I 10 motivi per utilizzare i pannolini lavabili ve li avevamo già elencati: avete ancora qualche dubbio? Noi no, e siamo sempre alla ricerca di marchi speciali che producano prodotti perfetti per noi. Abbiamo quindi scoperto Teby, che unisce la sicurezza e il confort alla comodità. I loro pannolini lavabili si chiamano Culla di Teby, e ora ve li presentiamo.
I pannolini lavabili Culla di Teby nascono dall’idea di una mamma, e come tutte le idee che scaturiscono dalla mente delle mamme sono migliori di tutte le altre, poiché si basano sull’esperienza concreta e sulla volontà di rendere migliore ciò che utilizziamo ogni giorno con i nostri bambini. Valentina si è avvicinata al mondo dei pannolini lavabili quando è diventata mamma del suo bimbo e (come noi!) se ne è innamorata (per i mille motivi che dicevamo: l’ecologia, il risparmio, la sicurezza, la riduzione delle irritazioni, l’effettiva bellezza dei pannolini…), e si è lanciata nella ricerca dei prodotti migliori. Mancava sempre però qualcosa, e così ha deciso di provare a progettare il suo pannolino lavabile, quello perfetto, nato dalla sua esperienza e da quella delle altre mamme con cui si è confrontata.
Dopo un anno e mezzo di test è giunta così a produrre i suoi pannolini lavabili, interamente prodotti in Italia con l’aiuto di artigiani e professionisti coinvolti in tutta la produzione, per un prodotto sicuro, personale e studiato nei minimi dettagli.
Il pannolino Culla di Teby è nato così, ed è un pannolino lavabile davvero fantastico: è un pannolino composto da una mutandina in cotone soffice e da una culla (da qui il nome) traspirante e impermeabile, in un tessuto tecnico (Il Pul) con all’interno un assorbente lavabile o usa e getta.
Possiamo quindi inserire Culla di Teby nella categoria “pannolini lavabili ibridi”, perché (e qui sta parte della comodità) possiamo utilizzarlo come un pannolino lavabile “normale” oppure come un pannolino usa e getta (ma più ecologico, con meno rifiuti). E poi si trasforma in un costumino da bagno! Basterà scegliere l’inserto adatto.
Ecco quindi un pannolino comodo, performante, sicuro ed ecologico, che è possibile acquistare in varie taglie (con vestibilità dai 2,5 ai 20 chili), con una barriera antiperdita davvero sicura e una mutandina super soffice che dà sicurezza e comodità al bambino. Rispetto a tanti pannolini usa e getta e lavabili, questi di Teby sono pensati in maniera più specifica, con una forma studiata per adattarsi alla conformazione del corpo dei bebè e con una zona posteriore profonda e larga che abbraccia delicatamente ma benissimo il sederino. La parte che si appoggia alla pancia, poi, è più stretta e piatta, ma soffice, e non ostacola i movimenti, così come i girogamba che aderiscono perfettamente alle cosce permettendo di muoversi in libertà ma minimizzando allo stesso tempo le perdite laterali.
Come tutti i pannolini lavabili, poi, quelli Culla di Teby sono sicuri anche per quanto riguarda le irritazioni, poiché i tessuti, rispetto alla plastica dei pannolini usa e getta, sono molto più naturali, delicati e traspiranti.
Anche i bottoni sono studiati in questo senso: non vengono mai a contatto con la cute del bambino, che come sappiamo è molto delicata.
Per l’inverno, poi, c’è una collezione particolare, pensata apposta per i mesi più freddi: i tessuti scozzesi, la lana… Le mutandine contenitive Bio “Cozy Kilt” e "Scottish Winter", calde e avvogenti, sono realizzate in jersey morbido di cotone bio e lana vergine, e come tutte le mutandine Culla di Teby possono essere lavate in lavatrice (con il programma della lana a freddo).
I pannolini lavabili Culla di Teby ci sono piaciuti fin da subito: sicurezza, ecosostenibilità, comodità, versatilità… Noi non abbiamo più bisogno di altri motivi. Voi?
Giulia Mandrino
Ieri sono stata a vedere Wonder, il nuovo film con Julia Roberts, Owen Wilson e Jacob Tremblay tratto dal fantastico, omonimo romanzo di R.J. Palacio. Il film uscirà il 21 Dicembre nelle migliori sale ed è distrubuito da 01 Distribution. La trama forse la conoscete: è molto semplice, ma complessissima e super interessante nella sua semplicità, e parla di August, detto Auggie, un bambino di dieci anni nato con una deformazione del cranio e per questo “diverso” nell’aspetto a causa delle numerose operazioni subite. Dopo aver studiato per i primi anni della sua vita a casa, decide che è il momento di andare alle medie insieme ai compagni della sua età. Una svolta decisiva, che gli permetterà di vivere l’ambiente (a volte crudele) della scuola, portando ai suoi compagni insegnamenti immensi nella loro ordinarietà, preziosi e stimolanti per tutti noi.
Ognuno di noi nella vita ha degli elementi che lo contraddistinguono. Julia Roberts, che nel film interpreta la mamma del bambino protagonista, parlava delle rughe sul suo viso. Le rughe la segnano, e anche se alcuni possono ritenerle elementi negativi in realtà le rughe raccontano sempre una storia. Quelle sulla fronte le erano venute durante l’ultima operazione del bambino, altri segni sul volto erano riconducibili ad un altro momento particolare. Questi sono i segni visibili di ciò che siamo, dei passaggi inevitabili che abbiamo attraversato nella nostra vita. E poi ci sono i segni che abbiamo dentro. Quelli provocati dai momenti che ci hanno segnato e che ci hanno reso chi siamo. Ma ci sono anche alcune caratteristiche momentanee: stati d’animo, pensieri, tic nervosi… Questi sono riconducibili al momento attuale, a ciò che stiamo attraversando nella vita, che a volte ci rende suscettibili a particolari parole e a particolari eventi e che ci pone però di fronte a delle scelte. Un esempio? Per quanto mi riguarda il mio passato mi ha portata a scegliere di mettere in secondo piano la mia carriera dedicandomi (avendone la possibilità) ai miei bimbi. Per me sarebbe difficile non trascorrere tanto tempo con loro e non essere partecipe delle loro giornate e dei loro traguardi.
Tornando quindi al concetto di momentaneo e di presente, quando alla mattina ci svegliamo e incontriamo le persone (molte), e ci interfacciamo con loro, spesso si verificano tante incomprensioni, anche perché la relazione con l’altro non è mai scontata o immediata, soprattutto in una società come la nostra, complessa, ricca di stimoli e di avvenimenti. Cosa possiamo quindi fare noi per cambiare questa tendenza allo scontro?
Questo è un film che apre tantissime prospettive di lettura, tanto che per me è difficile scrivere una riflessione, perché ci sono così tante sfaccettature che ho dovuto per forza registrare dei memo vocali per cercare di raccoglierne alcune. È un film che si concentra sul concetto di interazione con l’altro, e ciò che ho amato davvero molto è il fatto che non è la classica storia triste che ti fa capire “quanto tu sia fortunato in questo momento, quanto non si debba perdere tempo, quanto si debba guardare il bicchiere mezzo pieno, che la vita sia imprevedibile…”. Non è un film dalla lacrima facile: è veramente complesso, ma allo stesso tempo gioioso. Le lacrime che si versano sono di felicità, e non per fatti straordinari ma per l’ordinarietà delle emozioni, causate dalle interazioni positive tra persone semplici. Interazioni basate su una parola che viene utilizzata poco, oggigiorno: “gentilezza”.
“Gentilezza” può assumere innumerevoli sfaccettature. Ma non deve partire mai dalla commiserazione. Lo si vede benissimo in Wonder: quando facciamo qualcosa perché “dobbiamo” essere gentili, perché dobbiamo accogliere l’altro, non è accoglienza e non è gentilezza. Non è positivo per l’altro ma nemmeno per noi stessi. Ma quando ci apriamo alle persone con un occhio di rispetto (perché la vita è complessa e ognuno di noi ha dentro una ricchezza di emozioni, capacità e talenti incredibili) credo che sia importantissimo cercare di aprirsi a tale interazione. Aprirci semplicemente quando ci troviamo davanti ad un’altra persona. Togliere le nostre categorie mentali, i nostri preconcetti, per lasciarci trasportare dall’altro. Aprirci a noi stessi e aprirci all’altro, facendoci vedere per quello che siamo.
Summer, una delle bambine protagoniste, una delle prime amiche di Auggie, dice: “Vengo da te perché ho voglia di un’amicizia vera”. Caspita, è davvero liberatoria come frase. Significa avere voglia di liberarsi dai preconcetti, di liberarsi punto e basta. E in effetti la cosa bella di questo film è Auggie, che da oggetto di commiserazione e peso per la classe diventa strumento di liberazione. Auggie, anche grazie alla sua liberazione fisica, riesce a liberare in qualche modo gli amici e i compagni e a renderli persone più felici, con loro stesse e con gli altri, insegnando, semplicemente essendo se stesso, non solo i valori per se stessi (un termine che spesso implica anche il concetto di “dovere”) ma la felicità che portano questi valori, il senso liberatorio della gentilezza e la libertà di poter essere se stessi, accogliendo anche l’altro con le sue caratteristiche.
I segni, soprattutto quelli più stigmatizzati dalla società, sono ciò che ci rende noi stessi. Sono loro a renderci i più belli, i più talentuosi, i più speciali. “Tutti avremmo diritto ad una standing ovation per ciò che siamo”, dicono ad un certo punto, ed è vero, perché siamo unici e perché è meraviglioso essere unici. Ed è bello sì essere accettati, ma anche essere aperti, vivendo e diffondendo sempre la gentilezza.
Qualche giorno fa parlavo con una mia amica. Notavamo come spesso, soprattutto in paese, l’ambiente sia giudicante. E questo fa male non solo alla persona giudicata, ma anche a chi giudica. Guardiamo a “Wonder”: non è Auggie chi soffre maggiormente. A soffrire più di tutti è il suo compagno di classe bullo. Alle spalle ha una famiglia difficile, chiusa, giudicante nei confronti degli altri. Una famiglia problematica, legata ad un’immagine di perfezione fittizia basata su castelli senza fondamenta che rivediamo anche in altre situazioni (come la famiglia di Miranda: lei ha un vuoto maggiore di quello di Auggie, con i genitori separati, la madre impegnata a non superare l’evento e il padre che la esclude dalla nuova vita).
Sono quindi tre le figure che mi hanno maggiormente colpito: Julian il bullo e la sua famiglia; l’amico Will; e la sorella di Auggie.
La famiglia di Julian, il bullo, fa davvero riflettere. Oltre ad essere giudicante interferisce nella maniera peggiore possibile con la vita del figlio. Il colloquio con il preside (un preside davvero illuminato) la dice lunga: lui cerca di fare capire a Julian la gravità delle sue azioni di bullismo contro Auggie, mentre i genitori tentano di infangare e portare via il bambino dalla scuola. Perché non accettano che il figlio bellissimo e ricchissimo possa essere sospeso.
Parliamo quindi dell’amichetto Will, che inizialmente si avvicina ad Auggie perché la madre e il preside lo spingono verso di lui (a causa della borsa di studio che gli ha permesso di frequentare quella scuola) per diventare suo amico e prendersi cura di lui. Ma l’insegnamento alla fine non sta in questo senso del dovere nei confronti di Auggie, del diverso: la compassione e il fare le cose forzatamente non porta mai da nessuna parte. Will capisce invece che vuole essere amico di Auggie non perché deve, ma perché è bello, perché, wow!, è liberatorio e non bisogna essere belli, bravi, furbi e intelligenti ma semplicemente se stessi, donandosi e prendendo ciò che le altre persone decidono di darci.
La terza figura che mi ha affascinato tantissimo è la sorella maggiore di Auggie. Sta completamente nell’ombra del fratello, perché i genitori erano focalizzati su questo bambino che aveva giustamente bisogno di loro. Soffre, ma con una maturità che molti adulti non avrebbero, consapevole che i suoi non avrebbero potuto affrontare anche i problemi da parte sua. Le sue lacrime commuovono, è una ragazza piena di amore, e ci mostra come a volte certe emozioni abbiano sfaccettature diverse da ciò che sembrano. E paradossalmente nella storia di questa famiglia chi ha sofferto tanto quanto Auggie e i genitori (se non maggiormente) è proprio lei, che non ha avuto l’amore e il tempo che meritava, e che non può contare su nessuno nemmeno quando ha realmente bisogno. Ma alla fine è proprio lei a dare un insegnamento pazzesco al fratello: “Tutto il mondo non gira attorno a te. Non sei l’unico al mondo ad avere problemi. Esci da questa spirale di autocommiserazione”.
Aprirci agli altri con gentilezza non per dovere ma per la gioia di aprirci e di mostrarci come siamo, e fare lo stesso con gli altri togliendo i preconcetti e gli aspetti giudicando, guardando e gioendo con gli altri per ciò che sono, è davvero il bello della vita. È la cosa più meravigliosa che possiamo fare.
Giulia Mandrino
Esatto. Ad un certo punto arriverà la difficilissima domanda da parte dei pargoli, che sentendo qua e là qualche conversazione tra adulti, i commenti di qualche compagno di classe maligno o semplicemente perché annusano qualcosa nell’aria, lanceranno la bomba inaspettatamente. No, non la domanda “Da dove vengono i bambini”.
“Mamma, ma Babbo Natale esiste?”. E lì le risposte sono importantissime, perché l’equilibrio tra li fare crollare il loro mondo di sogni e certezze e il non trattarli più da bambini piccoli è delicatissimo.
La “bugia” di Babbo Natale è importantissima per l’infanzia dei nostri bambini, e ve ne avevamo già parlato. Tuttavia è anche importante capire quando è il momento giusto per rivelare l’inganno: quando un bambino è troppo piccolo per saperlo? E quando è troppo grande per restarne ancora all’oscuro?
Prima di tutto, quindi, vi diamo qualche consiglio per sapere come comportarci quando la fatidica domanda arriva (anche perché solitamente arriva proprio durante le feste di Natale).
Innanzitutto, ogni genitore saprà valutare se un bambino è troppo piccolo per scoprire ancora la verità. Anche i bambini più piccini a volte se ne escono con la domanda. In quel caso l’approccio migliore è chiedere a loro cosa ne pensano. Qualcosa del tipo: "Mamma, ma Babbo Natale esiste?"; "Non saprei, secondo te?". Probabilmente, diranno che è non capiscono come possa un vecchietto portare i doni in tutto il mondo, o snoccioleranno i loro ragionamenti, ma solitamente si risolve tutto in un niente, poiché i bambini continuano tranquillamente a credere alla magia.
Tuttavia quando i bambini sono più grandicelli o quando, anche se piccoli, proprio non vogliono sentire ragioni (chiedendo con insistenza la verità) è giusto dirla, in maniera dolce e leggera. In quel caso, infatti, non è nemmeno salutare continuare a imporgli di credere: si romperebbe il legame di fiducia e i bambini si sentirebbero sottostimati.
A questo punto la domanda si sarà trasformata: non più "Ma Babbo Natale esiste?", ma qualcosa come "Dai, ditemelo che siete voi", oppure "Babbo Natale NON esiste, vero?". Una risposta valida in questi casi è molto semplice, e prevede non la delusione nello scoprire che i vostri figli l’hanno scoperto (“Che scatole, mi spiace tu l’abbia capito, ora non sarà più la stessa cosa”), ma la felicità della scoperta. Possiamo ad esempio dire: “Oddio, che bello! E l’hai capito da solo? Sono proprio orgogliosa. Beh, ora potremo essere più complici durante la notte di Natale e potrai aiutarci a preparare i regali sotto l’albero! È una notte magica anche per noi!”.
Una risposta che forse sembra strana, ma che evita ogni imbarazzo dei bambini e dei genitori e che evita ci sia quello strappo e quella sensazione da “stupidi” che i bambini possono provare in questo momento delicato della loro infanzia in cui scoprono che la magia e il sogno sono in effetti solo fantasie.
In alternativa, potete comunque trovare altri approcci. Ad esempio spiegare il significato di questa figura, che deriva da San Nicola (Santa Claus), un santo che si riteneva buono e miracoloso e la cui generosità ha ispirato tutte le persone buone che vogliono fare del bene agli altri, in questo caso ai bambini, portando i doni la notte di Natale. Quindi non sarà proprio l’anziano barbuto a portare i doni, ma tutte le persone che posano regali sotto l’albero sono guidate da lui, dal suo spirito, e quindi è come se fosse lui a portarli. Idem per le altre tradizioni, come Santa Lucia o la Befana (con i Re Magi che portarono i doni a Gesù).
A questo punto sarà bellissimo coinvolgere i bambini nel Natale in toto, anche nelle preparazioni segrete, soprattutto se in casa ci sono bambini più piccoli ancora all’oscuro, ma anche se non ce ne sono: preparare i regali all’insaputa degli altri, donare ai bambini in difficoltà, portare generosità e gioia a tutti facendo delle buone azioni tutti insieme…
Ora che sono grandi, quindi, ci si può concentrare sulla gioia di donare, e non solo di ricevere!
Giulia Mandrino
La scuola finlandese è tra le più all’avanguardia tra quelle di tutto il mondo. E non perché utilizzi metodi alieni o impossibili da comprendere, ma perché ha fatto di pochi e semplici pilastri la base sulla quale fondare l’educazione dei ragazzi, che stanno sempre al centro del discorso con i loro talenti, le loro capacità, le loro difficoltà e le loro esigenze.
Nello specifico vi avevamo già parlato di come funziona la scuola Finlandese. Ora vogliamo quindi provare a stilare una serie di semplici accorgimenti che la nostra scuola italiana, senza rivoluzionarsi in maniera radicale, potrebbe applicare per trasformarsi in una scuola più all’avanguardia e più efficace, più inclusiva e bambino-centrica, proprio come le scuole del Nord Europa.
A Torino una scuola senza voti (e senza zaino!) esiste già. Qui però non vogliamo suggerire di togliere del tutto il voto. Piuttosto, di tentare di ridimensionare l’importanza di questo, che spesso nella nostra scuola tende ad essere il metro di misurazione ritenuto più affidabile e importante, sul quale basare la valutazione del bambino in generale, e non solo delle sue capacità in una data materia. Insomma, spesso il voto definisce i ragazzi in quanto persone, influendo anche sulla autostima e sul rendimento effettivo.
Certo che il voto è importante, ma non è tutto. In Finlandia, ad esempio, fino ai 13 anni non vengono dati voti, e una volta che si inizia a valutare il lavoro attraverso essi, questi vengono calibrati in base ad ogni studente. Ovvero: il voto va in base alle capacità e in base al miglioramento, e non solo su una scala generica stilata per essere comune a tutti.
Più che le risposte standard degli insegnanti, la scuola finlandese punta sulle domande degli studenti: i ragazzi sono spronati ad esprimere i loro dubbi e le loro questioni, e gli insegnanti ascoltano. Soprattutto, prima di dare le risposte si cerca sempre di fare ragionare i ragazzi, in modo da dare loro la capacità di risolvere da soli i problemi, cercando le risposte concretamente e non lasciando che siano gli altri a darle.
Quello interno è curato e accogliente, con molte aule dedicate alle attività manuali (che qui vengono davvero eseguite, e non solo come laboratori extra). Quello esterno, d’altro canto, è altrettanto valorizzato, poiché il tempo passato all’aria aperta è importantissimo. Uscire dovrebbe essere la regola, e non l’eccezione, e le lezioni dovrebbero svolgersi fuori ogni qualvolta fosse possibile. In questo modo i ragazzi non solo imparerebbero concretamente; non solo acquisirebbero una apertura mentale più performante; ma prenderebbero finalmente confidenza anche con la sostenibilità e con l’ecologia.
L’ambiente esterno dovrebbe essere dunque vissuto maggiormente, in modo da essere percepito dagli studenti come luogo di cui fanno parte attivamente. Sostenibilità ed ecologia, ore passate all’aperto, una scuola che (anche architettonicamente!) stimoli ad uscire e ad interagire con il luogo, con l’ambiente esterno che faccia parte della struttura in maniera armonica e naturale: queste le semplicissime regole.
In Finlandia non esistono scuole private e non c’è divisione tra ceti sociali o tra ragazzi più dotati o meno dotati. Tutti vanno nella stessa scuola. In questo ambiente già di per sé super democratico e super inclusivo, anche i ragazzi con disabilità hanno il loro naturale spazio, perché vengono inclusi in tutte le attività. Hanno ambienti attrezzati per loro e classi speciali, ed educatori ad personam che propongono loro programmi personalizzati, ma lavorano anche moltissimo con gli altri studenti.
L’insegnamento di sostegno (che fin qui pare simile al nostro, con lezioni specifiche e personali e tempo passato con gli altri alunni nella classe “principale”) è tuttavia diversissimo da quello di tutti gli altri paesi del mondo, poiché gli insegnanti sono formati in modo da considerare le difficoltà solo come difficoltà di apprendimento, che possono evolvere, senza focalizzarsi sulle cause mediche. In questo modo tutti sono considerati unici e simili ai compagni: c’è chi ha più difficoltà in alcune materie, c’è chi fa fatica ad apprendere certi concetti, ma tutti potenzialmente possono migliorare.
Le classi, in Finlandia, non ci sono più (così come le materie, ma questo è un altro discorso): al posto loro vengono prediletti i gruppi di lavoro e di apprendimento. In questo modo ogni ragazzo può trovare il proprio posto, quello in cui sente di avere più bisogno in quel momento, approfondendo, recuperando e coltivando il suo talento.
Il talento, oltretutto, è un’altra cosa su cui, nella scuola italiana, si dovrebbe puntare molto più di quanto facciamo oggi, valorizzando ogni bambino per ciò che è e ciò che ha, non impuntandosi su ciò che non ha.
Come noi adulti davanti al computer o impegnati nel lavoro di ogni giorno, anche i bambini hanno bisogno di pause. Ancor più di noi! Il movimento è una loro prerogativa, e lo stare seduti è deleterio. Soprattutto quando certe scuole impongono anche l’intervallo chiusi in classe o seduti. Al contrario, dovremmo imparare, in Italia, a considerare il riposo e le pause parte integrante dell’apprendimento, aumentandole.
Ogni mezz’oretta, quindi, sarebbe ideale fare una piccola pausa, nella quale i bambini possano alzarsi, sgranchirsi le gambe e alzare la testa dai libri.
Oggigiorno sembra che ormai gli insegnanti non abbiano più, purtroppo, l’autorità di un tempo. O meglio: spesso i genitori non credono nelle loro valutazioni, o se la prendono con loro quando i figli combinano qualcosa.
Dovremmo invertire decisamente la rotta, e, come in Finlandia, considerarli con l’importanza che spetta loro. Sono figure preparate, sempre di più, competenti. Hanno frequentato l’università e fatto ore e ore di tirocini. Proprio come gli insegnanti finlandesi, che vengono considerati degni di fiducia tanto quanto i medici, gli psicologi, gli avvocati e i professionisti dei settori più rinomati.
Giulia Mandrino
Essendo a base di mele e spezie (cannella e cardamomo) è una bomba di salute: una composta di frutta speziata perfetta per merenda e colazione, da spalmare sulle fette di pane integrale tostato.
Con le nostre pentole in ceramica Zisha possiamo dedicarci alle ricette che più amiamo, come le zuppe, che attraverso la cottura lenta e uniforme diventano ancora più saporite e confortevoli, sane e gustose. Questa zuppa di farro è un must: in inverno ci piace prepararla per riscaldare le serate e per coccolarci con sapori che adoriamo. E non serve nemmeno troppo tempo: tra preparazione e cottura 30 minuti basteranno.
Per variare, poi, possiamo utilizzare al posto del farro il grano saraceno oppure l'orzo, e frullare le vedure se i bambini non amano vederle.
Nell’immaginario collettivo è qualcosa di ripugnante, un cucchiaio di un liquido denso che le nostre nonne davano ai nostri genitori per guarirli da ogni male. In realtà dovremmo rivalutarlo, perché come spesso accade con i rimedi tradizionali, questi hanno fondamenti scientifici ed efficaci, e l’olio di fegato di merluzzo effettivamente è davvero un toccasana (se preso nelle giuste quantità e quando ce n’è davvero bisogno)!
Se un tempo veniva utilizzato così frequentemente, un motivo preciso e reale c’era: i bambini, fino al secolo scorso, erano più soggetti al rachitismo, una malattia dello sviluppo dovuta alla grave carenza vitaminica. L’olio di fegato di merluzzo aiutava quindi a recuperare le forze, ma soprattutto era un valido aiuto nella prevenzione, essendo ricco di acidi grassi e di, appunto, vitamine.
La sua azione è dunque innegabilmente benefica. Soprattutto, combinando l’olio di fegato di merluzzo con la vitamina D (che possiamo prendere dal sole, principalmente, da alcuni alimenti vegetali oppure attraverso integratori consigliati dal medico) avremo benefici davvero utili, poiché l’azione combinata di questi due elementi migliora l’assorbimento del calcio e del fosforo, rafforzando così le ossa e i muscoli, soprattutto in età pediatrica (nella quale, come sappiamo, la vitamina D è fondamentale, per uno sviluppo corretto e sano della struttura ossea e muscolare).
Anche gli anziani tuttavia ne possono trarre beneficio, poiché l’assorbimento del calcio favorito dall’olio e dalla vitamina D aiuta nella prevenzione dell’osteoporosi. Recenti studi, poi, hanno addirittura relazionato l’olio di fegato di merluzzo con la prevenzione di alcuni tipi di cancro, come quello al colon e al retto, e della sclerosi multipla.
In particolare, l’olio di fegato di merluzzo è conosciuto per la sua ricchezza di acidi Omega3, ovvero acidi grassi essenziali che contrastano il colesterolo e prevengono le malattie cardiovascolari. Anche le vitamine, come dicevamo, non mancano, ed è per questo che in tempi passati era utilizzato per contrastare l’ipovitaminosi (la carenza vitaminica): sono presenti la D, la A e la E, oltre allo iodio, antiossidante che protegge l’organismo e in particolare va in aiuto di intestino e tiroide.
Oltre ad una dieta equilibrata, quindi, può essere davvero benefico integrare l’Omega3 attraverso l’olio di fegato di merluzzo, fonte eccellente di questo acido grasso essenziale e di Vitamina D e Vitamina A. Come dicevamo, l’Omega 3 se associato alla vitamina D diventa ancora più performante, assicurando all’organismo il giusto apporto di vitamine ma soprattutto il corretto assorbimento del calcio.
Durante i mesi invernali, quindi, quelli nei quali fare incetta di luce solare diventa più difficile (per le condizioni atmosferiche ma anche a causa dei raggi ultravioletti, con la loro inclinazione che non permette il giusto assorbimento) è bene integrare la vitamina D e l’olio di fegato di merluzzo, che troviamo associati già in un prodotto tutto in uno, che noi usiamo da tempo e che troviamo davvero efficace e d’aiuto. Si tratta della gamma di integratori Haliborange, che noi scegliamo spesso in forma di emulsione orale ma che troviamo anche in compresse o in bustine.
Haliborange è un integratore composto da vitamina D3, olio di fegato di merluzzo, vitamina A e succo d’arancia (fonte, questo, di vitamina C): un complesso di elementi che contribuiscono in maniera efficace e potente alla salute del nostro organismo, ma soprattutto a quella dei nostri bambini, che assumendo l’emulsione secondo le dosi suggerite (e non eccedendo: anche l’ipervitaminosi può diventare un problema) potranno rafforzare il proprio sistema immunitario durante la stagione che più li indebolisce, e allo stesso tempo continuare a dare forza alle loro ossa in fase di sviluppo, quanto mai importante. Un ricostituente per eccellenza, con un gradevolissimo gusto di arancia che piace a tutta la famiglia.
Giulia Mandrino
Mamma Pret a Porter non è una testata medica e le informazioni fornite hanno scopo puramente informativo e sono di natura generale, esse non possono sostituire in alcun modo le prescrizioni di un medico o di un pediatra (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione), o, nei casi specifici, di altri operatori sanitari (odontoiatri, infermieri, psicologi, farmacisti, fisioterapisti, ecc.) abilitati a norma di legge. Le nozioni sulle posologie, le procedure mediche e le descrizione dei prodotti presenti in questo sito hanno un fine illustrativo e non devono essere considerate come consiglio medico o legale.
Le feste natalizie non sempre sono solo una delizia, o qualcosa che attendiamo con eccitazione e voglia. Sono stupende, è vero, ma dietro l’angolo si nasconde un po’ d’ansia: i regali per tutti, il pranzo di Natale, la cena della Vigilia, i bambini che saranno a casa da scuola e che ribalteranno la casa, i biscotti da cucinare, la casa da addobbare, gli aghi di pino sparsi per tutto l’appartamento… Ognuna ha il suo incubo natalizio. Anche noi lo abbiamo. Ma da qualche anno abbiamo deciso di rallentare, e di goderci le feste di Natale con più tranquillità e piacevolezza, provando a minimizzare l’ansia grazie a poche ma semplici regole che ci ripetiamo come fossero confortanti mantra.
Innanzitutto, in questo periodo dell’anno rinunciamo un po’ a Pinterest. Lo sappiamo, anche noi la riteniamo una miniera d’oro, e adoriamo questa piattaforma social sulla quale raccogliamo idee e moodboard visive. Tuttavia social come Pinterest e Instagram spesso, anche inconsciamente, ci fanno male, perché, fateci caso, lì è tutto perfetto e impeccabile. Cosa che le nostre case (per fortuna) non sono. Lo avevamo già detto: in giro c’è troppa perfezione, e uno dei mantra per rendere il Natale migliore quindi è semplicemente sull’onda di questo pensiero: non cerchiamo la perfezione, ma la bellezza nelle cose vere e reali, vissute, quelle che ci danno la felicità. E chissenefrega se l’albero è un po’ storto o le decorazioni sono super semplici. Sono bellissime così.
La seconda regola è una parola: abbastanza. Esatto, accontentiamoci. O meglio ancora: riconosciamo quando abbiamo fatto abbastanza, senza esagerare. È bello prendersi cura degli altri e cucinare i biscotti che profumano la casa di cannella, ma non serve farli per tutto il parentado.
Il “prendersi cura degli altri” è un altro aspetto del Natale che ci piace da matti, ma che rischia di provocare ansia se vissuto nella maniera sbagliata. Ecco perché ci ripetiamo sempre di prenderci del tempo. Non solo noi, ma tutta la famiglia. Proviamo a instillare nei bambini un senso di lentezza piacevole e accogliente. Rallentiamo tutti insieme, senza fare le cose di fretta, e vedrete che prendersi cura l’uno dell’altro diventerà più semplice, piacevole e soddisfacente. Nessuno cadrà in preda allo stress o all’ansia, ma tutti si godranno lo stare insieme facendo qualcosa per gli altri.
Non dimentichiamoci poi dei regali, ma anche in questo caso ridimensioniamo le nostre aspettative. Non le aspettative dei regali che ci attendono sotto l’albero, ma le aspettative che immaginiamo i nostri figli abbiano. L’aspettativa riguarda infatti anche e soprattutto i genitori, che spesso la ingigantiscono molto più dei bambini: preferiamo il tempo ai regali. Passiamo più tempo insieme, in famiglia, un tempo di qualità. Alla lunga anche i bambini più esigenti apprezzeranno la presenza, le giornate in famiglia, i giochi insieme, molto più del pacchetto scintillante sotto l’albero.
Infine, ultima regola è creare le proprie tradizioni, non guardando a quelle “standard”, a quelle che la società sembra appiopparci. Non guardiamo agli altri, al mondo, ma solo alla nostra famiglia: se c’è qualcosa che amate fare tutti insieme e che, guarda caso, ogni anno si ripete (ad esempio una camminata la notte della Vigilia, il film sotto le coperte con la cioccolata fatta in casa, la cena intima senza i partenti, la colazione sempre tutti insieme con i biscotti speziati…) quella sarà la vostra tradizione, che rimarrà per sempre nella memoria e a cui sarà bellissimo tornare con il pensiero ogni volta che si vorrà.
Giulia Mandrino
Qual è il rapporto tra l’identità di una persona e il suo corpo? E questo rapporto com’è raccontato nel diritto, nella letteratura e nei mezzi di comunicazione d’oggi? E ancora: come possiamo riprendere possesso della nostra identità e creare attorno ad essa le competenze per diventare grandi nel mondo del lavoro? Come possiamo conoscere a fondo le nostre risorse per metterle a frutto nel mondo?
Se queste domande vi suscitano interesse, è perché sono fondamentali nella società odierna. E per rispondervi ci sono due validissimi corsi che fanno al caso nostro, entrambi offerti dall’Istituto di Studi Superiori sulla Donna dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma.
Il primo corso che vi presentiamo è legato ad un concetto ormai fondamentale nella nostra società, e cioè quello del self-management e del self-branding. In parole nostrane: la gestione della propria attività e la capacità di rendere il proprio nome un marchio. In altre parole: renderci appetibili nel mondo del lavoro ed essere finalmente in grado di sfruttare i nostri valori applicandoli a mestieri nuovi e acquisendo nuove competenze.
I lavori, oggi, sono quanto mai diversificati e spuntano tutti i giorni nuove professioni (soprattutto legate al mondo del digital ma non solo: anche l’artigianato, ad esempio, sta vivendo una nuova era, legata sempre più all’immagine). Anche noi mamme possiamo trarne beneficio, senza avere paura di navigare in acque nuove ma trovando la professione più adatta a noi e alle esigenze della nostra famiglia. Basta essere più consapevoli di se stesse e del proprio tempo, dei propri valori e delle proprie potenzialità.
Dal 25 gennaio al 10 maggio 2018 l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma propone quindi un corso di perfezionamento davvero serio e affidabile (oltre che comodo: le lezioni si svolgono in 15 giornate, e non ogni giorno), che vuole dare agli studenti gli strumenti per essere consapevoli delle proprie risorse e dei propri talenti, e soprattutto per valorizzare e potenziare queste risorse in modo da poterle applicare in ambito lavorativo: il Corso di Perfezionamento in Self Management e Self-Branding, organizzato dall’Istituto di Studi Superiori sulla Donna (con, quindi, un punto di vista davvero molto interessante e pertinente).
Tra i corsi troviamo lezioni di autostima, ma soprattutto di intelligenza emotiva (un argomento a noi molto caro), di mercato del lavoro, di gestione del tempo, di genitorialità intesa come risorsa nel mondo del lavoro (già, risorsa! Finalmente), di costruzione del proprio marchio, di immagine personale, di comunicazione, di web reputation… Una gamma ampia di argomenti davvero utilissimi, quindi, da mettere nel proprio bagaglio e iniziare a mettere in pratica alla fine del corso.
Il secondo corso è altrettanto utile, soprattutto per chi vuole indagare un pochino più a fondo i concetti dell’identità e della percezione del corpo nella nostra società. Anche questo corso di perfezionamento, “Significare il corpo: limite, incontro, risorsa”, è offerto dall’Istituto di Studi Superiori sulla Donna.
Con una chiave psicologica ma anche teologica, il corso (che si terrà tutti i martedì dal 20 febbraio al 29 maggio 2018 dalle ore 15.30 alle 17 presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum) vuole ragionare sul rapporto tra il corpo e l’identità, con lezioni storiche per capire la percezione del corpo nella letteratura e nella storia, nella psicologia e nel diritto, passando poi a incontri dedicati all’identità sessuale, alla filosofia e alla cultura, passando per le Sacre Scritture.
Due strumenti utili e preziosi per diventare sempre più consapevoli di noi stesse come donne, ma soprattutto come persone e come professioniste, come mamme e come individui ricchi e speciali.
Nelle notti stellate, una cosa sempre super affascinante da fare è guardare il cielo con i bambini e cercare di riconoscere le costellazioni. Vero? Il problema è che a volte cerchiamo semplicemente di azzeccarle, perché non è che le conosciamo proprio bene bene… Se anche voi, come noi, pensate che conoscerle sarebbe stupendo e cercate un libro bellissimo per parlare ai bambini delle stelle e delle costellazioni, da leggere insieme per imparare, abbiamo il consiglio per voi!
Lara Albanese, con le illustrazioni (deliziose) di Desideria Guicciardini, ha scritto un libro per bambini davvero fantastico, edito da Editoriale Scienza, per parlare delle costellazioni in una maniera divertente ma seria, coinvolgente e appassionante.
“Costellazioni, le stelle che disegnano il cielo” è fatto proprio come vorremmo noi: in altre parole, parla delle costellazioni partendo dai disegni che le stelle formano in cielo, quelle che conosciamo a grandi linee ma che spesso non sappiamo riconoscere proprio benissimo. Figure di donne, di uomini, di animali, di oggetti e di figure mitologiche la notte invadono il nostro cielo, illuminandolo e rendendolo super affascinante.
Lara Albanese ha così raccolto nel libro le storie di tutte queste figure, e da divulgatrice scientifica qual è le ha trasposte in maniera divertente e curiosa per i bambini (è perfetto dai 7/8 anni, questo libro!), per far sì che tanto loro quanto noi quando ci troviamo con il naso all’insù riconosciamo queste figure (grazie ai nostri occhi e alla nostra immaginazione) e di conseguenza le costellazioni e le stelle che le formano.
L’Orsa Maggiore e quella Minore, Cassiopea, i Gemelli, il Cigno, Pegaso, il Cane Maggiore… Ogni pagina racconta una costellazione, con un testo interessantissimo ma soprattutto con un disegno (di Desideria Guicciardini) che ricorda moltissimo la disposizione delle stelle e, accanto ad esso, le stelle come le vediamo in cielo. L’Orsa Minore così diventa un orso circense in bilico sulle zampe a testa in giù; quella Maggiore è intenta a tirare il carretto del circo; e poi il Leone, il Cane, Pegaso, e quelle meno conosciute ai più, come il Corvo, Lira, Auriga, Boote, Aquila e Cigno, i Gemelli e lo Scorpione.
Questo libro, quindi, unisce il piacere della scienza e il rigore delle informazioni (perché non è un libro per bambini che spiega i concetti alla leggera!) alla piacevolezza delle immagini e alla curiosità delle forme, per portare i bambini ad appassionarsi di astronomia, una scienza affascinante e misteriosa che grazie a questo volume illustrato diventerà più simpatica e meno ostica, più vicina a noi.
Le costellazioni descritte sono 16, e non solo attraverso i disegni: ci sono anche 8 mappe del cielo che aiutano a riconoscere ancora più in dettaglio le costellazioni, e che faranno sentire i bambini dei veri astronomi.
Un libro da leggere insieme o da soli, ma che certamente servirà a tutti e diventerà uno strumento per tutta la famiglia, per trasformare le sere d’estate (ma anche quelle invernali: il libro dice chiaramente quando sono visibili le forme nel cielo!) in serate ancora più intime e coinvolgenti.