La gravidanza è sempre accompagnata da cambiamenti, non solo emotivi ma soprattutto fisici. Il corpo va quindi curato maggiormente. Ma quali sono le aree più inclini a cambiamenti e come agire dopo il parto?

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Durante la gravidanza, il corpo è soggetto a cambiamenti, una sorta di rivoluzione causata dagli ormoni che non sfugge all’occhio attento di ognuna di noi.

Aumento di peso e variazioni della forma sono tra gli aspetti della gravidanza che si preferirebbero evitare. Le fluttuazioni di peso non dovrebbero superare i 12 chili, tuttavia gran parte delle donne ne accumula di più. Questo genera inestetismi successivi al parto, perché la pelle, magari poco elastica, potrebbe risultare in eccesso.

Cosa avviene dopo il parto?

La pancia successivamente al parto non si riduce istantaneamente, questo perché dopo il parto sono necessari almeno 15 giorni affinché l’utero ritorni alle sue dimensioni di partenza, così i muscoli e la pelle della pancia sono costretti a tendersi per assecondare questo processo. Non essendo completamente elastici, i tessuti risultano quindi sotto tono e molli.
Il seno durante la gravidanza aumenta di volume e questo può essere piacevole per molte donne. Tuttavia dopo il parto il décolleté così apprezzato e abbondante risulta sproporzionato e ancora alla fine dell’allattamento il seno è svuotato e cadente.
Le gambe sono soggette a ritenzione idrica perché durante gli ultimi mesi di gravidanza l’utero tende a premere su alcuni vasi sanguigni rendendo più difficile una corretta circolazione e scambio tra i liquidi.
Quindi possiamo affermare che le aree più soggette a cambiamenti durante la gravidanza sono:

Seno
Pancia/addome
Gambe/glutei

Intervenire dopo la gravidanza sulle aree modificate è possibile?

Quando si parla di fare ricorso ad interventi di medicina e chirurgia estetica è sempre consigliato, per ogni trattamento, evitarli durante la gravidanza, ma anche durante l’allattamento per evitare che sostanze iniettate nel corpo o protesi possano influire sul normale decorso post parto.

Seno svuotato post allattamento come fare?

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Dopo l’allattamento, il seno tende a cambiare, la pelle appare più rilassata e il capezzolo scende verso il basso, donando al seno un aspetto cadente e vuoto.
In numerosi casi è sufficiente dell’esercizio fisico mirato nei pettorali con una dieta sana ed equilibrata, creme tonificanti applicate con appositi massaggi, e in poco più di un anno il seno tornerà ad essere tonico e fresco.
Purtroppo, non in tutti i casi questo avviene e molte donne non riescono più a riottenere il seno di un tempo, dovendo così ricorrere ad altre soluzioni.
Ma dove scoprire di più su come intervenire? Esistono, oggigiorno, portali dedicati alla medicina estetica dedicati a tutti coloro che intendono informarsi preventivamente sull’intervento o trattamento che desiderano.

Chirurgia estetica e seno dopo l’allattamento

Nell’ambito della chirurgia estetica troviamo le soluzioni più efficaci per risolvere il problema del seno cadente e vuoto, e sono:
Mastoplastica additiva: consiste nell’utilizzo di protesi per aumentare il volume del seno. Da effettuare non prima di 6 mesi dalla fine dell’allattamento.
Mastopessi: senza l’utilizzo di protesi, viene effettuato un rimodellamento della mammella, spostando verso l’alto l’areola mammaria e rimuovendo l’eventuale pelle in eccesso.
Se non si vuole ricorrere ad interventi invasivi, si può far ricorso alla medicina estetica, che offre soluzioni che non prevedono l’utilizzo del bisturi. Ad esempio, efficace per intervenire sul seno svuotato dall’allattamento è il trattamento di lipofilling, ovvero una tecnica basata sul trapianto di grasso del paziente da una parte all'altra del corpo. Attraverso questo trattamento si vanno a modificare i contorni e le forme delle mammelle, senza l'inserimento di sostanze estranee.

Quali sono invece le soluzioni per la pancia e le gambe?

Gambe gonfie e pancia molle possono essere problemi riscontrabili dopo la gravidanza. Per intervenire sulla pancia si può far ricorso a 2 soluzioni:

Concentrarsi su sport ed esercizi mirati. Se questi non funzionano, è possibile fare ricorso a:
Chirurgia e medicina estetica

Gli interventi di riferimento sono la mini-addominoplastica, che prevedere la rimozione di una striscia di pelle in eccesso e che può essere abbinata alla liposuzione se è presente anche grasso in eccesso.
L’addominoplastica, quando tutta l’area della pancia presenta problemi.

Per le gambe che appaiono gonfie e stanche, invece, sono consigliati una dieta sana, bere molta acqua che stimola il drenaggio dei liquidi, e fare esercizio fisico.

 Giulia Mandrino

Adoriamo le polpettine! Consentono non solo di far mangiare praticamente tutto ai bambini ma anche di riciclare tanti scarti: noi cerchiamo sempre di unire una proteina (pesce, carne bianca, legumi, uova, frutta secca) a carboidrati (pangrattato, patate, farina di mais, cereali in chicchi) così da ottenere un pasto completo con un bel contorno di verdura. Questa è la ricetta delle nostre tipiche polpettine di pesce, che, vi assicuriamo, piacciono moltissimo ai bambini, e sono super semplici da preparare.

Polpettine di pesce: la ricetta delle polpette a base di pesce per riciclare gli scarti e fare mangiare i bambini in maniera sana ma divertente

 

Il Barbiere di Siviglia per bambini

Venerdì, 05 Gennaio 2018 14:47

Avete mai pensato di portare i bambini a vedere l’Opera? Spesso si hanno dubbi: si annoieranno? Capiranno? Ma fa davvero per loro? Oppure noi stessi in primis non ci siamo mai stati e non sappiamo quindi cosa aspettarci.

L’Opera tuttavia è affascinante per tutti: anche chi non ne capisce ha sentito almeno una volta nella vita la voglia di provare ad andarci. Per i bambini è altrettanto curiosa e stimolante: perché quindi non portarceli?

Oggi esistono spettacoli dedicati all’opera e alla lirica per bambini. Come ad esempio “il Barbiere di Siviglia”, tra le opere più iconiche, che come gli scorsi anni la Scala di Milano propone apposta per i più piccoli, insieme ad un’altra opera, “L’elisir d’amore”.

Il Barbiere di Siviglia per bambini: l’Opera per bambini è sempre una bellissima idea, soprattutto alla Scala di Milano

Il barbiere di Siviglia” è una tra le opere in assoluto più conosciute. L’ha musicata Gioachino Rossini e racconta della storia d’amore tra il conte d’Almaviva e l’orfana Rosina, con l’intermediazione del famoso Figaro, il barbiere di Siviglia che escogita ogni stratagemma per far sì che i due innamorati si vedano, in barba al tutore di Rosina (Bartolo) che la tiene segregata in casa.

Il Teatro alla Scala di Milano propone quindi nuovamente nel suo programma per il 2018 i “Grandi Spettacoli per i Piccoli”. “Il barbiere di Siviglia” è in programma per questo gennaio il 7 e il 28 del mese, con due spettacoli, alle 11 e alle 15. Il calendario comunque va anche più in là, e basta consultare la pagina dedicata per scegliere un’altra data.

Noi assisteremo allo spettacolo delle 11 il 28 gennaio: state connessi, perché lo seguiremo con voi commentando sulla nostra pagina Facebook!

Ma perché portare i bambini all’opera? Innanzitutto per vivere la magia del teatro: non siamo più abituati ad andarci, ma a stare incollati sul divano davanti alla tivù se proprio vogliamo assistere a qualche rappresentazione artistica. Certo, è bellissimo che esistano canali che propongono questo tipo di arte, ma andare a teatro è sempre, sempre un’emozione. Il sipario in velluto rosso, la magnificenza dell’ambiente (quando siamo nei grandi teatri cittadini), il silenzio, gli applausi, la concentrazione…

L’opera lirica, poi, è tra le tipologie di spettacolo più affascinanti e magnifiche: la pensiamo per pochi eletti, per gli appassionati, per i ricchi addirittura. Ma non è così. Unendo il teatro alla musica e al canto, l’opera è quanto di più completo esista. Appassionare i bambini all’opera lirica è quindi una buona scelta.

Naturalmente, come per tutto, non serve cominciare con troppa serietà. Ecco perché “Il Barbiere di Siviglia” è adatto allo scopo: è una commedia divertente, buffa e a tratti leggera, un’introduzione perfetta a questo tipo di spettacolo. Proprio come quando vi avevamo suggerito di rendere le visite nei musei, almeno all'inizio, a misura di bambino.

Prima di recarci a teatro, quindi, possiamo cercare insieme ai bambini informazioni sulla storia, curiosità sull’autore, dettagli riguardanti i costumi dell’epoca e tutto ciò che può interessare ai bambini, capendo così il linguaggio dell’opera e rendendosi conto che si sta per assistere a qualcosa di grandioso, curioso e diverso dal solito, gustandoselo quindi nella giusta maniera e non considerandolo qualcosa di vecchio, borioso e incomprensibile. Perché no, non è incomprensibile! E per farlo possiamo partire dalla bellissima Guida all’Ascolto che possiamo scaricare dal sito della Scala: un libretto da ritagliare, colorare e leggere per ricreare l’opera che andremo a vedere o che abbiamo appena visto.

“Il barbiere di Siviglia” per i piccoli alla Scala di Milano è adatto ai bambini dai 4 anni in su e dura circa un’ora senza intervallo. A guidarli nell’opera sarà un narratore (Ambrogio, interpretato da Stefano Guizzi) e la musica sarà suonata dai solisti e dall’orchestra dell'Accademia Teatro alla Scala.

Giulia Mandrino 

Come spronare i bambini a parlare

Venerdì, 05 Gennaio 2018 10:00

Abituare i bambini sin dai primi giorni alla parola è quanto mai importante: parlargli, rivolgersi direttamente a loro anche se li consideriamo “lattanti”, comunicare con loro non solo attraverso il contatto e la cura.

Questo è il primo passo per aiutarli a imparare a parlare. Ma ci sono tantissime cose che possiamo fare per spronarli a farlo, cominciando sin dai primi giorni e mesi di vita! Poi, naturalmente, ognuno avrà i suoi tempi. Ma perché non dargli qualche semplicissimo strumento in più?

Come spronare i bambini a parlare: cosa fare per stimolare i bambini a parlare

Ciò che stiamo per suggerire non sono compiti da dare al bambino, assolutamente. Anzi: sono abitudini che dobbiamo prendere noi genitori, perché è dal nostro esempio che i bambini imparano. Se noi per primi ci poniamo in maniera propositiva, efficace e positiva nei loro confronti, parlandogli e coinvolgendoli nella comunicazione verbale, certamente i bambini ne beneficeranno, acquisendo direttamente e indirettamente nozioni importantissime per quando cominceranno a imparare a parlare. Insomma: qualche consiglio per aiutare i bambini a parlare partendo dal nostro esempio concreto.

PARLARE, PARLARE, PARLARE. E DESCRIVERE.

La prima abitudine imprescindibile che noi genitori dovremmo prendere è quella di parlare spesso e volentieri al bambino, descrivendo ciò che stiamo facendo durante la giornata, parlando delle piccole cose, descrivendo i paesaggi, nominando gli oggetti. Sin da piccolissimi: non dimentichiamo che i nostri bambini sono delle spugne!

LIMITARE LE VOCINE SCEME PER NEONATI

È vero, è irresistibile: ti trovi di fronte un bambino e ti esce naturale dalle corde vocali quella vocetta stupida da cartone animato, buffa, divertente e carina. Ma se vogliamo aiutare i nostri bambini evitiamo di utilizzarla sempre, costantemente. Ogni tanto ci sta, ma non come abitudine. Usiamo quindi la nostra voce normale, con tono normale, esattamente come parliamo agli adulti, scegliendo forme e termini semplici ma veri e non storpiati. Un po’ per loro rispetto (già: i bambini imparano moltissimo, anche se non la usiamo, e sono molto più intelligenti di ciò che crediamo), e un po’ perché, appunto, impareranno meglio il linguaggio e la comunicazione.

GESTICOLARE

Noi italiani lo facciamo già di default, secondo i più diffusi cliché, quindi non abbiamo bisogno di sforzarci. Ma sappiate che gesticolare è importante, con i bambini, perché aggiunge alla comunicazione verbale quella non verbale, fatta dei gesti del corpo. Le parole si integrano così con i gesti e diventano spesso più comprensibili.

RACCONTARE STORIE

Leggere le favole la sera (sin da piccolissimi, anche quando siamo convinti che “tanto non capiscono”); inventare storie; raccontare il vissuto delle persone che ci stanno attorno. Ci sono mille modi per raccontare, e come il descrivere questa abitudine è davvero benefica.

FARE DOMANDE

Non solo quando i bambini cominciano effettivamente a parlare, ma anche prima: il fatto che non rispondono non significa che non ragionano. Sentendosi domandare qualcosa il loro cervello si mette comunque in moto, ed è un esercizio utilissimo in vista del futuro.

ASCOLTARE LE RISPOSTE

Certo, quando iniziano a parlare (perché è importantissimo ascoltare ciò che hanno da dire: altrimenti chi glielo fa fare di parlare?). Ma anche prima: quando facciamo domande, fermiamoci e lasciamoli un attimo riflettere, e lasciamo che rispondano con ciò che hanno a disposizione: il loro corpo. E anche se non comunicano ancora nulla all’esterno, lasciamo che abbiano il tempo di rispondere dentro di loro.

Giulia Mandrino 

Ogni genitore ha un suo rapporto con il proprio figlio, e sa quando usare certe parole, quando essere fermo, quando essere dolce e quando impuntarsi. A volte, però, sembra che nessun approccio sia quello giusto, e certe nostre parole e toni, anche impercettibili o per noi minimi, possono dare l’effetto opposto a quello sperato, facendo sì che i bambini si intestardiscano di più, si arrabbino, si intristiscano o non ascoltino.

Ecco quindi alcune frasi in sostituzione delle più comuni espressioni per far sì che la conversazione con i nostri figli sia più proficua ed efficace, sempre nel rispetto dei bambini.

Le frasi per parlare più facilmente con i bambini: come porsi per trasmettere meglio la sicurezza, le regole, l’autorità e la dolcezza nei momenti in cui ce n’è bisogno, rispettando sempre i nostri figli

“Vedo che…”

Iniziare le frasi con “Vedo che…” (“Vedo che sei arrabbiato”, “Vedo che non hai voglia di mangiare”, “Vedo che sei entusiasta”) infonde nel bambino un senso di sicurezza, consapevolezza e autostima, poiché sente di essere osservato dai genitori e considerato da loro. Lo spronerà a parlare di ciò che sta passando, esprimendo le sue sensazioni, un esercizio utile per tutta la vita.

“Parlamene…”

Allo stesso modo, il “Parlamene” aiuterà il bambino a prendere l’abitudine di esprimere le sue emozioni, in tutti i casi: quando è triste, quando è arrabbiato, quando è felice, quando è euforico. E dare il nome alle emozioni è utilissimo, poiché rende i bambini più consapevoli e più in grado quindi di gestire le situazioni.

“Ho bisogno che tu faccia questo”

A volte, giustamente, cerchiamo di utilizzare con i bambini frasi che li spronino a fare le cose secondo la loro volontà, incitandoli, invogliandoli e facendo sembrare che siano loro idee. Ad esempio? “Che ne dici di mangiare questo piatto di pasta?”. “Io mi sto preparando per uscire. Tu cosa fai”?. Talvolta però i bambini non sembrano proprio nel mood di fare ciò che devono fare in quel momento, e se siamo di fretta o esasperati il nervosismo sale inesorabile (in noi). Ma potrebbe bastare cambiare forma della frase, rendendola più autorevole e più ferma mantenendo il rispetto, senza arrabbiarsi. “Ho bisogno che tu mangi questo piatto di pasta, perché non puoi stare senza cibo”. “Ho bisogno che ti prepari insieme a me, perché papà ci sta aspettando in macchina”. Dire loro che abbiamo bisogno che facciano qualcosa (argomentando anche con il perché, in modo da fare capire loro che c’è sempre un motivo e noi genitori non imponiamo solo per il gusto di farlo) li farà sentire importanti e responsabili, grandi.

“Allo stesso tempo” al posto di “ma”

I “ma”, come “no”, sono utili e importanti, ma troppi stroppiano e rischiano di dare l’effetto opposto a quello sperato. Al posto del “ma”, quindi, possiamo usare “allo stesso tempo”. Qualche esempio? “Sei un bravo bambino ma oggi ti sei comportato male” può diventare “Sei un bravo bambino ma allo stesso tempo capita che ti comporti male”. “Ti voglio bene, ma non devi mordere gli altri bambini” diventa “Ti voglio bene, ma allo stesso tempo ho bisogno che tu capisca che fare del male agli altri è sbagliato”. Perché il “ma” è un avversativo che implica qualcosa di male a prescindere da tutto, mentre “allo stesso tempo” fa capire che il nostro bene nei loro confronti (quello che esprimiamo nella prima frase) è la cosa più importante e che i giudizi che stiamo esprimendo sono regole importanti che gli stiamo insegnando.

“Mi piace guardarti fare queste cose positive”

È importante che i bambini capiscano che noi apprezziamo ciò che fanno e che li consideriamo importanti e non “dei bambini”. Soprattutto quando fanno cose che ci rendono orgogliosi di loro: esprimiamo sempre il nostro piacere e il nostro orgoglio quando si comportano bene, quando si appassionano di qualche attività o quando in generale siamo contenti di ciò che sono, in modo che si sentano voluti bene, considerati e apprezzati.

“Posso aiutarti?”

Soprattutto nei momenti di difficoltà i bambini a volte non sanno come comportarsi, o come dare un nome alle emozioni che stanno provando. Aiutarli ad esprimersi e a capire come muoversi è un piccolo passo nel dargli gli strumenti per la vita. Si sentiranno sicuri, guidati da noi, e pian piano acquisiranno ciò che servirà loro in futuro, per affrontare da soli i problemi.

“Come faresti per risolvere la cosa?”

Un’altra frase che diventa strumento utile per il futuro, perché semplicemente dicendola cominciamo a instillare nei bambini un senso di problem-solving importantissimo. Standogli accanto e aiutandoli, diamogli comunque la possibilità di provare a fare a modo loro, di parlare con le proprie parole e di capire come muoversi con le loro gambe.

“Aiutami a capire”

Una frase che sembra utile a noi genitori ma che è utile per entrambi, perché come le altre è un modo per far sì che i bambini imparino ad esprimersi e a capire cosa passa nel loro cuore. A volte dare un nome all’emozione negativa o destabilizzante che provano è un primo passo per calmarsi e per risolvere la situazione! Dicendolo a noi lo diranno anche a se stessi.

“Ciò che pensi è per me importante, quindi spiegamelo”

Sentirsi importanti e ascoltati è fondamentale per i bambini: siamo genitori, e quindi abbiamo il compito di guidare e dare regole, ma è nostro dovere anche ascoltare i bambini sul serio, considerando le loro opinioni importanti quanto le nostre. Se i bambini sentiranno di essere considerati acquisiranno anche un senso di responsabilità (poiché li ascolteremo quando dovremo prendere decisioni) e svilupperanno l’autostima, preziosa per la vita adulta.

“Ti voglio bene”

Il “ti voglio bene” fa sempre bene: quando siamo felici e gioiosi e quando ci sentiamo orgogliosi dei nostri bambini, ma soprattutto nei momenti “no”, quando siamo tristi, quando sono arrabbiati con noi, quando li sgridiamo. Facciamo uno sforzo e ripetiamolo sempre (magari aggiungendo quel famoso “allo stesso tempo”, per spiegare le situazioni), in modo da fare capire che in ogni caso sono il tesoro della nostra vita e che, nonostante tutto, li amiamo moltissimo e tutto ciò che facciamo, anche attraverso le regole, lo stiamo facendo per loro.

Giulia Mandrino 

Siamo tutti creativi, ma la scuola ci cambia

Mercoledì, 03 Gennaio 2018 13:29

“È un bambino molto creativo”. “Gli piace tantissimo inventare storie”. “Nel disegno è davvero dotato”. E poi, da grandi: “È sempre stato più creativo degli altri, per questo è diventato architetto”. Frasi comuni, luoghi comuni che sentiamo spessissimo, no? È normale pensare che ci sia qualcuno più creativo di altri. Ma in realtà, a quanto pare, non è così: tutti nasciamo creativi. Ma la nostra società e il sistema in cui viviamo spesso ci tarpano le ali e ci indirizzano su diverse strade facendoci perdere quella naturale creatività con cui nasciamo.

A dirlo sono nientepopodimeno che gli scienziati della NASA. Ma vediamo meglio di cosa si tratta.

Siamo tutti creativi, ma la scuola ci cambia: la ricerca degli scienziati della NASA che svela come tutti nasciamo creativi

Nel 2011 alla famosa conferenza TEDxTucson salì sul palco il dottor George Land. Lo scienziato è esperto in creatività, crescita e cambiamento. Per tutta la vita ha studiato questi fenomeni umani, e sul palco di Tucson ha quindi parlato di una sua esperienza con la NASA che ebbe qualche anno prima.

L’agenzia governativa responsabile del programma spaziale statunitense lo chiamò, insieme alla collega Beth Jarman, perché misurasse il potenziale creativo dei loro scienziati e ingegneri (dal momento che la creatività è uno strumento indispensabile in ogni settore, anche nell’ingegneria, nell’economia e in tutti i campi generalmente non considerati “creativi”). Il test fu molto proficuo, ma lasciò in testa ai responsabili della NASA una domanda: “da dove viene la nostra creatività?”. Una domanda che implica altre due questioni: la creatività è innata o la impariamo? Oppure deriva dalle esperienze che facciamo?

Con queste domande in mente, gli scienziati della NASA hanno quindi preso in considerazione 1600 bambini di età compresa tra i 4 e i 5 anni, per provare a darsi delle risposte veritiere, scientifiche e comprovate.

Il test che hanno proposto ai bambini gli scienziati della NASA doveva fare capire quanti di loro potessero essere considerati dei “geni della creatività”. La percentuali dei “geni creativi” fa riflettere: il 98% dei bambini, infatti, è rientrato in quella categoria. Tradotto: il 98% dei bambini sono da considerarsi “creativi”.

Dopo cinque anni, quindi, gli scienziati hanno richiamato i 1600 bambini, per vedere lo sviluppo della loro creatività a 10 anni. Il risultato? Solo il 30% dei bambini poteva essere ancora considerato un genio nel settore creatività e immaginazione. Dopo altri cinque anni la percentuale è precipitata ancora, fino al 12%. E in età adulta le persone “rimaste” creative erano solo il 2%.

I dati fanno riflettere, e la prima cosa che viene in mente è che effettivamente possa essere proprio la scuola ad essere ritenuta responsabile della perdita di creatività. Se ci pensiamo, la scuola (che storicamente nasce come istituzione per formare le menti dei futuri leader, e non della gente comune) ci dà strumenti per incanalare le nozioni, per sistematizzarle, per accettarle nonostante i dubbi. Certo, la scuola con gli anni sta cambiando (speriamo in meglio), e il bambino è fortunatamente sempre più considerato il centro del suo apprendimento.

Ma non si può non pensare che effettivamente la scuola tappi un po’ il canale creativo, per sua natura.

La soluzione per non perdere questa creatività, fondamentale per la crescita e per il lavoro futuro, è semplicemente non tappare più questo canale, non relegandolo alle semplici ore di arte in classe, ma integrandolo in tutte le materie, sfruttando il potenziale del pensiero divergente più che di quello convergente.

Giulia Mandrino 

Tra le ricette etniche che più amiamo c'è il dal di lenticchie (scritto anche "dahl"), piatto indiano con lenticchie e curcuma da gustare come primo oppure come contorno, accompagnato con del profumato riso basmati. Un modo delizioso per gustare i legumi, importantissimi per fare incetta di proteine vegetali. La ricetta è sempre deliziosa, ma risulta ancora più gustosa e buona se preparata in una pentola in ceramica (noi utilizziamo le ceramiche Zisha di Siqur Salute): la cottura lenta ed uniforme è l'ideale per questi piatti!

Dal di lenticchie: la ricetta del piatto indiano a base di legumi e spezie

 

Li si porta in grembo per nove mesi. Li si partorisce con dolore. Li si ama fino al midollo, e poi li si lascia andare. A volte è doloroso vederli crescere, per quanto meravigliioso, perché sappiamo che il nostro compito di genitori è quello di accompagnarli finché avranno bisogno della nostra mano, non più in là. E se vi dicessimo che in realtà i nostri figli rimangono con noi mamme praticamente per sempre? Non solo nel cuore, ma anche nel corpo.

Tuo figlio resta sempre con te, e a dirlo è la scienza: una ricerca sul microchimerismo mostra come le cellule fetali rimangano nell’organismo della mamma per decenni

“Microchimerismo fetale e salute materna: una revisione e un’analisi della cooperazione e del conflitto oltre l’utero”: un titolo lunghissimo, quello dell’articolo pubblicato sulla rivista Bio Essays un paio di anni fa, ma che in sostanza tratta il legame tra le cellule del feto e quelle del corpo materno. Le conclusioni sono varie, ma ciò che interessa a noi è molto semplice: le cellule del bambino rimangono nell’organismo della madre per molto, moltissimo tempo, e per noi questo è qualcosa di davvero emozionante, commuovente e significativo, per quanto bizzarro possa sembrare.

Lo studio è stato condotto dai ricercatori Amy M. Boddy, Angelo Fortunato, Melissa Wilson Sayres ed Athena Aktipis. La ricerca partiva da un presupposto: le cellule materne e quelle fetali si influenzano, positivamente e negativamente, ed è un dato di fatto. Come possono quindi essere sfruttate per aiutare allattamento, guarigione dell’utero, la salute mentale post parto e mille altre situazioni comuni dopo il parto?

I ricercatori sono arrivati alla loro conclusione, ma facendolo hanno sottolineato anche questo fatto, che a noi pare interessantissimo: il materiale genetico dei bambini rimane nell’organismo delle loro madri per anni dopo la nascita.

Il microchimerismo è proprio questo trasferimento di cellule, e secondo la dottoressa Boddy avviene in ogni singola gravidanza (anche quelle che poi terminano purtroppo con un aborto). Si parla di anni, addirittura decenni.

Queste cellule, quindi, possiamo ipotizzare (come hanno fatto i ricercatori) che subiscano il trasferimento per motivi ben precisi. Ad esempio, passando dal feto alla placenta fino al corpo della madre, le cellule del bambino si intrufolerebbero nel suo corpo per aiutare poi la madre a legare meglio con il bambino una volta nato.

Queste cellule, tuttavia, agiscono, secondo i ricercatori, sia in maniera positiva (per il legame, l’allattamento, il sistema immunitario…) sia in maniera negativa e pericolosa. In alcuni casi sembra che il microchimerismo contribuisca a sviluppare l’artrite reumatoide; in altri (quelli più incoraggianti), invece, pare che abbia protetto dall’Alzheimer, o che abbia aiutato nel risolvere problemi di allattamento e disordini psicologici associati alla gravidanza (anche grazie al legame che le cellule creano, come dicevamo).

Giulia Mandrino

Mamma Pret a Porter non è una testata medica e le informazioni fornite hanno scopo puramente informativo e sono di natura generale, esse non possono sostituire in alcun modo le prescrizioni di un medico o di un pediatra (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione), o, nei casi specifici, di altri operatori sanitari (odontoiatri, infermieri, psicologi, farmacisti, fisioterapisti, ecc.) abilitati a norma di legge. Le nozioni sulle posologie, le procedure mediche e le descrizione dei prodotti presenti in questo sito hanno un fine illustrativo e non devono essere considerate come consiglio medico o legale.

 

Storie della buonanotte per bambine ribelli

Venerdì, 29 Dicembre 2017 15:25

(Photo credit: http://www.storiedellabuonanotteperbambineribelli.it)

Il titolo forse sbaglia: non dovrebbero essere storie della buonanotte solo per bimbe ribelli. Dovrebbero essere storie della buonanotte per tutti: bambine ribelli e bambine meno ribelli; mamme e papà; adulti; e soprattutto bambini, maschi. Insomma, delle storie della buonanotte per tutti, che in ogni caso ci piacciono moltissimo, nonostante le critiche da parte di alcuni noti giornalisti. Il progetto è ammirevole, e trovare il pelo nell’uovo non ci interessa!

Storie della buonanotte per bambine ribelli: il successo della letteratura per l’infanzia che ci piace, e che regaleremo a tutti i nostri figli, femmine e maschi

Esatto, lo regaleremo a tutti, perché è interessante assolutamente per chiunque. Anche per noi che lo leggiamo insieme ai bambini, ma che in realtà ci lasciamo trasportare dalle storie proprio come se le stessimo leggendo solo per noi stesse!

“Storie della buonanotte per bambine ribelli - 100 vite di donne straordinarie” (che potete comprare qui) è un libro illustrato per bambini e ragazzi edito da Mondadori che ha dietro una bella, bellissima storia. Elena Favilli e Francesca Cavallo, le autrici (che prima del best seller avevano già avviato un progetto per bambini molto interessante, la prima rivista per loro su tablet, Timbuktu Magazine), sono riuscite a pubblicare il libro negli Stati Uniti grazie ad una campagna su KickStarter che ha raccolto più di un milione di dollari.

Il successo del libro, che negli States ha venduto subito oltre 90.000 copie, ha fatto sì che anche in Italia ci si accorgesse del prodotto, e così lo scorso anno (in occasione dell’8 marzo) Mondadori pubblicò il volume.

Il libro nasce da un’idea semplice, sviluppata poi benissimo: raccontare alle bambine (ma anche ai bambini e agli adulti) le storie di 100 donne della storia che “ce l’hanno fatta”, che hanno lasciato un segno, che in qualche modo hanno cambiato il mondo.

Due, a nostro avviso, gli obiettivi: il primo è ispirare le donne di domani; il secondo è sensibilizzare sul tema del sessismo, mostrando agli occhi di tutti la grandezza di un sesso che fino al secolo scorso era considerato minore, più debole e meno importante, nascondendosi dietro all’aggettivo “gentil”.

Ma chi sono le 100 donne presenti (disegnate da altrettante illustratrici di tutto il mondo, che fanno la ricchezza del libro tanto quanto gli scritti)? Sono donne che hanno cambiato la scienza, la storia, la letteratura, la moda, l’arte, lo sport.

Sono Rita Levi Montalcini. Frida Kahlo. Astrid Lindgren. Margaret Tatcher (sì, qualche giudizio è stato dato, ma non si può negare che fosse una forte personalità femminile). E poi Maria Callas, Marie Curie, Alfonsina Strada, Manal Al-Sharif, Nina Simone, le sorelle Williams, Yusra Mardini, Maya Gaberal, Xian Zhang. Non vi diciamo chi sono, se già non le conoscete: il bello è proprio scoprire le loro storie, leggendole o raccontandole ai bambini di sera in sera, ammirandole, stupendoci, restandone affascinati e imparando ogni volta una bellissima lezione.

 

Niente latte e niente zucchero bianco raffinato: la nostra ricetta della crema catalana rivisita un classico della cucina, senza togliere per niente gusto!

Crema catalana: la ricetta sana del classico dessert dalla crosta tutta da rompere!

 

Sara

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Cecilia

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