nutriente.

Sono facili da preparare e possono essere personalizzate con diverse spezie e aromi: sono davvero perfette per ogni occasione.

Proprietà nutrizionali

La zucca è un ortaggio ricco di vitamine e minerali, in particolare vitamina A (beta-carotene), vitamina C, potassio e fibre. Ha un basso contenuto calorico, ma è molto saziante grazie al suo contenuto di acqua e fibre. I ceci, d'altro canto, sono una delle migliori fonti di proteine vegetali, oltre a fornire carboidrati complessi, ferro e magnesio. Insieme, questi due ingredienti offrono un pasto bilanciato, ideale per chi vuole mantenere un’alimentazione equilibrata e nutriente.

Ricetta delle Polpette di Zucca e Ceci

Questa versione arricchita delle classiche polpette di zucca e ceci include l’uso di spezie che ne esaltano il sapore, rendendole ancora più gustose e aromatiche. Puoi anche servirle con una salsa a base di yogurt o tahina per aggiungere un tocco di cremosità.

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È vero, li tiriamo in giro: gli uomini quando hanno la febbre sembrano sul letto di morte.

Insomma: l'influenza maschile è spesso oggetto di scherno e battute, soprattutto online. E così viene presa poco sul serio. Tuttavia, dietro questo stereotipo si nascondono alcune reali differenze immunologiche tra uomini e donne, supportate da studi scientifici. Queste differenze non riguardano solo gli esseri umani, ma anche altre specie animali: gli uomini potrebbero quindi effettivamente soffrire di più le infezioni. Almeno per quanto riguarda la frequenza. Per l'intensità, invece, è meglio non parlare troppo presto.

Un sistema immunitario maschile più debole

Ci sono prove convincenti che gli uomini abbiano un sistema immunitario più debole rispetto alle donne, il che li rende più inclini a infezioni gravi. Durante la pandemia di COVID-19, per esempio, è stato osservato che gli uomini avevano tassi di ospedalizzazione e mortalità più alti rispetto alle donne. Un fenomeno simile era già stato riscontrato durante la pandemia di influenza del 1918, quando molti più uomini morirono rispetto alle donne.

Secondo il dottor Matthew Memoli, ricercatore presso il National Institute of Allergy and Infectious Diseases (come riporta il New York Times), parte di questo fenomeno potrebbe essere spiegato da comportamenti maschili meno prudenti: gli uomini tendono a lavarsi meno le mani e a evitare l'uso di mascherine, oltre ad avere abitudini meno salutari come il fumo e l'alcol. Questi fattori comportamentali peggiorano gli esiti quando si ammalano. Tuttavia, le differenze biologiche tra i sistemi immunitari maschili e femminili giocano anch'esse un ruolo importante.

Cromosomi, genetica ed estrogeni

Numerosi studi mostrano che il sistema immunitario femminile è più efficiente nel riconoscere e combattere le infezioni. Le cellule immunitarie delle donne rilevano gli agenti patogeni, come virus e batteri, più rapidamente rispetto a quelle degli uomini. Inoltre, il sistema immunitario femminile rilascia una quantità maggiore di citochine, proteine infiammatorie che aiutano a combattere le infezioni, e produce più anticorpi in risposta a virus e vaccini. Questo significa che le donne "tendono ad attivare queste risposte più velocemente e in modo più intenso", ha affermato Sabra Klein, professoressa di microbiologia e immunologia alla Johns Hopkins University.

Le differenze immunitarie tra uomini e donne possono essere in parte spiegate dalla genetica. Molti geni coinvolti nella risposta immunitaria si trovano sul cromosoma X, e poiché le donne ne possiedono due (mentre gli uomini uno solo), la loro capacità di rilevare i virus e produrre citochine è maggiore. Questa configurazione genetica potrebbe dunque contribuire a una risposta immunitaria femminile più rapida ed efficiente.

Anche gli ormoni giocano un ruolo fondamentale: il testosterone, presente in maggior quantità negli uomini, tende a indebolire il sistema immunitario, riducendo la produzione di anticorpi, mentre l'estrogeno, l'ormone predominante nelle donne, tende a potenziarlo.

Le donne stanno in realtà peggio

Nonostante queste differenze immunitarie tra i sessi, gli studi mostrano che sono in realtà le donne a riportare i sintomi peggiori quando affrontano una lieve infezione respiratoria. Un fattore che potrebbe essere dovuto alla maggiore intensità della risposta immunitaria femminile, che, se da un lato aiuta a combattere l'infezione, dall'altro provoca una serie di sintomi più severi, come febbre e stanchezza.

Insomma: i maschi prendono più facilmente l'influenza e la accusano secondo il loro sentire, ma anche le donne sono colpite da febbre e dolori alla stessa maniera, se non in maniera più potente, anche se meno frequentemente. Insomma: le carte in gioco sono tante e come sempre stereotipare non è la giusta soluzione all'analisi del problema.

 

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Allattare dopo un tumore al seno: si può

Venerdì, 13 Settembre 2024 07:47

I nuovi studi presentati al Congresso ESMO 2024 rappresentano un importante passo avanti nella comprensione della sicurezza dell'allattamento al seno dopo il cancro alla mammella. 

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Un importante avanzamento nella ricerca medica è stato presentato al Congresso della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO) 2024. Secondo due studi internazionali, le donne che hanno superato un cancro al seno, comprese quelle portatrici della mutazione genetica BRCA, possono allattare i loro bambini senza aumentare il rischio di recidiva o di nuovi tumori. Questa scoperta offre speranza e rassicurazione a migliaia di donne che, dopo aver affrontato una diagnosi di cancro, desiderano vivere appieno l'esperienza della maternità, compreso l'allattamento.

La mutazione BRCA e il rischio di recidiva

Il cancro al seno è una malattia complessa, spesso associata a mutazioni genetiche, come quella dei geni BRCA1 e BRCA2. Queste mutazioni aumentano il rischio di sviluppare tumori al seno e alle ovaie nel corso della vita di una donna. In passato, si credeva che l'allattamento al seno potesse rappresentare un rischio per le sopravvissute al cancro a causa dei cambiamenti ormonali che provoca nel corpo, influenzando potenzialmente la recidiva del tumore. Questo timore era particolarmente accentuato per le donne con mutazioni BRCA, poiché presentano un rischio più elevato di sviluppare un secondo tumore nel seno non colpito.

I dati emersi dallo studio presentato da Eva Blondeaux, oncologa dell'IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova, offrono invece una nuova prospettiva. Quasi 5000 giovani donne portatrici della mutazione BRCA e sopravvissute al cancro al seno sono state seguite nel tempo. Tra le 474 che hanno partorito, circa il 25% ha allattato il proprio bambino, mentre il 50% non ha potuto farlo a causa della mastectomia bilaterale preventiva. Dopo un follow-up mediano di sette anni, non è stata riscontrata alcuna differenza significativa nel tasso di recidiva o nello sviluppo di nuovi tumori tra coloro che hanno allattato e coloro che non lo hanno fatto.

L'allattamento al seno e i recettori ormonali

Oltre alla mutazione BRCA, un altro fattore che desta preoccupazione è la natura ormonale del cancro al seno. Molti tumori al seno sono positivi per i recettori ormonali, il che significa che crescono in risposta agli ormoni come estrogeni e progesterone. La gravidanza e l'allattamento comportano variazioni significative nei livelli ormonali, il che ha portato molti medici a consigliare cautela alle donne che hanno superato il cancro al seno.

Un secondo studio, presentato sempre durante il Congresso ESMO 2024, ha esplorato proprio questo tema. Lo studio internazionale Positive, condotto su 518 donne con tumori al seno in fase iniziale positivi ai recettori ormonali, ha confermato che l'allattamento al seno non aumenta il rischio di recidiva o di nuovi tumori. Questo risultato è particolarmente importante, poiché offre una maggiore sicurezza alle donne che desiderano proseguire con l'allattamento anche dopo aver affrontato una diagnosi di cancro.

L'impatto psicologico della possibilità di allattare

Oltre agli aspetti strettamente medici, la possibilità di allattare al seno dopo un tumore al seno ha un profondo impatto psicologico per molte donne. Il cancro al seno è una malattia che non solo mette a rischio la vita, ma tocca anche profondamente la percezione del proprio corpo e la femminilità. Per le donne che desiderano diventare madri, il pensiero di non poter allattare il proprio bambino può aggiungere un ulteriore peso emotivo a una situazione già complessa.

Fedro Alessandro Peccatori, direttore dell'Unità di Fertilità e Procreazione presso l'Istituto Europeo di Oncologia di Milano, coautore dello studio, ha sottolineato ad Ansa come questi risultati siano "fondamentali per le donne che desiderano rimanere incinte e allattare il proprio bambino dopo un cancro al seno". Questo significa che le sopravvissute possono vivere una maternità completa, senza dover rinunciare all'allattamento, una delle esperienze più intime e significative tra madre e figlio.

Le sfide future nella ricerca

Nonostante le nuove scoperte offrano rassicurazioni, ci sono ancora delle aree che richiedono ulteriori indagini. Maria Alice Franzoi, oncologa presso l'Istituto Oncologico Gustave Roussy, ha affermato sempre ad Ansa che, sebbene questi risultati rappresentino un importante passo avanti, il follow-up degli studi dovrebbe continuare nel lungo termine. La ricerca futura potrebbe fornire informazioni più dettagliate sull'effetto dell'allattamento al seno nelle diverse tipologie di cancro al seno e sui diversi protocolli di trattamento. Inoltre, sarà importante monitorare la sicurezza a lungo termine per garantire che, anche a distanza di decenni, le donne che hanno allattato non presentino rischi maggiori rispetto a quelle che non lo hanno fatto.

Un altro aspetto che merita attenzione è la qualità della vita delle sopravvissute al cancro al seno che scelgono di allattare. È necessario che i medici siano formati per offrire un supporto adeguato, sia dal punto di vista fisico che psicologico. Le donne devono essere informate delle loro opzioni e dei potenziali rischi, in modo da poter prendere decisioni consapevoli e sicure per se stesse e per i loro bambini.

Le mutazioni genetiche e il loro ruolo nella trasmissione delle malattie ereditarie sono un argomento di grande interesse scientifico, soprattutto per comprendere i meccanismi che influenzano il rischio per le future generazioni. Un recente studio condotto dall'ospedale pediatrico Bambino Gesù e dall'Università di Oxford, pubblicato sulla rivista The American Journal of Human Genetics, ha fornito nuove informazioni riguardo al legame tra gli spermatozoi e le malattie ereditarie, con importanti implicazioni per la consulenza genetica.

Cosa c'entrano gli spermatozoi con le malattie ereditarie?

Le mutazioni genetiche che causano malattie ereditarie possono essere trasmesse sia per via materna che paterna, ma secondo la ricerca è emerso che sono gli spermatozoi a rappresentare una fonte più significativa di nuove mutazioni. Questo fenomeno è legato al processo di replicazione delle cellule germinali maschili, i cosiddetti spermatogoni, che si dividono costantemente durante la vita di un uomo. Ogni volta che queste cellule si replicano, aumenta la probabilità di errori nel processo di copia del DNA, ovvero mutazioni.

Con il passare del tempo, le cellule spermatogoniali accumulano sempre più mutazioni, e alcune di queste possono portare a malattie genetiche rare.

È stato inoltre osservato che le cellule portatrici del gene mutato tendono a replicarsi più velocemente rispetto a quelle sane, aumentando ulteriormente il rischio di trasmettere mutazioni genetiche ai figli.

Cos'hanno scoperto a Oxford?

Nello studio condotto dall'Università di Oxford e riportato da Ansa, sono stati esaminati i campioni di 18 pazienti affetti da sindrome di Myhre, una malattia genetica rara causata da mutazioni del gene SMAD4, che si manifesta de novo negli spermatogoni. Gli scienziati hanno anche analizzato campioni di genitori sani e di donatori anonimi di età compresa tra i 24 e i 75 anni, oltre a confrontare i dati di 35 famiglie americane con figli affetti dalla stessa sindrome.

I risultati hanno evidenziato che le mutazioni presenti nelle cellule staminali germinali maschili tendono a proliferare più velocemente rispetto alle cellule sane. Questo processo ricorda in parte ciò che accade nelle cellule tumorali, dove le cellule mutate si moltiplicano più rapidamente di quelle normali. Il rischio di trasmettere queste mutazioni aumenta in modo proporzionale all'età paterna, rendendo gli uomini più anziani più propensi a trasmettere geni mutati ai propri figli.

Il rischio aumenta con l'età paterna

Uno degli aspetti più significativi dello studio è l'aumento del rischio genetico legato all'età paterna. Con il progredire dell'età, i meccanismi molecolari che portano alla comparsa di mutazioni diventano sempre più attivi. Ciò significa che uomini più anziani hanno una maggiore probabilità di avere figli con mutazioni genetiche ereditarie, rispetto a padri più giovani.

"Le malattie genetiche sono causate da mutazioni che possono colpire uno o più geni. Possono essere ereditate da uno o da entrambi i genitori o comparire spontaneamente durante il processo di replicazione del Dna direttamente nelle cellule dell'embrione", spiegano i ricercatori. Le mutazioni de novo, che emergono spontaneamente nelle cellule staminali germinali, sono una delle principali preoccupazioni, poiché queste possono sfuggire ai normali controlli genetici e aumentare con l'avanzare dell'età.

Implicazioni per la consulenza genetica

Queste nuove scoperte aprono la strada a importanti riflessioni nel campo della consulenza genetica. Conoscere l'impatto dell'età paterna sulle mutazioni genetiche consente ai futuri genitori di valutare meglio i rischi associati alla pianificazione familiare. "Si tratta di risultati rilevanti per le importanti implicazioni in ambito di consulenza genetica e di calcolo del rischio riproduttivo", ha dichiarato Marco Tartaglia, responsabile dell'Unità di Genetica Molecolare e Genomica Funzionale dell'Ospedale Bambino Gesù. "Questa scoperta suggerisce che, con l'aumentare dell'età paterna, più meccanismi molecolari possono contribuire ad accrescere la probabilità di trasmissione al nascituro di un gene mutato potenzialmente causa di malattia".

 

Mamma Pret a Porter non è una testata medica e le informazioni fornite hanno scopo puramente informativo e sono di natura generale, esse non possono sostituire in alcun modo le prescrizioni di un medico o di un pediatra (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione), o, nei casi specifici, di altri operatori sanitari (odontoiatri, infermieri, psicologi, farmacisti, fisioterapisti, ecc.) abilitati a norma di legge. Le nozioni sulle posologie, le procedure mediche e le descrizione dei prodotti presenti in questo sito hanno un fine illustrativo e non devono essere considerate come consiglio medico o legale.

I muffin alla carota, mandorle e cacao sono una variante sfiziosa e salutare di un dolce classico, perfetta per chi ama il gusto del cacao ma desidera un’alternativa leggera e priva di burro.

Grazie all'uso di ingredienti nutrienti come le carote fresche e le mandorle pelate, questi muffin sono ideali per una colazione golosa o una merenda sana, senza rinunciare al sapore intenso (ma non troppo zuccherino!) del cacao. Vediamo insieme come prepararli facilmente: sono ideali per la colazione di tutta la famiglia, ma anche come da merenda da portare a scuola o da mangiare nel pomeriggio.

Le camille al cacao non sono solo deliziose, infatti, ma anche ricche di nutrienti benefici. Le carote, infatti, sono una fonte eccellente di beta-carotene, vitamina A e antiossidanti che favoriscono la salute della pelle e della vista. Le mandorle, ricche di grassi buoni, proteine e fibre, contribuiscono a mantenere il cuore sano e a stabilizzare i livelli di zucchero nel sangue. Infine, il cacao amaro è una ricca fonte di flavonoidi, potenti antiossidanti che possono migliorare l'umore e promuovere la salute cardiovascolare.

Scegliere il primo cellulare per i propri figli è una decisione importante che richiede una riflessione attenta da parte dei genitori. Ogni famiglia ha le proprie dinamiche e valutazioni su quando sia il momento giusto per introdurre questo strumento nelle mani dei ragazzi.

Oltre alla scelta del dispositivo, è fondamentale considerare anche le regole e le limitazioni da applicare per garantire un uso sicuro e responsabile. Ecco alcuni aspetti da tenere in considerazione per una scelta ponderata e per stabilire delle regole che proteggano i ragazzi.

Scegliere il dispositivo adatto: funzioni essenziali e sicurezza

Quando si tratta di scegliere il primo cellulare per un figlio o una figlia, la tentazione di optare per l'ultimo modello con tutte le funzioni più avanzate può essere forte. Tuttavia, è importante considerare quali sono le reali necessità. Per i ragazzi più giovani, un modello base con funzioni limitate potrebbe essere la scelta migliore. Questi dispositivi permettono di effettuare chiamate, inviare messaggi e usare app di messaggistica, ma limitano l'accesso a funzionalità più complesse o potenzialmente problematiche come i social media o i giochi online.

Un altro aspetto essenziale è la sicurezza del dispositivo. Prima di acquistare, è utile informarsi su quali siano le opzioni di controllo parentale integrate. Alcuni modelli di smartphone offrono impostazioni di base per limitare l'accesso a determinati contenuti, orari di utilizzo e applicazioni. È consigliabile anche verificare la facilità di monitoraggio e configurazione di queste impostazioni, per mantenere il controllo sulle attività digitali dei propri figli.

Impostare il parental control: protezione e autonomia

Una volta scelto il cellulare, impostare i controlli parentali è uno step cruciale per garantire un utilizzo sicuro. Ogni sistema operativo (Android o iOS) offre strumenti specifici per limitare l'accesso a contenuti inappropriati e regolare il tempo di utilizzo. Con il parental control, è possibile limitare l'installazione di nuove app senza il consenso dei genitori, bloccare l’accesso a determinati siti web e monitorare le app più utilizzate.

È importante, però, trovare un equilibrio tra protezione e autonomia. I controlli devono essere visti come una guida per aiutare i ragazzi a sviluppare un uso consapevole del dispositivo, senza sentirsi completamente limitati. Una buona pratica è quella di spiegare ai figli le motivazioni dietro tali limitazioni, facendo capire che l’obiettivo è la loro sicurezza e non il controllo totale delle loro azioni. Questo aiuta a costruire un rapporto di fiducia e responsabilità reciproca.

Stabilire regole chiare sull'uso del cellulare

Prima di consegnare un cellulare, è essenziale stabilire delle regole chiare e condivise sull’utilizzo. Una delle regole fondamentali riguarda il tempo di utilizzo giornaliero. Gli esperti raccomandano di limitare il tempo passato al cellulare, soprattutto nei giorni di scuola, per evitare che interferisca con lo studio o il sonno. Può essere utile concordare fasce orarie in cui l’uso del cellulare è consentito, come ad esempio dopo aver terminato i compiti o durante il fine settimana.

Inoltre, è fondamentale fissare regole sull’uso notturno. Lasciare il cellulare spento o in un'altra stanza durante la notte può evitare distrazioni e migliorare la qualità del sonno. Si può anche discutere dell’utilizzo in contesti sociali: durante i pasti, a scuola o in presenza di amici, il cellulare dovrebbe essere messo da parte per favorire la comunicazione faccia a faccia e la socializzazione.

Insegnare l'educazione digitale: rispetto e responsabilità online

Oltre agli aspetti tecnici e di controllo, è fondamentale insegnare ai ragazzi l'importanza del rispetto e della responsabilità nel mondo digitale. L’educazione digitale deve iniziare subito, non appena si consegna il primo cellulare. Questo include discutere con loro dell’importanza di non condividere informazioni personali o immagini con sconosciuti, di non partecipare a conversazioni offensive o bullismo online, e di essere sempre consapevoli delle conseguenze delle loro azioni digitali.

Spesso i ragazzi non sono pienamente consapevoli di come i loro comportamenti online possano avere un impatto a lungo termine. Anche una semplice foto o un commento può avere conseguenze negative, quindi è importante educarli sull'uso responsabile delle piattaforme digitali. I genitori devono incoraggiarli a chiedere aiuto se si trovano in situazioni difficili o se qualcosa li mette a disagio durante l’utilizzo del cellulare.

Rimanere aggiornati e mantenere il dialogo aperto

Il mondo digitale evolve rapidamente, e ciò che oggi sembra una misura di sicurezza adeguata potrebbe non esserlo più tra qualche anno. Per questo motivo, i genitori devono rimanere aggiornati sui cambiamenti tecnologici e sulle nuove applicazioni utilizzate dai ragazzi. Parte di questo aggiornamento continuo include anche rimanere consapevoli dei nuovi rischi online, come le nuove forme di cyberbullismo o le tendenze legate ai social media.

Mantenere un dialogo aperto e costante con i propri figli è altrettanto importante. I ragazzi devono sentirsi liberi di parlare delle loro esperienze digitali, chiedere chiarimenti o segnalare eventuali problemi. Creare un ambiente di ascolto e comprensione aiuta a prevenire conflitti e a migliorare il rapporto con la tecnologia.

Mattel ha annunciato una nuova aggiunta alla linea Barbie Fashionistas: una Barbie non vedente.

Questa bambola cieca nasce per offrire a un numero crescente di bambini la possibilità di giocare con una bambola che li rappresenti e che rappresenti una fascia di popolazione spesso non considerata, arricchendo così le loro storie di gioco con nuovi spunti inclusivi. Questo lancio è il frutto di una collaborazione con l'American Foundation for the Blind (AFB), a conferma dell’impegno del marchio per la rappresentazione e l’accessibilità.

Come sarà la Barbie non vedente?

La nuova Barbie non vedente sarà dotata di una serie di caratteristiche pensate per rappresentare accuratamente le persone con cecità o ipovisione. Uno degli accessori principali è il bastone bianco e rosso, completo di una punta in gomma, usato come strumento di orientamento per le persone non vedenti. La bambola avrà inoltre degli occhiali da sole funzionali, pensati non solo come elemento di stile, ma anche per offrire una protezione aggiuntiva a chi è sensibile alla luce.

Un altro aspetto distintivo della Barbie non vedente è l’abbigliamento tattile. Il team di Barbie ha testato l’abito con bambini affetti da cecità e ipovisione, creando un'esperienza tattile coinvolgente grazie all’uso di tessuti differenti. La bambola indossa una camicetta rosa satinata abbinata a una gonna a balze con texture, ideata per stimolare il senso del tatto. Gli accessori sono stati progettati per essere facilmente rimovibili e il packaging stesso sarà accessibile, con l’etichetta "Barbie" scritta in Braille.

Perché è importante per la rappresentazione?

L'introduzione della Barbie non vedente rappresenta un passo avanti verso una maggiore inclusività nel mondo del gioco. Le bambole non sono solo oggetti di intrattenimento, ma strumenti per lo sviluppo emotivo e sociale dei bambini. Studi dimostrano che giocare con bambole che riflettono la diversità aiuta i bambini a sviluppare empatia e consapevolezza delle differenze. Per i bambini non vedenti, vedere una Barbie che rispecchia la loro realtà può creare un senso di appartenenza e normalizzare la loro esperienza quotidiana.

La collaborazione con l'AFB (American Foundation for the Blind) ha garantito che ogni dettaglio della bambola fosse accuratamente studiato per rappresentare le persone con disabilità visive. Dalla posa degli occhi leggermente rivolti verso l'alto, alla cura del design accessibile del packaging, ogni elemento riflette una realtà spesso poco considerata, ma estremamente importante per moltissimi bambini e le loro famiglie.

Quanto costerà e dove si troverà?

La nuova Barbie non vedente fa parte della collezione Barbie Fashionistas, una linea che offre una varietà di bambole con differenti caratteristiche fisiche, etniche e legate a disabilità. Questa Barbie sarà disponibile online e nei principali punti vendita al prezzo di 14,99 euro.

La serie Fashionistas include già bambole con vitiligine, in sedia a rotelle, con protesi o apparecchi acustici, e continua a espandere la sua offerta per rappresentare una gamma sempre più ampia di bambini e le loro esperienze.

La ratatouille è un piatto originario della regione provenzale in Francia, in particolare della città di Nizza. Questo stufato di verdure, che risale al XVIII secolo, è un simbolo della cucina mediterranea per la sua semplicità, genuinità e ricchezza di sapori. Il nome deriva dal termine francese "touiller", che significa mescolare, rimestare, e fa riferimento alla preparazione del piatto che consiste nel cuocere diverse verdure insieme.

Storia e benefici della ratatouille

Nata come piatto povero, la ratatouille era un pasto preparato dai contadini con gli ortaggi di stagione, spesso raccolti direttamente dall'orto. Nel corso del tempo è diventato un simbolo della cucina francese, grazie anche alla sua presenza in numerosi ristoranti e persino nel cinema.

Dal punto di vista nutrizionale, la ratatouille è un piatto sano e bilanciato. Contiene una grande varietà di verdure come melanzane, zucchine, peperoni e pomodori, che forniscono vitamine, minerali e antiossidanti. Le verdure cotte mantengono molte delle loro proprietà benefiche, come la vitamina C dei peperoni, che è importante per il sistema immunitario, e le fibre, che aiutano la digestione. L'uso dell'olio d'oliva aggiunge grassi sani, utili per il cuore.

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Tempo di preparazione

Preparare una buona ratatouille richiede tempo e attenzione. Il tempo totale stimato per la preparazione è di circa 1 ora e 30 minuti, di cui 30 minuti per la preparazione degli ingredienti e circa un'ora per la cottura. Tuttavia, la ricetta può essere preparata in anticipo, e spesso risulta ancora più gustosa il giorno dopo, quando i sapori delle verdure hanno avuto il tempo di amalgamarsi.

Sara

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Cecilia

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