L’etichetta di un prodotto alimentare è uno strumento importantissimo per conoscere molte sue caratteristiche, fondamentali per la scelta di ciò che acquistiamo. Spesso ci ritroviamo davanti a tantissime indicazioni, alcune delle volte relegate in posizioni scomode per poter essere lette, di difficile comprensione o scritte con caratteri decisamente piccoli.
Per quanto riguarda l’olio extravergine d’oliva, nell’etichetta del prodotto sono riportate tante informazioni utili ed è importante imparare a leggerla per poter effettuare una scelta corretta e consapevole per un prodotto di qualità. Tra le indicazioni in etichetta, le principali e quelle che possono aiutarci maggiormente a capire che prodotto abbiamo di fronte sono le seguenti:
- informazioni sull’origine
- campagna di raccolta e termine minimo di conservazione
- etichetta nutrizionale
- indicazioni volontarie sull’acidità
- eventuali certificazioni volontarie di prodotto (DOP, IGP, biologico)
- eventuali informazioni di processo: estrazione a freddo
- caratteristiche organolettiche
L'indicazione di origine deve essere obbligatoriamente inserita nelle etichette degli oli extravergini e vergini. Può essere indicato:
- un unico paese di origine, nel caso sia lo stesso in cui le olive vengono raccolte e trasformate;
- i paesi di origine delle olive e dell’olio (ovvero dove le olive vengono prodotte e trasformate);
- miscela di oli comunitari o non comunitari, nel caso di tratti di blend di oli di origine differente
Gli oli extravergini italiani sono oli la cui qualità superiore è globalmente riconosciuta, sia da un punto di vista chimico (contenuto di antiossidanti, vitamina E) che organolettico (punteggio al panel test). La qualità è indissolubilmente legata ai fattori territoriali, climatici e alla varietà di olive che ritroviamo nel nostro paese. Scegliere un olio italiano è una garanzia di acquisto di un prodotto valido e significa anche sostenere l’economia e i produttori locali.
La campagna di raccolta indica il periodo in cui le olive sono state raccolte e trasformate in olio. Questa indicazione è generalmente riferita a due anni, a cavallo dei quali si conclude la campagna olearia. La raccolta ha infatti inizio a partire da ottobre per le varietà più precoci, ma può iniziare anche a dicembre per quelle più tardive. La molitura e il confezionamento vanno di pari passo con la raccolta e terminano con leggero ritardo rispetto ad essa, entro gennaio o al massimo febbraio dell’anno successivo.
L’olio non ha una vera e propria data di scadenza, perché si tratta di un prodotto stabile, ma un termine minimo di conservazione, indicato con la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro il ...”. Il termine minimo di conservazione è stabilito dal produttore e può essere superiore o inferiore a quella che era in passato una vera e propria data di scadenza dell’olio, fissata a 18 mesi. Confrontare la campagna di raccolta e il termine minimo di conservazione ci aiuta a capire l’età di un olio e quanto il prodotto sia di qualità. Il danno maggiore che può subire l’olio è l’ossidazione: un olio con una bassa acidità, un buon contenuto di vitamina E e di polifenoli si mantiene meglio nel tempo e gli si può assegnare un termine minimo di conservazione elevato. Per quanto un prodotto sia di eccellente qualità e possa permettersi un termine minimo di conservazione molto lungo, va ricordato che è sempre preferibile scegliere un olio giovane e con un termine di conservazione di almeno 18 mesi: per quanto rallentati dalla presenza di vitamina E e antiossidanti, un olio è inevitabilmente destinato ad ossidarsi.
L’inserimento dell’etichetta nutrizionale è diventata obbligatoria solo recentemente. Negli oli, tuttavia, le informazioni che possiamo recuperare da essa sono poco utili al fine della scelta di un olio di qualità. Dal punto di vista di calorie e macronutrienti, infatti, tutti gli oli puri, qualsiasi sia la tipologia, sono costituiti da circa il 99.9% di grassi. La percentuale di acido oleico, il grasso monoinsaturo per eccellenza dell’olio di oliva, varia da cultivar a cultivar, ma non è obbligatorio indicarne la percentuale in etichetta. Come per tutti gli altri elementi, è obbligatoria l’indicazione degli acidi grassi saturi, che si attesta generalmente intorno al 15%.
Per legge l’olio extravergine di oliva può avere un’acidità libera massima, espressa in percentuale di acido oleico libero, pari allo 0.8%. Per questo motivo non è obbligatorio indicare in etichetta questo valore. Tuttavia, un produttore che vuole valorizzare il proprio prodotto può inserire questa informazione in etichetta a patto che vengano riportati con lo stesso carattere e nella stessa posizione anche l'indice dei perossidi, del tenore in cere e dell'assorbimento nell'ultravioletto. L’informazione sull’acidità non può essere riferita esclusivamente al momento di confezionamento, ma deve essere garantita durante tutto il periodo di vita del prodotto, fino alla sua scadenza.
Un olio extravergine di oliva può essere volontariamente certificato come:
- DOP (denominazione di origine protetta)
- IGP (identificazione geografica protetta)
- Biologico
Oli DOP e IGP sono oli le cui caratteristiche qualitative sono fortemente legate al territorio di origine delle olive e alla modalità attraverso cui le olive vengono trasformate in olio e vengono, pertanto, certificate da un organismo di controllo. Se nei DOP produzione e lavorazione devono essere svolte in territori ben precisi e stabiliti dal disciplinare di produzione, per gli IGP è sufficiente che anche una sola di queste fasi sia territorialmente determinata. Il disciplinare di produzione descrive anche quali caratteristiche devono possedere le olive con cui si intende produrre l’olio, oltre che le caratteristiche del prodotto finito (colore, odore, sapore, punteggio al panel test, acidità e numero di perossidi).
Questi marchi assicurano maggiore tracciabilità e sicurezza alimentare, oltre che caratteristiche qualitative superiori rispetto ai comuni oli extravergini, perché i disciplinari prevedono nella stragrande maggioranza dei casi standard qualitativi più stringenti. In questo caso l’indicazione di origine dell’olio può essere omessa, perché implicita nel marchio DOP o IGP.
La certificazione biologica, invece, garantisce che un olio:
- viene prodotto senza l’utilizzo di composti chimici, come i pesticidi, o OGM e non ne presenti dunque residui o tracce
- sostiene l’ambiente e la biodiversità, perché non fa uso di pesticidi o fertilizzanti chimici (sono ammessi invece quelli naturali)
- è stato prodotto mediante un impiego sostenibile delle risorse naturali
Nell’etichetta di un olio è possibile ritrovare la dicitura “estratto/spremuto a freddo” che può essere utilizzata per tutti quegli oli prodotti a temperature inferiori a 27°C. Gli oli estratti a freddo conservano maggiormente i composti bioattivi, i polifenoli, i tocoferoli e i composti aromatici consentendo, quindi, di ottenere un prodotto dalle migliori qualità nutrizionali ed organolettiche.
Gli attributi positivi emersi nel corso del panel test possono essere indicati volontariamente in etichetta. In particolare un olio può essere definito fruttato, fruttato verde, fruttato maturo, amaro e piccante. A seconda del punteggio ottenuto, ciascun attributo può essere accostato all’aggettivo leggero (<3), medio (3-6) o intenso (>6). Sempre in riferimento alle caratteristiche organolettiche, possiamo ritrovare anche equilibrato, assegnato agli oli in cui il punteggio degli attributi amaro e piccante non si discosta di più di due punti e dolce se amaro e piccante hanno ottenuto un punteggio inferiore a 2.
Le immagini su Instagram e sui social in generale, si sa, spesso ingannano. Sono fatte apposta per mostrare una vita impeccabile, senza difetti, patinata e invidiabile. Soprattutto quando a postare sono celebrità o mini-celebrità del web, che anche quando parlano di imperfezione di imperfezioni (almeno al nostro occhio) non ne mostrano affatto.
Insomma, si tende a mostrare l’imperfezione come perfetta, quando invece l’imperfezione è caotica, scompigliata e lontana dai canoni per definizione. Ciò che fa arrabbiare è quando si spacciano per “imperfetti” corpi post parto che hanno smagliature visibili solo con la lente di ingrandimento e rotolini di troppo che, boh, ci sono?
Ma c’è qualcuno che ha avuto davvero coraggio, stavolta. Si tratta di Ali Fedotowsky, famosa soprattutto in America per la sua partecipazione al programma “The bachelorette” che tuttavia sta facendo il giro del mondo con una fotografia davvero pazzesca, forte e importantissima.
Sbirciando la pagina Instagram di Ali Fedotowsky vi imbatterete quindi in questa serie di foto. Nella prima, la ragazza indossa un pareo, sorridente e spigliata. Scorrendo a lato tuttavia le fotografie si mostrano in tutta la loro forza: eccola, finalmente, una pancia che come tutte le nostre sembra avere davvero fatto i conti con il parto. Ecco le smagliature, ecco la morbidezza, ecco le imperfezioni. Quelle vere, mica quelle toniche, magrissime dopo tre settimane.
“Questo potrebbe essere il mio scatto su Instagram più vulnerabile di sempre. Ci ho pensato un milione di volte, sul postarlo o meno. Ma alla fine so quanto sia importante aprirsi ed essere onesta sul mio corpo post-parto, con la speranza che sia di aiuto alle persone là fuori che stanno combattendo contro la loro immagine. Potete vedere che il mio corpo è cambiato. La pelle sulla mia pancia è morbida e smagliata, peso più di quanto pesassi prima e la mia taglia di seno è incrementata significativamente. Lilly and Lime Swimwear (una linea di costumi che celebra le curve delle donne che portano la coppa D, fondata da due “mamme tettone”) mi ha aiutato dandomi la confidenza di entrare in un costume e condividere con tutti voi il mio nuovo corpo - un corpo che è bellissimo, forte e amato. Sul mio blog posterò più immagini e parlerò di come abbia dovuto farci i conti ma di come adesso io ami il mio corpo post-parto. Spero di creare una connessione con tutti voi”.
Ciò che noi vediamo è semplicemente una bellissima donna, una bellissima madre, felicissima, serena, tranquilla e fiera. Quel corpo ha cresciuto dentro di sé un essere umano, ha creato e donato la vita, s’è prestato con tutto l’amore del mondo.
Sul suo blog Ali Luvs Ali parla spesso di maternità, moda, lifestyle… E spesso i suoi followers le avevano chiesto come mai fosse così magra dopo il parto. In realtà, ha spiegato, è semplicemente brava a scegliere abiti che le stanno bene addosso, che scivolano sui punti giusti. Ma questo non significa che si vergogni del suo corpo, e l’ha dimostrato con questa serie di fotografie davvero ispiranti. Lo spiega spesso: se nella prima gravidanza tornare al suo peso forma era stato semplice e veloce, con questa ci sta impiegando più del previsto.
Ma questo allungarsi dei tempi è ciò che le sta permettendo di accettare, amare e valorizzare il suo corpo, così diverso dopo il parto ma allo stesso tempo molto più ricco di prima.
Perché ogni smagliatura, ogni cedimento, ogni curva in più e o ogni segno sono una mappa, un quadro, una legenda, e parlano ognuno del miracolo della vita che il nostro corpo ha portato a compimento, come un tatuaggio che ricorda per sempre l’amore immenso che abbiamo donato e che continueremo a diffondere per tutta la nostra vita.
Giulia Mandrino
Si trova a Bali (e già possiamo immaginare il verde che la attornia) ed è bellissima. E questa sua bellezza viene da una caratteristica ben precisa: dal rispetto per la natura che attornia ogni cosa e che viene trasmesso agli studenti in maniera concreta ed educativamente perfetta.
Integrità, responsabilità, empatia, sostenibilità, pace, equità, comunità e fiducia: sono questi i pilastri che tengono in piedi la Bali Green School e che caratterizzano il programma educativo di questa scuola nel cuore dell’Indonesia, nata nel 2008 e da allora punto di riferimento per tutte le scuole che vogliono votarsi alla sostenibilità. Sul loro sito si legge chiaramente: “Noi crediamo in tre semplici regole a cui sottosta ogni decisione: essere “local”, lasciare che l’ambiente sia la nostra guida ed essere consapevoli di quanto le nostre scelte influiranno sulla vita dei nostri nipoti”.
La scuola è stata fondata nel 2008 dal milionario canadese John Hardy, un personaggio tutto particolare che crede fermamente nel potere dell’ecologia. Secondo lui essere verdi crea un circolo virtuoso super positivo, e educare i bambini alla sostenibilità e all’ecologia fin da piccoli significa crescere i futuri leader-verdi, i futuri leader che cambieranno il mondo grazie all’amore per l’ecologia e grazie alla consapevolezza delle conseguenze delle azioni dell’uomo sul nostro pianeta.
Guardando la scuola si capisce già quanto sia avanti, bella e spettacolare: bambini che scorrazzano, ambienti aperti, la natura integrata, lezioni all’aperto, classi nelle quali si “fa”, materiali super naturali…
Nella scuola non ci sono muri, i pavimenti sono coperti da comode stuoie, tavoli e mobili sono in legno e bambù, così come tutta la scuola intera. L’energia è presa da fonti rinnovabili (come il solare, la stazione di compostaggio il sistema di raccolta di acqua piovana) e tutto il cibo della mensa proviene dall’orto biologico in giardino, che viene coltivato dagli stessi ragazzi.
La scuola cerca di essere al 100% sostenibile e questo intento lo trasmette ai ragazzi (circa 400, provenienti da tutto il mondo, che la frequentano dall’asilo nido fino alle superiori), ai quali viene insegnato come essere sostenibili a loro volta, un insegnamento che sfruttano poi nella vita e non solo a scuola.
La missione dunque è quella di integrare a scuola una vera cultura della sostenibilità attraverso un cambiamento che possa variare tanto le abitudini dei ragazzi e di chi vive la scuola quanto la salute del nostro pianeta. Tutto a scuola (l’insegnamento, il gioco e le attività) è svolto pensando a questo: all’impatto di ogni azione e di ogni dettaglio.
Accanto a questo naturalmente la scuola tenta di integrare le maestranze e le realtà territoriali, per creare una rete di pensiero più diffusa e strutturata.
Per quanto riguarda la scuola, oltre alle classiche materie ai bambini viene insegnato concretamente facendo, ascoltando, discutendo e facendo esperienza della vita vera. I bambini e i ragazzi raccolgono i rifiuti, raccolgono l’acqua piovana, coltivano l’orto. E poi gli viene chiesto, sempre, di provare a immaginare il futuro, progettando nuovi sistemi, nuovi oggetti, nuovi programmi. Quattro anni fa, addirittura, un gruppo di studenti è riuscito a creare un motore per l’autobus della scuola, che da quel momento (insieme ad altri 3 autobus) viaggia con un bio-diesel riciclato utilizzando gli scarti degli oli della cucina della scuola e dei ristoranti circostanti (che raccolgono tutti insieme ogni mercoledì pomeriggio). Nel 2013, poi, due studentesse di 10 e 12 anni hanno organizzato una protesta contro l’utilizzo delle borsine di plastica, una protesta così seguita e partecipata da avere fatto guadagnare alle due sorelle un posto in “Forbes”, tra le 100 donne più influenti dell’anno.
Sono solo due esempi per fare capire come effettivamente l’educazione all’ecologia possa fare miracoli e possa essere la base concreta e solida per la crescita di adulti consapevoli, impegnati e rispettosi della natura. Perché dunque non provare anche noi, nel nostro piccolo, a rendere più sostenibile la nostra vita coinvolgendo anche i bambini in prima persona? Il risultato è stupefacente.
Giulia Mandrino
(Photo credit: Facebook)
La moda è moda, è passeggera, e passa anche dai capelli. Ma a quanto pare non riusciamo ancora a superare lo schema mentale capelli lunghi-donna, capelli corti-uomo. O meglio: riusciamo a superare quello relativo alle donne con i capelli corti, bellissime e finalmente libere di sfoggiare qualsiasi taglio di capelli (e colore!) passi loro per la testa (anche il grigio, finalmente, che non significa affatto “vecchiaia”). Ciò a cui rimaniamo ancorati è ancora l’idea (sbagliata) che l’uomo debba per forza portare i capelli corti e che portandoli lunghi debba per forza venire etichettato come non serio, infantile o eccessivamente modaiolo.
Il femminismo passa anche da questo: non solo dalla difesa dell’indipendenza e della libertà delle donne, ma attraverso l’uguaglianza di tutti, uomini compresi.
Se seguite Selvaggia Lucarelli sui social probabilmente saprete quanto viene inutilmente attaccata (a sproposito e in maniera pure cattiva) per i capelli di suo figlio. Esatto, di suo figlio, nemmeno i suoi. Suo figlio Leon ha deciso infatti, da tempo immemore, di portare i capelli lunghi. E via di epiteti e stereotipi: “E che è, una femminuccia?”. “Ma ci vede sotto a quel frangione?”. “Ma non è ora di tagliargli i capelli ora che sta diventando grande?”.
E questo è solo un esempio. Nella nostra cultura quotidiana sembra che agli uomini e ai maschi non sia permesso portare i capelli lunghi. Per non parlare della coda (di cavallo, a cipolla, mezza coda…): guai all’uomo che si permette di sfoggiare questa acconciatura prettamente femminile! Ma ragazzi, pensiamoci: è solo un fatto culturale. È solo questione di gusti. E come un uomo più si permetterebbe (ce lo auguriamo!) di dire: “Fatti crescere i capelli che così sembri un maschio”, così anche noi dovremmo superare la nostra idea mentale e aprirci alla bellezza dell’espressività fisica in tutte le sue forme, anche da parte dei maschi.
Certo, dall’altra parte poi ci sono alcuni esemplari d’uomo che fanno eccezione e che, anzi, vengono esaltati se portano i capelli lunghi. Parliamo dei sex symbol come Jason Momoa, Damiano dei Maneskin, Johnny Depp, Kurt Cobain e compagnia bella.
Ma perché solo un uomo muscoloso, che lavora nella moda o che è abbastanza famoso da non curarsi dei giudizi può portare i capelli lunghi, nella nostra società? Come l’abbigliamento, anche la capigliatura è una modalità attraverso sui esprimiamo noi stessi.
Se ci pensiamo, poi, sono ancora molte le culture nel mondo nelle quali gli uomini si fanno crescere i capelli perché per loro hanno un significato profondo (pensiamo agli ebrei, ai Sikh, ai nativi americani, ai neozelandesi…). E la nostra storia è piena di mille altri esempi, anche in Occidente. Per molte culture tagliare i capelli significa tagliare la propria forza o i propri pregi (un esempio su tutti: Sansone).
Ma anche se fosse solo un fatto estetico, una scelta personale di gusto senza significati profondi, non ci sarebbe alcun male. Il male c’è laddove questa scelta venga giudicata, derisa o scoraggiata solo perché lontana dai canoni.
Quando i nostri figli, dunque, ci chiederanno di poter portare i capelli lunghi, non neghiamogli questa opportunità (e non pensiamo solo che siano da “femminuccia”: non lo sono). Lo sappiamo, magari a livello di gusto non vi piacciono… Così come ad altri non piacciono i capelli rasati o quel taglio che va tanto di moda a scuola perché il calciatore di turno l’ha sfoggiato in Champion’s League. Quello è un altro discorso, ma dobbiamo in ogni caso (lunghi o corti che siano) ricordarci di una cosa: sembreranno frivolezze ma i tagli di capelli sono uno dei tanti modi in cui i nostri bambini si esprimono, si scoprono e scoprono il mondo, indagando i propri gusti e quelli degli altri, identificandosi con qualcuno che ammirano (in famiglia, in tivù, nello sport…) e costruendo pian piano la propria persona, andando anche per tentativi.
Siamo quindi femministe fino in fondo e rispettiamo i nostri ideali non imponendo ai nostri bambini ciò che vorremmo noi ma tentando di supportarli anche in queste scelte che sembrerebbero solo estetiche ma che nascondono altri livelli più significativi.
Giulia Mandrino
Vi abbiamo parlato proprio recentemente di cosa fare per proteggere i nostri bambini dai pericoli di internet. In questi giorni tuttavia è circolata una utilissima comunicazione dell’Osservatorio MyEdu sulla didattica digitale che ci impone una nuova riflessione: come possono quelle linee guida venire seguite se i genitori per primi non si preoccupano dei pericoli di internet?
I risultati dell’osservatorio parlano infatti chiaro: solo 1 genitore su 10 è preoccupato dai social network e dai rischi ed essi collegati. E questo significa zero supervisione.
MyEdu, progetto di FME Education, è una risorsa molto importante che offre strumenti educativi e divertenti, giochi digitali, percorsi multimediali tra le materie e laboratori didattici per sfruttare al meglio a casa e a scuola i vantaggi del mondo digitale.
L’Osservatorio di MyEdu sulla didattica digitale condotto da FME Education è un appuntamento annuale per indagare il rapporto di genitori e ragazzi con il mondo di internet e del digitale, un mondo ormai correlato e strettamente connesso a quello reale. È infatti innegabile: ormai senza internet nessuno fa più nulla. E i nostri bambini sono nativi digitali: questo significa che è il loro pane quotidiano.
Dall’osservatorio esce chiaramente che i ragazzi sono molto più connessi dei genitori, ma soprattutto che la supervisione latita moltissimo. Se quindi da un lato sembra che ci sia molta paura nei confronti dei social network, dall’altro la realtà quotidiana smentisce questa tendenza.
MyEdu ha analizzato un campione di 9000 genitori di studenti delle scuole dell’obbligo italiane durante l’anno scolastico 2017/2018. Ne è uscito che il 5% dei genitori si connette solo poche volte al mese, mentre il 75% è connesso quotidianamente. Di questi, il 72% dei genitori è solito accompagnare i bambini nel web. Ma dall’altra parte il 47% dei ragazzi sa accedere e accede in internet in totale autonomia (la maggior parte delle volte per guardare video, cartoni animati e giocare online).
L’autonomia i bambini la acquisiscono crescendo, salendo di classe, e i dati lo confermano: se nella primaria è il 23% dei bambini ad accedere al web autonomamente, il terzo anno della secondaria è l’84%.
E per quanto riguarda le paure dei genitori? Il 43% delle mamme e dei papà è preoccupato che i figli accedano, anche per sbaglio, a contenuti inadeguati, ma solo il 9% di loro (ed è questo il dato che ci allarma più di tutti) è consapevole (e quindi impaurito da essi) dei pericoli dei social network (come, ad esempio, il cyber bullismo). E nemmeno le fake news, una piaga del nostro tempo, sembrano preoccupare la mamme e i papà. Ciò che più spaventa sono più i malintenzionati che potrebbero mettersi in contatto con i ragazzi (lo teme il 36% dei genitori).
Ciò che invece ci piace è la tendenza dei genitori a sfruttare il web in maniera intelligente e cioè cercando di utilizzare sempre più spesso le risorse educative che questo offre, come ad esempio l’insegnamento dell’inglese. 4 genitori su 10 infatti spingono i bambini a cercare un supporto online per migliorare la lingua straniera. Al secondo posto la matematica e al terzo l’italiano.
Non è un caso quindi se i genitori abbiano risposto alla domanda “Cosa vi potrebbe essere utile per seguire i figli al meglio nello studio?” con “Portali online e app didattiche”. Ormai ce ne sono moltissime con attività interattive, video lezioni e giochi didattici e un aspetto positivo di questi portali e di queste app è che, la maggior parte della volte, sono ambienti sicuri e protetti, chiusi, nei quali i nostri figli possono navigare senza pericolo.
Giulia Mandrino
Saporiti, naturali e super proteici: i ceci tostati al forno ormai sono diventati una ricetta cult in casa nostra. Si preparano davvero velocemente (spesso mentre i bimbi fanno i compiti) e sono così deliziosi che uno tira l'altro. Facendoli in casa possiamo controllare la quantità di sale e olio che utilizziamo e di conseguenza renderli più sani di quelli che si trovano nei supermercati (anche se in realtà sono abbastanza rari da trovare).
Possiamo chiamarla acqua vitale o acqua aromatizzata. Il concetto non cambia: lasciare in infusione alcuni benefici ingredienti nella nostra acqua rende la bevanda più dissetante, più gustosa e quindi golosa e più ricca di benefici. Questa è per noi deliziosa, freschissima e super golosa anche per i bambini, che amano cocco e menta!
Tutti ogni tanto ci proviamo, chi più chi meno. Ma quando il “più” supera il “meno” allora la situazione diventa davvero spiacevole. Parliamo delle scuse per rimandare l’attività fisica: se queste prendono il sopravvento, allora le conseguenze (negative) sono moltissime. Non staremo qui ad elencare i motivi per i quali è quanto mai benefico fare sport (almeno due o tre volte a settimana): quelli sono chiari e li sanno ormai tutti. No, oggi parleremo delle scuse più comuni che ci portano a rimandare sempre rendendoci dei pigroni allergici allo sport.
Non preoccupatevi, tutti più o meno, come dicevamo, usiamo queste scuse. Il problema è queste scuse non sono scuse, non sono credibili, perché stiamo mentendo agli altri ma sopratutto a noi stessi.
È vero, certi abbonamenti in palestra o in piscina o certi corsi specifici costano abbastanza, e spesso è dura inserire questo budget nel bilancio mensile. Ma guardiamoci in faccia: sapete quanti sport assolutamente gratuiti e altrettanto benefici esistono? La camminata, la corsa, la bicicletta, lo yoga a casa…
E allora vacci la mattina, a camminare, a correre, a nuotare. O, al contrario, se la mattina fatichi ad alzarti, prenditi un’oretta dopo il lavoro, oppure in pausa pranzo. Nessuno impone un orario: devi semplicemente trovare il tuo, quello nel quale ti senti più energico.
È solo perché non hai ancora trovato lo sport adatto a te. E non parliamo di quello in cui sei bravo: magari sei un campione di nuoto ma le vasche ti sembrano noiose e tutte uguali e alla fine ti secca moltissimo andare in piscina. Il bello è che non esistono solo i canonici sport ma ce ne sono migliaia: magari il tuo è la danza (che non si comincia solo da bambini! Ci sono moltissime scuole che tengono corsi per adulti), lo scherma, lo yoga, il calcio, il kung fu, la mountain bike, la camminata veloce (con tanta bella musica in cuffia)…
Non prendere tempo per se stessi è decisamente negativo. Soprattutto quando si tratta di sport e benessere. Siamo certi che nella maggior parte dei casi partner e nonni possono badare ai bimbi per mezz’oretta. Ma in ogni caso la soluzione, anche quando abbiamo con noi i bimbi, c’è: basta portarli con noi. Se facciamo running ci sono passeggini apposta, se camminiamo possiamo portarli con noi, se ci piace la montagna possiamo metterli negli appositi zaini, se ci piace la piscina possiamo andarci insieme e frequentare corsi per bambini e per adulti durante la stessa ora… I benefici in questo caso non saranno solo nostri, ma anche loro, perché li abitueremo fin da subito alla bellezza e al benessere dell’attività fisica.
Beh, il bello della palestra è che è piena di gente. Magari i primi giorni sì, sarai da sola, ma ti accorgerai presto che nei tuoi orari c’è molta gente che continui a vedere, e una chiacchiera tira l’altra.
La scusa per eccellenza per chi fa sport all’aperto, come la camminata, la corsa o la bici. Per il caldo basta indossare abiti leggeri e traspiranti, tecnici, indossare un cappellino leggero e la protezione solare, portando con sé tanta acqua e sali minerali. Per il freddo, beh, basta coprirsi, e anche qui è necessario utilizzare tessuti tecnici. Perché dopo un paio di minuti il freddo sparirà e con lui anche le nostre scuse!
Giulia Mandrino
Una separazione è una separazione. Un divorzio è un divorzio. Chi ci sta passando o ci è passato attraverso sa della sofferenza e degli sforzi che una situazione del genere porta con sé, soprattutto quando ci sono bambini nel mezzo. Proteggerli, farli sentire al sicuro e assicurargli sempre stabilità è il primo pensiero.
Pensate quindi se questo divorzio fosse amplificato. Se la vostra vita fosse sempre sulla bocca di tutti (e non solo dei pettegoli del paese), sulla copertina dei tabloid e tra le notizie in tivù. Allo stress aggiungi stress, sofferenza e timore per i figli.
Lo sa bene Jennifer Garner, tra le attrici più amate, che s’è vista in questi anni comparire e scomparire dalle pagine delle riviste e dei giornali con le storie (più o meno vere) della sua separazione dal marito Ben Affleck.
Il mese scorso, ospite di una trasmissione americana, ha parlato proprio di questo, e le sue parole ci hanno molto colpito, perché per quanto lontana la sua situazione (non tutte siamo attrici famose e riconosciute, no?) ciò che ha detto è applicabile a tutte noi, a tutte le nostre famiglie. E la sua forza mista a dolcezza può essere un esempio e uno spunto per farsi coraggio. La solidarietà femminile passa anche da questo e avere come esempio donne forti e speciali è una bellissima cosa.
“Per un decennio buono avevamo fuori casa cinque o dieci macchine, addirittura quindici o venti nel weekend, con i paparazzi. Se ci ripenso sento fortissimo lo stress. E mi viene da piangere”: Jennifer Garner in un’intervista a Sunday Morning sulla CBS ha parlato così della sua vita, rivelando i retroscena di una vita patinata che in molte probabilmente le invidiano, senza sapere cosa significa davvero essere sempre al centro dell’attenzione.
L’attrice non era sotto i riflettori solo per la sua bellezza o la sua bravura, d’altronde, ma soprattutto per la storia d’amore con il collega Ben Affleck. Una coppia d’oro, da sogno, che per 10 anni ha fatto sognare, fino alla separazione nel 2015. Mettiamoci un attimo nei loro panni: quanto può essere stressante essere costantemente osservati e giudicati da buona parte del mondo? Certamente dev’essere estenuante. Non solo a livello personale, ma anche di coppia. E se come in ogni coppia sorgono problemi inconciliabili, allora il processo di separazione diventa ancora più faticoso, stressante e deleterio in una situazione del genere.
“I tuoi fan sono ancora ossessionati dalla tua vita privata”, ha cominciato l’intervistatore. “Ma com’è stato per te affrontare il divorzio e vedere spiattellato tutto su ogni copertina?”. Una domanda molto seria e personale alla quale la Garner non si è sottratta.
“Ciò che credo di aver imparato è che avere questo tipo di attenzione sulla tua vita pone sempre pressione. Voglio dire: quando sei fidanzata vuoi sposarti subito, perché pensi che questo possa stoppare tutta la curiosità. E vale lo stesso al contrario. Anche se non ci sono problemi, se i tabloid decidono che ci sono problemi, i problemi si creano. Ma anche se spesso mi dicono ‘dev’essere stata dura affrontare tutto questo pubblicamente’ mi vien da dire “No, ciò che è stato difficile è stato affrontare tutto questo, punto”.
E no, lei nemmeno li guarda i tabloid. “Ho dovuto essere perentoria con me stessa: non è salutare, non fa bene guardare queste fotografie scattate dai paparazzi. Alla mattina puoi fare due cose: preparare la colazione e il pranzo per la scuola dei bambini o farti bella per i paparazzi. E io so benissimo cosa fare!”.
È vero, l’abbiamo sempre visto: Jennifer Garner e Ben Affleck hanno sempre messo prima di tutto i loro bambini (Violet, Seraphina e Samuel) e non si sono mai curati dei paparazzi. Eppure i paparazzi hanno continuato a stare loro addosso e probabilmente continueranno a farlo. Ma l’attrice ci dà una bellissima lezione: non importa quanto sia stressante la tua vita, non importa quanto grandi siano i problemi. Bisogna affrontarli, bisogna essere coerenti con se stessi, bisogna anche cercare di stare bene con se stessi durante i periodi cattivi.
Soprattutto, ci insegna che sta a noi decidere. Non alla pressione esterna. Sta a noi decidere in ogni situazione, bella o brutta che sia. Nessuno ci può dire chi sposare o quando è il momento di fare il grande passo così come nessuno ci può spingere al divorzio, nessuno ci può lasciare impantanate in un matrimonio finito e nessuno può giudicare la nostra vita. Perché è nostra e abbiamo il diritto e il dovere di viverla a modo nostro. Facciamo come Jennifer Garner: evitiamo (metaforicamente) di leggere i tabloid che ci hanno messo in copertina e seguiamo il nostro cuore.
Giulia Mandrino
Oltre alla pasta fatta in casa c'è un'altra ricetta che stuzzica la nostra creatività e che è decisamente più semplice di quanto si creda. Parliamo degli gnocchi, divertentissimi da fare in casa con i bambini (hanno solo tre ingredienti quindi sono super facili!), tradizionali e fantasiosi, dal momento che utilizzando le patate viola possiamo renderli colorati come piacciono ai più piccoli! E poi sono deliziosi, anche semplicemente con dell'olio evo e pecorino o con un sugo di zucchine saltate in padella.