Come lavare i pannolini lavabili

Domenica, 10 Gennaio 2016 09:34

Tra le prime domande che è naturale fare una volta deciso di utilizzare i pannolini lavabili (o quando si sta ipotizzando di passare ad essi) riguarda il metodo di lavaggio. Come fare? Come rendere tutto il più igienico possibile? Ma è scomodo? Ma è meglio?

Ecco come lavare i pannolini lavabili: guida al lavaggio dei pannolini ecologici.

Appena comprati lavateli 2 o 3 volte: aumenterà l'assorbenza ed eliminerà i residui di lavorazione dalle fibre.
Poi, una volta iniziato ad utilizzarli, è bene tenere i pannolini sporchi da parte in attesa della lavatrice in un contenitore con coperchio, a secco. Quindi, come per gli abiti sporchi di tutta la famiglia, si tratterà di una cesta per il bucato sporco, normalissima. Buttate la pupù nel wc, mi raccomando.

Immergeteli in ammollo solo se prevedete il lavaggio a breve, altrimenti gli odori e i batteri prolifereranno.
Evitate di fare una lavatrice apposta per i pannolini (evitando comunque carichi troppo pesanti, altrimenti nulla si lava al meglio): sprechereste davvero tanta acqua, e li rendereste molto meno sostenibili (e, per loro natura, i pannolini lavabili sono ecologici, no? Non vorrete annullare questa loro caratteristica!).

Quindi, uniti i pannolini al bucato normale (facendo prima un breve risciacquo a mano per eliminare l'eccesso di urina), impostate la lavatrice a 40 gradi. Utilizzate un detersivo biologico o delicato (versandone circa 1/3 della quantità raccomandata: basterà e sarà più salutare), e non aggiungete additivi o ammorbidenti: resteranno tra le fibre e potrebbero dare irritazione. Eventualmente aggiungete al detersivo un cucchiaio di percarbonato di sodio (meno se è già presente nel detersivo), per smacchiare ed igienizzare senza effetti sull'uomo o sull'ambiente. Il percarbonato agisce già a basse temperature, quindi impostare la lavatrice sui 40 gradi andrà benissimo. I 60 gradi (per togliere eventuali batteri o quando il pannolino, per vari motivi che possono andare dall'alimentazione al deposito di detersivo, inizia a puzzare) è meglio raggiungerli solo una volta ogni tanto, per evitare sprechi d'energia.
Sarebbe meglio lasciare asciugare i pannolini all'aria (per evitare di sprecare troppa energia, e in caso di macchie gialle da pupù il sole è miracoloso: le toglie tutte!), ma se utilizzate l'asciugatrice assicuratevi di chiudere sempre le parti in velcro, in modo da non rischiare che lo stesso rovini gli altri indumenti o i pannolini si annodino su loro stessi.

La frequenza di lavaggio varia da genitori a genitori, ma le esperienze dicono che lavare i pannolini un giorno sì e uno no sia la soluzione migliore: si evitano in questo modo lavaggi giornalieri (pesanti e non ecologici) lavando comunque un buon numero di pannolini alla volta, senza creare una montagna e senza che si diffonda la puzza (anche se poca, dopo un paio di giorni può diventare pesante: basta un po' di buonsenso). Nello specifico, per i neonati (con 8/10 cambi al giorno e quindi circa 20 pannolini in due giorni, andrà benissimo il giorno sì e il giorno no; dai 6 ai 18 mesi con 5 o 6 cambi basterà ogni due giorni; per i bimbi oltre i 18 mesi e durante il passaggio al vasino, con 4 o 5 cambi, un paio di volte alla settimana).

Per quanto riguarda le mutandine impermeabili che hanno alcune tipologie di pannolino, esse non necessitano di lavaggio ad ogni cambio, dal momento che a essere cambiati sono gli strati assorbenti sporchi. Prendetene 3 o 4 da alternare: basteranno. Capiterà che si sporchino un po' i lati, ma in quel caso basterà lavare immediatamente la macchia con del sapone di Marsiglia e lasciare asciugare velocemente; solitamente però andranno lavate ogni paio di giorni, quando iniziano ad essere maleodoranti. Nel caso di mutandina in poliuretano essa andrà lavata in lavatrice seguendo le istruzioni del produttore, facendo attenzione poi a non strizzarla: in questo modo non si comprometterà la lamina impermeabile presente. Se invece di lana, ricordate che questo tessuto se lasciato all'aria aperta per qualche ora (circa 10) si rigenera eliminando i batteri; di conseguenza quando necessario lo si potrà rinfrescare in questo modo, lavandolo poi quando è il momento in lavatrice a circa 30 gradi utilizzando un detersivo per lana.

Sara Polotti

5 consigli per mamme in carriera

Venerdì, 08 Gennaio 2016 11:41

Eterno dilemma delle mamme: lavoro sì, lavoro no? Stare a casa con i figli dedicandosi completamente a loro o provvedere ai loro bisogni realizzandosi grazie ad un lavoro che si ama? Spesso lavorare non è una scelta, perchè con il solo stipendio del papà a fine mese proprio non si arriva. Altre volte invece scegliamo consapevolmente, a prescindere dalla situazione economica, di tornare a lavoro. 

Non è una scelta semplice. Ma prima di prenderla, è bene avere in mente una cosa.

5 consigli per mamme in carriera: perchè non ha senso sentirsi in colpa. 

Moltissime madri decidono di abbandonare il loro lavoro una volta avuto il primo o il secondo pargolo. Una scelta ammirevole e comprensibile. Ma è sbagliatissimo pensare che decidere di tornare al lavoro dopo il periodo di maternità, per seguire la propria carriera oltre che la famiglia, sia meno ammirevole, comprensibile o rispettabile.

Margie Warrell, colonnista della rivista Forbes con il suo "Courage Works", avvocato e life coach che aiuta le persone a trovare il proprio coraggio, ha scritto una bellissima lettera indirizzandola alle mamme lavoratrici.
L'esordio è già bellissimo. "Care mamme", si legge nel suo articolo per Forbes che potete trovare in versione originale integrale qui, "state facendo un buon lavoro. E i vostri figli cresceranno benissimo nonostante le ore che passate lontane dalla famiglia. Sul serio".

Ecco. Subito Margie tranquillizza le mamme in carriera, facendo leva sul sentimento dominante: la paura che la lontananza possa in qualche modo intaccare la crescita corretta dei figli. No, non è così!
Le mamme che lavorano sentono di non essere mai abbastanza: non ci sono mai abbastanza per i figli, per il partner; non fanno mai abbastanza per il capo, per i genitori che invecchiano e sentono di non essere mai abbastanza per la comunità. Sono in bilico, e con il cercare di fare troppe cose va a finire che sembra di farle tutte male. Non è vero?

Anche l'autrice della lettera era stata avvisata, prima di avere figli, del senso di colpa che l'avrebbe assalita se avesse continuato a inseguire la carriera. Ne ha avuti 4, di figli, e alla fine ha capito che sentirsi in colpa non serve a nulla. "Volevo figli per arricchire la mia vita, non per schiavizzare la mia coscienza", dice. E ha ragione.

Così, ha deciso di stilare una breve lista di consigli per estirpare dalla radice questo sentimento divorante, partendo dalle forze distruttive alla base. E tenendo sempre in mente, come punto fondante, il fatto che le forze delle mamme lavoratrici dovrebbero prima di tutto focalizzarsi sull'unica cosa che davvero conta: far sentire i propri bambini voluti e amati nonostante tutto. E, soprattutto, "capire che per i vostri bambini è fondamentale avervi come modello per vivere una vita piena di soddisfazioni".

Primo punto: "Accettare i compromessi è inevitabile" spiega Margie, "perché quando si sceglie di combinare maternità e carriera ci saranno sempre sacrifici. Ciò che è cruciale per la tua felicità è conciliare quei compromessi rimanendo sincera riguardo al motivo per cui li stai facendo". Quindi, consiglia di tenere sempre, sempre a mente alcune delle ragioni per le quali stai lavorando in primo luogo. Il denaro, la soddisfazione, la salute: "quando il tuo lavoro non ti permette di andare ad un concerto o ti costringe a delegare l'organizzazione del compleanno di tuo figlio, ricorda sempre che i tuoi bambini, la tua famiglia e te stessa state davvero bene proprio perché hai una carriera soddisfacente anche fuori da casa".

Secondo. Non usare mai la parola "Dovrei". I "Dovrei" che conosciamo sono frutto di aspettative sociali e pressioni esterne che non valgono per tutte le famiglie. Dover leggere le storie della buonanotte, dover presenziare ad ogni partita o allenamento, dovergli cucinare una merenda sana ogni giorno, dover, dover, dover. "Mi piace essere coinvolta nelle attività dei miei figli - spiega l'autrice - ma so anche che loro non hanno bisogno che io faccia il tifo ad ogni partita, crei un album per ogni piccola conquista e cucini muffin freschi ad ogni ritorno da scuola perché si sentano amati o perché diventino adulti sicuri e ben cresciuti. Sono centrali nella mia vita, ma non tutto ruota intorno a loro. E anche se lo fossero non cambierebbe le cose in meglio". Il consiglio è quindi sostituire la parola "Dovrei" con "Potrei", "così da avere più opzioni. Non è che non si ha voglia, è che si sceglie con più cura cosa fare insieme a loro.

Terzo. Abbassare le aspettative, e cercare di essere genitori "abbastanza buoni" piuttosto che eccezionali. "Accettarlo toglie un sacco di pressione - rivela la Warrell - e rinunciare ad essere una super mamma che fa tutto alla perfezione è l'unico modo per godersi la crescita dei propri figli senza ansia, sensi di colpa e fatica". Sostanzialmente, ricorda poi, "è quello che siamo e come siamo - felici, di buon umore e dei buoni esempi per i valori in cui crediamo - che ha impatto su di loro", mica l'essere da copertina.

Quarto. Non cadere nella trappola dei "mercanti di sensi di colpa". Quindi quei genitori che giudicano e fanno a gara al figlio e al metodo educativo migliore. "Non c'è solo un metodo giusto quando si tratta di crescere dei figli". E ancora: "Le mamme lavoratrici che ho conosciuto lavorano davvero sodo per essere i migliori genitori possibile, e meritano quindi incoraggiamento, non giudizio". Allo stesso modo, "non lasciate che i vostri figli vi ricattino con il senso di colpa. Sanno che tasti pigiare, ma non state al loro gioco! Ditegli che state facendo il meglio per loro (e a volte significa non fare qualcosa che potrebbero fare da soli) ma che ci sono anche altri impegni, interessi e responsabilità oltre a loro". Aggiungete poi che lo state facendo perché crescano più forti e resilienti, e indipendenti. Li amate, non li state meramente "trascurando", e alla fine capiranno tutto.

Quinto e ultimo consiglio. "Non diluite la vostra presenza con la distrazione". Quando avete la possibilità di stare con loro, STATE con loro! Si può essere genitori presenti tutto il giorno e tutti i giorni ed essere assenti nella sostanza. E si può essere genitori in carriera super presenti. Ricordatevi di spegnere il vostro essere multi tasking quando passate del tempo con loro.

In definitiva, "non è importante ciò che pensa la gente, ma ciò che funziona per voi, quindi, in sostanza, per la vostra famiglia".

Sara Polotti

Tommy non è un grosso fan delle verdure ahimè, ma devo ammettere che è con un po' di fantasia riesco a propinargli davvero tutto o quasi. Come sappiamo il brodo è uno strumento incredibile per assumere nutrienti: perchè quindi non sfruttarlo giocando con i colori? Prima di presentare la ricetta ho raccontato loro la leggenda di mago Merlino e ho fatto vedere loro un'immagine su pc della Disney con il suo vestito e cappello blu a punta. Poi abbiamo tagliato insieme il cavolo e... magia, una volta cotta l'acqua da trasparente è diventata viola e poi blu. E' proprio la magia del Mago che ha reso possibile questo!

Ecco come creare un brodo blu che i bambini adorano: la ricetta del nostro brodo blu di Mago Merlino

 

 

Sono belli, affascinanti, naturali e misteriosi. E piacciono tantissimo ai bambini (e anche ai grandi, è da ammettere). Gli acchiappasogni hanno radici antiche e significati mutevoli (si dice che per gli indigeni del Nord America fossero semplici indicazioni sulla professione degli abitanti del villaggio, ma che col passare del tempo gli sia stata attribuita la capacità di catturare i brutti sogni e scacciarli attraverso le sue piume); in ogni caso il fascino che emanano è indiscutibile. Anche sui bambini: se affetti da incubi frequenti, provate a raccontargli la leggenda dell'acchiappasogni che attraverso le perline nella sua trama assorbe i brutti sogni e li espelle nel vento. Avere uno di questi piccoli oggetti accanto al letto potrebbe dargli un po' più di sicurezza! Perché allora non crearne uno insieme?

Ecco come fare un acchiappasogni con i nostri bambini: suggerimenti per realizzare l'antico oggetto scaccia-incubi per tutta la famiglia

Foto Credits:  http://www.artbarblog.com/create/diy-dream-catchers-made-by-kids/

Piuttosto che comprarne uno prodotto in serie e con poco significato, l'acchiappasogni può essere costruito, e il bello è che è personalizzabile all'infinito!
I materiali necessari sono un cerchio di metallo o di legno (di diametro variabile, potete farne di piccolissimi e di enormi: una via di mezzo, comunque, andrà benissimo), dei gomitoli di lana o cotone, delle perline, della colla a caldo e del washi tape. E, per finire, delle piume o altri piccoli elementi che penderanno dal cerchio.

Per cominciare, coprite la circonferenza del cerchio con il washi tape colorato (è più comodo rispetto ai nastri perché si fissa da solo).
Il passo successivo sarà creare il reticolato: tendete il filo di lana (fissandolo inizialmente con un nodino molto stretto in un punto qualsiasi della circonferenza) facendolo passare da un punto all'altro del cerchio, facendo attenzione a tirarlo bene per far sì che non si allenti. Nel frattempo, inserite alcune perline sul filo: in questo modo resteranno incastrate. Non preoccupatevi di fare un pattern perfetto: la casualità lo renderà comunque bello.
Assicurate quindi la parte finale del filo di lana con un nodino e della colla a caldo, facendo attenzione che non ceda il reticolato.

Ora, fissate alle due estremità del cerchio un piccolo occhiello per appendere l'acchiappasogni, e, dalla parte opposta, alcuni lunghi fili di lana (bloccandoli con dei semplici nodi).
I fili più lunghi (di lunghezze uguali o diverse, a voi la scelta) dovranno poi essere decorati a vostro piacere: inserite perline lungo il filo, appendete pompon, monetine, pietruzze, figure in feltro o piume alle estremità, e sbizzarritevi: più elementi saranno presenti, più l'acchiappasogni sarà divertente.
Un'altra idea è quella di sostituire i fili con le perline con tanti nastri colorati da fissare semplicemente con un piccolo nodo, in maniera disordinata in modo da formare un pattern assolutamente unico e svolazzante.

Foto Credits: http://www.thejourneyjunkie.com/life/how-to-make-a-dreamcatcher/

Potete appendere il vostro acchiappasogni agganciando l'asola ad un chiodino, oppure incollando il filo superiore con del washi tape direttamente alla parete.
Mi raccomando, fatene uno per ogni membro della famiglia, da posizionare sopra il comodino di ognuno: sarà un'occasione per sentirsi famiglia e per far sentire i bambini più sicuri secondo le leggende indiane!

Ed ecco quello che abbiamo fatto io e Tommy in questi giorni!

Sara Polotti e Giulia Mandrino

Non so voi, ma a me non ha neanche mai sfiorato per l’anticamera del cervello di poter morire di parto: in Africa si muore di parto, in Italia no. Quindi le notizie terribili che ci hanno travolto in questi giorni, queste famiglie distrutte, mamme e loro piccoli morti spesso in maniera inspiegabile mi hanno abbastanza travolto. Ma è così pericoloso partorire? Si può parlare di emergenza parto in Italia?

Per toccare questo argomento così delicato e complesso ho intervistato una dottoressa che da dieci anni si occupa a 360° di lutti perinatali ma ancor prima una persona splendida che dedica la sua vita non solo alla ricerca ma a famiglie con il cuore devastato e che stanno attraversando il dolore più grande che un umano possa provare: la perdita del proprio bambino.
Lei è Claudia Ravaldi, medico chirurgo, psichiatra e psicoterapeuta, fondatrice della Onlus Ciao Lapo.

Morire di parto in Italia: quello che c'è da sapere secondo la dott.ssa Claudia Ravaldi di Ciao Lapo

Il primo punto che la dottoressa ha voluto chiarire è che in Italia non esiste assolutamente un’emergenza parto: l’Italia è un paese con mortalità materna davvero bassa. Come spiegato anche dalla dott.ssa Serena Donati, responsabile del sistema italiano di sorveglianza ostetrica dell’Istituto superiore di sanità di Roma. Semplicemente in questi giorni si è verificato un susseguirsi di questi eventi che ha dato grande risonanza al fenomeno.
La dott.ssa Ravaldi però sostiene che, dato che questi eventi sono scongiuratili nel 50% dei casi, sarebbe lecito intervenire in maniera più efficace: già in un articolo pubblicato su “The Lancet nel 2011, nel numero monografico sulla morte endouterina a cui CiaoLapo ha partecipato come rappresentante dell’Italia, sottolineava come fosse espressa richiesta dell’WHO di abbattere del 20% le morti fetali evitabili nei paesi ad alto sviluppo, migliorando il monitoraggio dei fattori di rischio e aumentando la diagnosi precoce.” Anche la dott.ssa Donati spiega che “sappiamo che intervenendo sulle criticità possiamo ridurre la mortalità materna di circa il 50 per cento”.

Come ben spiegato nella lettera scritta dalla dott.ssa Ravaldi al ministro Lorenzin che potete leggere integralmente qui, “un primo problema che emerge in numerosi report e documenti istituzionali è che l’Italia non riesce a contare tutti i casi di morte perinatale e materna. Anche quando è possibile contarli correttamente, spesso le schede dati sono incomplete, compilate in modo arbitrario e erroneo, e mancanti soprattutto degli approfondimenti diagnostici.”

In Italia esiste dal 2010 il sistema italiano di sorveglianza ostretrica Itoss che prevede di raccogliere, registrare e analizzare le mamme morte di parto in Italia: “Il sistema si basa su due approcci: retrospettivo, collegando i registri di mortalità alle schede di dimissione ospedaliera; e prospettico, mediante la segnalazione degli incidenti da parte dei presidi sanitari delle regioni che hanno partecipato al progetto” Fonte: www.internazionale.it/opinione/jacopo-ottaviani/2016/01/04/parto-morti-emergenza
Il problema però è che solo 8 regioni fanno parte di questo panel. Chiaramente quindi i dati che abbiamo a disposizione sono parziali e non particolarmente attendibili al fine di una ricerca medico-scientifica volta a studiare il fenomeno.

Un secondo punto che la dott.ssa Ravaldi sottolinea è la necessità di creare una cartella elettronica per la madre e il bambino fin dall’inizio della gravidanza: una donna in gravidanza spesso si reca durante i 9 mesi in più strutture e/o operatori che solo se facenti parte della stessa asl di appartenenza hanno accesso alla sua cartella. Un ginecologo o un’ostetrica privata o un medico di base non hanno la possibilità. Inoltre la cartella dovrebbe essere aggiornata secondo i criteri riportati nel documento inviato dalla dott.ssa Ravaldi al Ministro Lorenzin 

Infine è fondamentale ricordare che andrebbero sempre rintracciati e valutati con attenzione quei fattori (a volte modificabili, come l’indice di massa corporea, la dieta e lo stile di vita, a volte immodificabili, come età materna, numero di parti pregressi, presenza o assenza di patologie note, diagnosi di infertilità, pregresse perdite perinatali) che si associano ad un aumentato rischio di esiti avversi in gravidanza. La gravidanza è un percorso lungo e articolato, il cui buon esito dipende da molti fattori. La presenza di alcuni fattori di rischio non necessariamente si associa ad esito infausto, ma richiede, di per sè un’attenzione in più al decorso. Se le gravidanze fisiologiche non necessitano di particolari esami diagnostici al di fuori di quelli di routine, e se le gravidanze classificate come “a rischio” hanno un percorso distinto e specifico per patologia (diabete, ipertensione etc), molto si può migliorare nella gestione delle gravidanze in cui, pur in assenza di patologia conclamata, sono presenti alcuni fattori di rischio (sovrappeso o obesità, pregressa morte in utero, poliabortività, età materna, ricorso a tecniche di procreazione mediamente assistita). In questi casi, mantenendo un approccio il più possibile rispettoso della fisiologia, è necessario personalizzare i controlli, con qualche piccolo accorgimento in più.

Quindi, se da un lato dobbiamo evitare gli allarmismi inutili perché il nostro sistema sanitario nazionale e gli operatori del settore sono preparati, competenti e in linea con la media Europea, dall’altro è necessario portare avanti questi 3 progetti: estensione del Sistema Italiano di Sorveglianza Ostetrica a tutte le regioni Italiane, cartella elettronica materno-fetale e particolare attenzione alle gravidanze che presentano fattori di rischio in assenza di patologia conclamata.

Giulia Mandrino

 

Mamma Pret a Porter non è una testata medica e le informazioni fornite hanno scopo puramente informativo e sono di natura generale, esse non possono sostituire in alcun modo le prescrizioni di un medico o di un pediatra (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione), o, nei casi specifici, di altri operatori sanitari (odontoiatri, infermieri, psicologi, farmacisti, fisioterapisti, ecc.) abilitati a norma di legge. Le nozioni sulle posologie, le procedure mediche e le descrizione dei prodotti presenti in questo sito hanno un fine illustrativo e non devono essere considerate come consiglio medico o legale.

Romanziere per ragazzi tra i più amati, il quasi settantenne Philip Pullman ha creato mondi fantastici nei quali moltissimi bambini si sono immersi con entusiasmo. La trilogia di "Queste oscure materie" e la serie di Sally Lockhart (a partire dal "Rubino nel fumo") sono solo alcune tra le sue opere più famose.

Nel 2005 è stato insignito dell'Astrid Lindgren Memorial Award: all'autrice del romanzo dedicato all'eroina bambina Pippi Calzelunghe è dedicato dal 2003 questo premio alla Letteratura d'Infanzia, e all'inventore del mondo di Lyra Belacqua è andato l'onore di ricevere questo riconoscimento.

In occasione del decimo anniversario dell'ALMA (il premio Lindgren, appunto), Philip Pullman ha donato ai suoi lettori un pensiero meraviglioso riguardante l'importanza dell'arte e della cultura per i nostri bambini.

Storie, poesia, musica e tutto ciò di cui i bambini hanno bisogno: nelle parole di Philip Pullman la meraviglia delle arti nelle vite dei nostri figli.

Paragonando il bisogno di storie, poesia e musica dei bambini alle urgenze primarie come il cibo, il sole e l'aria aperta, lo scrittore vuole esprimere e imprimere nelle menti dei genitori l'importanza dell'arte nella crescita dei ragazzi: un bisogno non visibile o istantaneo come il nutrimento fisico, ma altrettanto fondamentale!

"Se non si danno al bambino arte, storie, poesie e musica il danno non è subito visibile, ma c'è", si legge sulla pagina dell'ALMA sulla quale è stato pubblicato il testo integrale di Philip Pullman . "I loro corpi sono sani abbastanza, possono correre, saltare, nuotare e mangiare con appetito e fare molto rumore, come i bambini hanno sempre fatto. Ma qualcosa manca".

Questo qualcosa, appunto, è l'arte. Soprattutto quando un bambino ne è affamato senza saperlo.

Le parole di Philip Pullman continuano poeticamente, ma colpiscono in profondità: certo, non nega esistano persone che possono fare a meno dell'arte, che non possiedono alcun libro e la cui casa ha pareti spoglie, senza alcun dipinto o immagine o disco. Queste persone potrebbero non accorgersi nemmeno se un giorno tutta l'arte sparisse dal mondo, e non ne soffrirebbero, probabilmente.

"Ma - continua l'autore - altre persone, nel corso della loro infanzia, o giovinezza, o addirittura da vecchie, si imbattono in qualcosa di cui non si sono mai sognati prima. Un giorno sentono una voce alla radio che legge una poesia, passano accanto ad una casa dalla cui finestra aperta si sente qualcuno che suona il piano, vedono il poster di una particolare opera appeso al muro di qualcuno, e vengono colpiti in un modo così difficile eppure così dolce che gli vengono le vertigini".
Queste persone si accorgono all'improvviso di avere una fame che mai hanno saziato, quella culturale, perché mai è stata data loro la possibilità di farne esperienza. Così accade ai bambini ai quali è stata negata la possibilità di conoscere l'arte, la cultura, la narrativa, la musica: potrebbero imbattersi all'improvviso in essa nel corso della loro vita e capire che il vuoto che sentivano poteva essere colmato da tutto questo, oppure non accorgersene mai, e privarsi così di una parte fondamentale della loro persona.

"Gli effetti della fame culturale non sono drammatici e non sono facilmente visibili", dice l'autore, che, continuando, vuole sottolineare l'importanza di dare una possibilità ad ogni bambino. Magari non ne avrà bisogno, magari non gli importerà di leggere un capolavoro o di godere di un paesaggio ben disegnato, ma almeno avrà avuto la chance di capire se nella sua vita la cultura è importante o meno.
"Questa fame esiste in un sacco di bambini, e spesso non viene soddisfatta perché non è mai stata svegliata. Moltissimi bambini in tutto il mondo muoiono di una fame per qualcosa che alimenta e nutre la loro anima in un modo che nient'altro avrebbe mai potuto fare".

Risvegliare questa fame dovrebbe quindi essere compito di ogni genitore ed educatore. Non solo. Dovrebbe essere un diritto costituzionale di ogni bambino!

"Diciamo, giustamente, che ogni bambino ha diritto al cibo e al riparo, all'educazione, alla medicina, e così via. Dobbiamo però capire che ogni bambino ha il diritto di fare l'esperienza della cultura. Dobbiamo comprendere appieno che senza storie, o poesie, o disegni, o musica i bambini moriranno di fame".

Moriranno. Di. Fame. Capito?

 

Foto Credits: https://www.flickr.com/photos/thenickster/8016466507

10 frasi da non dire a tuo figlio

Giovedì, 07 Gennaio 2016 11:59

Nei momenti di rabbia è difficile non lasciarsi sfuggire parole grosse o frasi che in un secondo momento vi rimangereste senza indugio. Capita, quando i bambini con i loro pianti o le loro giornate no (sommate magari alla nuvola di Fantozzi che, proprio quel giorno, vi trovate sulla testa).

Meglio però prendere un attimo, fare un respiro profondo e calmarsi prima di sputargli in faccia rimproveri troppo pesanti rispetto alla situazione, ma soprattutto prima di lasciarsi sfuggire frasi che, ok, di primo acchito sembrano innocue, ma che alla lunga potrebbero influire sulla loro autostima e sulla loro considerazione di se stessi.

Ecco 10 frasi da non dire a tuo figlio: cosa evitare per non minare l'autostima e il benessere del bambino

- È meglio che tu la smetta, altrimenti...

Fondare il rimprovero sulla paura che può provocare nel bambino è una scorciatoia, ma questa scorciatoia dietro l'angolo nasconde conseguenze parecchio negative, alla lunga: ok, oggi tuo figlio abbocca, e giustamente cambierà comportamento perché impaurito da una possibile situazione negativa; il problema è che non comprenderà il motivo del vostro no, ma semplicemente non farà quell'azione per paura della conseguenza. Inoltre da adulto per lui potrà essere normale pensare che l'ottenimento di qualcosa passi dall'intimidazione!

- Non disturbarmi ora, lasciami in pace.

Niente di peggio per far sentire il bambino inopportuno e non voluto. Chiaramente ogni genitore ha bisogno del proprio spazio, ed è giusto ritagliarsi i propri momenti. Non lasciatevi però andare all'impazienza o alla seccatura: vi sentirà scocciati e di conseguenza penserà che non avete tempo per lui. Piuttosto cercate di insegnargli da subito l'importanza degli spazi degli adulti: "ora non posso perchè sto facendo questo, quando ho finito però vengo da te".

- Sei così...

Sei così insolente, sei così stupido, sei così impaziente, sei così distratto, sei così cattivo. Il "sei così" non va mai bene, perché mette in testa al bambino che sì, effettivamente lui è proprio così, e allora perché cambiare? 

- Ti aiuto io, che tu non sei capace.

Potete pensare ad una frase più scoraggiante? "Se mamma e papà che sanno tutto mi dicono che non sono capace allora è proprio vero che io non posso fare questa cosa" penserà il vostro piccolo. Pensiamo a questa frase detta dal nostro capo mentre stiamo imparando un nuovo lavoro. 

- Su, fallo, lo so che sei capace!

E se invece non lo sa fare, quel compito? Immaginati la paura di deludervi, che stress! In entrambi i casi lasciate che ci provi, senza negargli il vostro aiuto quando ve lo chiede, ma sempre evitando di scavalcarlo o ignorarlo.

- Ok, fai ciò che vuoi, mi hai stufato.

Per forza poi continuerà con la modalità scelta: ha compreso che funziona e che quella è la via giusta per ottenere ciò che vuole. Non solo, percepirà la sensazione di non essere contenuto e sopratutto acettato. Questo senso di libertà e allo stesso tempo di vuoto non è proprio una sensazione piacevole per un bambino. 

- Mi stai facendo impazzire.

Sentendo questa frase il senso di colpa nel bambino crescerà esponenzialmente. Penserà che è solo colpa sua se in quel momento siete arrabbiati, quando magari è tutto il giorno che avete la luna storta. Piuttosto, spiegategli perché il suo comportamento è sbagliato e perché effettivamente state impazzendo: capirà da solo e cercherà probabilmente di aiutarvi a stare meglio. Comunicate le vostre emozioni perchè i bambini imparano imitanto: se vuoi riuscite a spiegar loro in che modo vi stanno facendo arrabbiare, perchè siete stanchi o anche semplicemente la sensazione di stanchezza e di paura, loro si sentiranno legittimati non solo da bambini ma anche da adulti ad esprimere ciò che provano.

- Non deludermi, dimostrami che sei...

La peggiore e la più gettonata da tanti papà. Crescere un figlio basandosi sul concetto di "delusione" e di appagamento del genitore è davvero pessimo. Un figlio deve essere amato e apprezzato per ciò che è, non per ciò che fa: evitiamo anni di psicanalisi per affrontare il dilemma "sei ciò che sei, non sei ciò che fai". Una frase bellissima da dire è "non c'è nulla che puoi fare che possa impedirmi di amarti, io ti amo sempre e comunque". Tuo figlio non vi deve dimostrare nulla, deve crescere sereno e sicuro di sè: impegnamoci a trasmettere loro la gioia per la vita, i valori e la passione per fare e imparare. Ma sopratutto il rispetto per ciò che è, perchè dobbiamo far sbocciare un fiore, non trasformare una rosa in una azzalea.  Inoltre il piccolo (ma anche da adulto) sarà sempre spinto a comportarsi come vogliono gli altri nascondendo quegli aspetti di lui che ritiene possano non piacere a chi lo circond. Non è sempre possibile compiacere tutti! E anche i bambini hanno il diritto di poter sbagliare e seguire le proprie convinzioni (e ciò non significa non insegnargli ciò che è giusto e sbagliato, naturalmente).

- Se fai così non ti voglio più bene

Sempre come per la frase 8, anche qui l'amore è basato su cosa si fa. "Quindi mamma e papà possono smettere di volermi bene e di volermi con loro". Credo non ci sia nulla da aggiungere. 

- Sei fai il cattivo vado via

Con questa frase insegniamo ai nostri figli due cose: la prima è che come nei due casi precedenti solo se mi compèorto in un certo modo mamma e papà mi amano e vogliono stare con me, quindi io mi devo meritare il loro amore, se sbaglio loro non mi vogliono più. In secondo luogo gli stiamo dicendo che quando qualcosa non va la soluzione migliore è scappare: così quando ci si imbatte in una difficoltà nella vita la soluzione migliore è lasciar perdere e andare via. 

 

Essere genitore è difficile, questo non lo toglie nessuno, ma dobbiamo organizzarci per trovare vie che consentano di tutelare il nostro benessere e la nostra integrità. Meglio qualche ora in meno insieme, anche nel week end, ma avere dei propri spazi per rigenerarsi. E sopratutto evitiamo alcune abitudini che incrementano il nostro stress!!

Giulia Mandrino e Sara Polotti

La nuova moda dei brelfie delle star

Mercoledì, 06 Gennaio 2016 07:38

Allattamento sì, allattamento no. Ma soprattutto: allattamento in pubblico sì o allattamento in pubblico bleah?

La diatriba sul metodo più naturale per nutrire i nostri bambini nel 2015 è sbarcata sui social. E ha fatto il botto.

È bastato intrecciare le parole Breastfeading (l'allattamento, appunto) e Selfie, ed ecco la nuova moda dei brelfie delle star: un'iniziativa davvero carina per sensibilizzare su un argomento che ci sta a cuore.

Provate a fare una piccola ricerca con annesso hashtag: i risultati tra Twitter e Instagram, Facebook e Pinterest saranno infiniti. Partiamo dalle star: Gisele Bundchen, Miranda Kerr, Gwen Stefani, Bianca Balti, Tamara Ecclestone, Blake Lively, Alyssa Milano, Alanis Morrisette, Eva Riccobono. Sono loro le pioniere; sono loro che hanno accolto con gioia l'impazzata dell'hashtag pro-poppata e l'hanno fatto il loro modo per dire sì all'allattamento in pubblico. E da lì le neo mamme di tutto il mondo le hanno seguite con entusiasmo.

Non che le immagini di allattamento siano una novità: spesso le riviste patinate hanno accolto tra le loro pagine pancioni nudi e seni nascosti solo dalle testoline dei bambini delle star (ricodate Demi Moore, orgogliosamente panciuta e nuda, Eva Herzigova sulla copertina di Vanity Fair o la compagna di Mick Jagger che qualche anno fa allattava il figlio in una bellissima immagine di Annie Leibovitz per Redbook?).
Portare questi scatti sulle proprie bacheche online ha trascinato però l'argomento in una dimensione più privata (rispetto alla fama delle star, in qualche modo "giustificate" dal loro status) eppure pubblica. Un controsenso? No, neanche un po'.
La poppata social si è quindi rivelata fortunata. Certo, ha scatenato un dibattito tra i favorevoli e i contrari, che in questo caso si appigliano alla considerazione che postare immagini dell'allattamento sia solo un modo per esibire la propria nudità, in qualche modo così giustificata. E ha sguinzagliato i cani verbali di moltissimi maleducati: i commenti sotto a molte immagini spaziano da "che schifo" a "vergognati". Ma, per fortuna, la maggior parte sono solo parole di supporto e congratulazioni per il coraggio.

Considerare l'allattamento in pubblico mero esibizionismo sembra però un po' esagerato e parecchio assurdo. È naturale, è fisiologico ed è benefico. E non c'è nulla di strano. Anche perché, diciamolo, per una mamma che allatta concentrarsi sul proprio esibizionismo è l'ultimo dei pensieri, no? Non è uno sbandierare di seno, non è una sfilata di nudità oscena.

Ecco, il Brelfie vuole toccare questo tasto che è ancora un tabù. Sta ad ogni mamma decidere se allattare o meno senza sentirsi giudicata in un senso o nell'altro, e se sentirsi a proprio agio in mezzo alla gente con il proprio bimbo al seno o optare per un allattamento più intimo: ad ognuna la sua scelta. Ma, almeno, si faccia sì che la scelta possa avvenire, senza essere additate come svergognate o esibizioniste.

Foto:
Gisele Bundchen, Gwen Stefani, Miranda Kerr, Blake Lively, Alanis Morrisette, Bianca Balti
Tutte da Instagram

Sara Polotti

Chi ha un bambino che frequenta una scuola montessoriana lo sa: un momento importantissimo è quello dedicato ad apparecchiare la tavola. I piccoli camerieri imparano a disporre le stoviglie per i pasti in maniera precisa ed ordinata, diventando piano piano bravissimi in questa attività.

Tutto questo non ha valore solo perché "bon ton". No. L'importanza dell'apparecchiare la tavola è spiegata molto bene dalla stessa pedagogista: il lavoro necessario a questa attività quotidiana permette al bambino, grazie alla crescente difficoltà dei compiti e alla pazienza che deve saper dosare, di sviluppare il suo carattere e di provare sulla sua pelle il senso della responsabilità.

Perchè e come i bambini devono apparecchiare tavola secondo Montessori: come disporre tovaglie e stoviglie per far sì che il bambino sviluppi la sua indipendenza 

Tutto deve essere insegnato gradualmente. Naturalmente i più piccoli (pensiamo a quelli di due anni) non sono in di maneggiare piatti in porcellana o bicchieri di cristallo (e non è nemmeno sicuro), ma se il bambino ha un'età in cui la sua manualità fine si sta sviluppando è necessario utilizzare le stoviglie vere.

Iniziate quindi (anche a casa, se già lo fa a scuola) a giocare all'"apparecchiare il tavolo"! Nella cameretta montessoriana di cui vi abbiamo parlato non deve mancare il tavolino (o la piccola scrivania) a misura di bambino. Si può quindi cominciare con l'apparecchiare per finta il piccolo tavolo. Con tovagliette di carta, piatti e bicchieri di plastica e posate adatte ai più piccoli iniziate a insegnare a vostro figlio i principi: il piatto al centro, le posate ai lati del piatto, e così via.
Non fossilizzatevi però sulle stoviglie anti-rottura, come dicevamo, e utilizzatele solo nel caso di bambini davvero piccoli piccoli. Nelle scuole montessoriane camerieri e dispensieri (i bambini che a turno si occupano della preparazione dei tavoli da pranzo) utilizzano vere tovaglie, veri piatti in ceramica e bicchieri di vetro. Questo perché è importante che i bimbi capiscano ed apprezzino il valore materiale delle cose: capiterà di rompere qualcosa, ma una volta accaduto il bambino capirà la delicatezza delle cose e sarà in grado di valutare come maneggiare tutto con la cura necessaria.

Provate quindi qualche gioco per rendere tutto più divertente prima di passare alla vera attività.

Ad esempio, prendete delle tovagliette di tela o sughero, bambù o legno: l'importante è che non abbiano pattern che disturbano, quindi meglio tinta unita. Su di esse disegnate quindi le silhouette degli elementi da posizionare (oppure ricamatele): il piatto, le posate (la forchetta alla sua sinistra e cucchiaio e coltello - con la lama rivolta verso il piatto - a destra), il cucchiaino sopra il piatto e il bicchiere in alto a destra.

 


Foto Credits: http://www.daniandcolf.com/wp-content/uploads/2015/02/tovaglietta-montessoriana2.jpg

Il bambino dovrà appoggiare gli elementi (meglio quindi quelli veri, di ceramica e vetro) seguendo le forme.
Tutto questo sarà svolto sulla tavola vera, quella dove la famiglia mangia: aiutandosi con uno sgabellino montessoriano, il bambino vi aiuterà fin da subito (magari, se piccolo, ricorrendo alle tovagliette preparate per poi toglierle gradualmente) in questa utilissima attività, che dovrà svolgere con cura e con costanza (può diventare un suo compito quotidiano).

Gradualmente le tovagliette che lo aiutano saranno eliminate: una volta imparata la disposizione il bambino potrà passare ad utilizzare la tovaglia vera e propria.
E, mi raccomando, insegnate anche a sparecchiare; lasciate che siano i bambini a riporre ordinatamente le tovaglie e a raccogliere le stoviglie sporche. Anche questa è un'attività importantissima per la vita pratica!

Sara Polotti

KORTO, l'orto online biologico di Torino

Martedì, 05 Gennaio 2016 07:53

Avere un piccolo orto è il sogno irrealizzabile di moltissimi abitanti delle città italiane. Spesso, non avendo spazio esterno è impossibile curare un piccolo appezzamento di terra per provvedere ai bisogni di frutta e verdura della famiglia in maniera autonoma e sostenibile. Ma c'è chi ci ha pensato e ha trovato una soluzione fighissima.

A Torino è nato KORTO, l'orto online per soddisfare i sogni biologici dei cittadini: seduti comodi comodi alla scrivania di casa, i torinesi possono coltivare la loro terra grazie alla start-up di Davide Almondo e al suo team

Si è chiesto: come far sì che ognuno possa coltivare i suoi ortaggi anche quando lo spazio non lo permette? Bene, ecco un server delle colture.

L'imprenditore torinese Davide Almondo ha messo così a disposizione la terra ai torinesi. Si fa tutto online: vai sul sito www.korto.it, ti iscrivi gratuitamente, crei il tuo orto (personalizzato al 100%!) e ogni settimana ricevi a domicilio i tuoi kilogrammi di verdure (2,5kg a 9 euro a settimana, 5kg a 16 euro e 10kg a 29 euro). Come? Grazie ai contadini che pianteranno le tue verdure in uno degli oltre 500 Orti Urbani creati presso Venaria Reale, se ne prenderanno cura, le coglieranno e le spediranno a casa tua (se vivi in provincia di Torino) una volta a settimana dal momento in cui saranno pronte.

Il tutto controllabile da casa come in un The Sims vegetale: una webcam sarà sempre puntata sui tuoi ortaggi e potrai spiarli ogni volta che vuoi.
Il team ha pensato a tutte le variabili: ovviamente nei primi tempi di crescita non potrai ancora ricevere i frutti del tuo web-lavoro, quindi avrai la possibilità, comunque, di ricevere prodotti di coltivatori locali. E, se per qualche ragione in una determinata settimana non riceverai i tuoi prodotti, ovviamente non pagherai nulla.

Non solo: per chi volesse fare la vera esperienza della coltivazione, sporcandosi le mani e i gambali di terra, ci sarà la possibilità, ogni sabato, di recarsi presso il proprio orto per cogliere i prodotti personalmente, risparmiando così anche sulla consegna.
E per ogni evenienza, il tuo personal farmer (cioè il contadino che segue il tuo orto) sarà rintracciabile sempre, via WhatsApp, per le domande e le richieste (come, ad esempio, sapere come sta crescendo sana la tua carota viola o poter trasformare in confetture e marmellate i tuoi prodotti).

È a km Zero e quindi ha impatto bassissimo sull'ecologia, è controllato, è sano e genuino, è occasione per conoscere la coltivazione, è comodissimo, creativo e divertente, e sostanzialmente è una figata.
Ahimè, per ora è disponibile solo ad un'utenza torinese (ovviamente: altrimenti il concetto di km0 andrebbe abbastanza a farsi benedire).

Chissà che ad altri start-uppers italiani venga l'idea di coltivare orti urbani come questi ideati da Korto e di trapiantarli in tutto lo stivale: non sarebbe bellissimo per ogni famiglia poter coltivare il proprio orticello con ogni possibile verdura anche quando gli spazi e le abitazioni non lo permettono? Mamme, papà e bambini potrebbero crearlo tutti insieme e una volta a settimana recarsi presso il proprio spazio agricolo per cogliere insieme al proprio personal farmer verdure e ortaggi di stagione. Magnifico, no?

Sara Polotti

Sara

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Cecilia

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