Mercoledì scorso noi di mammapretaporter siamo state ad un evento davvero favoloso. Spoiler: abbiamo potuto assaporare il cappuccino più buono della nostra vita! Non esageriamo: schiumoso in maniera esagerata, saporito e bilanciato. E non eravamo in un bar. No. Ma era meglio di quello del bar!
L’evento era il lancio della linea di capsule Barista di Nespresso: un’edizione limitata di tre cialde pensate per chi (come noi) ama la colazione al bar e vorrebbe provare il piacere di gustare caffè e cappuccino a regola d’arte anche a casa.
Partiamo da un presupposto forse scontato ma che ci teniamo a ribadire: fare il caffè è un’arte. Lo sappiamo bene noi italiani, che quando andiamo in giro per il mondo ci prepariamo alle smorfie che compariranno sul nostro viso ogni volta che berremo un caffè inevitabilmente peggiore del nostro.
Il caffè è un’arte, dicevamo, perché le variabili sono davvero tante: innanzitutto, è la mano del barista che fa moltissimo. Quanto bisogna pressare il caffè nella macchina? Quanto caffè dobbiamo mettere? Insomma: una tazzina di caffè è un fiocco di neve: è impossibile prepararne una esattamente identica ad un’altra. Be’, lo stesso vale per il cappuccino, altro must della caffetteria italiana e inimitabile nel mondo: la quantità di schiuma e lo spessore della stessa variano sempre, perché non è una preparazione meccanica, ma fatta da una mano umana che conosce a menadito l’arte che sta dietro alla preparazione di un cappuccino.
Nespresso ha pensato quindi di ispirarsi all’arte dei baristi veri, unendola al piacere di prendersi il caffè al bar. Il risultato sono queste tre cialde, Barista Chiaro (per un cappuccino dolce); Barista Scuro (per un Espresso macchiato intenso e super cremoso); e infine Barista Corto (per preparare un Ristretto Nero intenso ed estremo).
Se già conoscete le cialde Nespresso, allora saprete che il loro sapore è inconfondibile e inimitabile, e che effettivamente sono le capsule di caffè che più si avvicinano al sapore del caffè preso al bar. Be’, queste sono ancora più incredibili, perché si ispirano direttamente all’esperienza dei baristi più esperti.
Abbinando alle capsule Barista la macchina per caffè Lattissima One (che in questi giorni è in promozione: la possiamo comprare a 199 euro, invece dei soliti 249!), ecco quindi che la nostra esperienza di baristi a casa si completa: grazie alla funzione per preparare una perfetta schiuma di latte, i nostri cappuccini e caffellatte casalinghi sono davvero perfetti. Ve lo possiamo assicurare!
Durante l’evento Nespresso abbiamo potuto assaggiare la combinazione capsule Barista+schiuma di Lattissima: non esageriamo se diciamo che era il cappuccino più schiumoso e godurioso che abbiamo mai assaporato!
Il bello è che con Lattissima One (che per noi mamme è super comoda, poiché oltre all’essere compatta è parzialmente lavabile in lavastoviglie!) possiamo prepararci a casa dei cappuccini, del caffellatte e delle bevande schiumose (a noi sono venuti subito in mente il Pumpkin Spice Latte e il Matcha Latte!) assolutamente sane e naturali.
Basta utilizzare al posto del latte vaccino quello vegetale. Il nostro consiglio? Il latte vegetale migliore per ottenere una schiuma perfetta per il cappuccino è certamente quello di soia. Ma anche quello di mandorla non è da disdegnare: la schiuma sarà meno corposa, ma il sapore finale del cappuccio e del caffellatte è certamente delizioso.
Giulia Mandrino
Cosa succede quando una coppia trentenne vede le famose due lineette rosa sul test di gravidanza? Succede che la vita si stravolge. In bene, in male, con eccitazione, con paura. Ma sempre si stravolge. Martino Corti, cantante, attore e regista, per un anno è stato fermo. Perché anche lui ha assistito alla comparsa delle famose due linee, e si è stoppato per un attimo. Ora è pronto a tornare a teatro, con uno spettacolo dedicato proprio al tema della famiglia che si forma.
Accanto a Martino sul palco ci sarà l'attrice Vanessa Korn (e accanto a loro Luca Nobis, alla chitarra e alla loop station): "È tutto da vedere" andrà in scena presso lo Spazio Avirex Tertulliano (invia Tertulliano 68 a Milano), dal 19 al 29 ottobre 2017, dal giovedì al sabato alle 21 e domenica alle 16.30 e 20.30 - biglietti prenotabili a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.), e si prospetta già uno spettacolo per tutti. Per le giovani famiglie, per le coppie, per i nonni, ma anche per i single, per i bambini. Per tutti, ecco.
La storia si snoda attorno al primo vagito di Mirtilla: ci sono Martino e Vanessa, ma ci sono anche le nonne, ci sono le loro prime volte, c'è la loro infanzia che diventa adolescenza e che diventa età adulta, ci sono i primi appuntamenti, ci sono gli abbracci, ci sono gli incontri.
Lo spettacolo sarà proprio questo: un viaggio di vita nella quotidianità di ognuno di noi, con le situazioni ironiche e i passaggi seri, il tutto per arrivare a quel primo fantastico abbraccio in tre che segna l'arrivo sognato da tante coppie. Le lineette, la pancia che cresce, le riflessioni, le paure, la gioia incontenibile, le difficoltà...
"Per più di un anno non ho scritto nulla", scrive Martino nel suo blog. "Canzoni, monologhi, niente. Non ero bloccato, semplicemente ero consapevole che diventare papà mi stesse portando su un piano diverso e le parole per raccontarlo, semplicemente, non c’erano. Poi hanno iniziato ad arrivare, e con loro il desiderio di condividere la meraviglia che stavo vivendo, il mondo che avevo sempre avuto davanti agli occhi ma che non avevo mai visto senza gli occhi di Mirtilla. Ed eccoci qua, finalmente con Vanessa Korn, attrice, regista e autrice meravigliosa con cui ci inseguiamo da tanto tempo, e ancora una volta insieme al meraviglioso Luca Nobis, con uno spettacolo che possono vedere tutti. Con uno spettacolo che i genitori DEVONO vedere".
Se volete farvi un'idea dello spettacolo, quindi, basta seguire Martino sulla sua pagina Facebook: parla di Cami, la sua compagna, e parla di Tilla (Mirtilla), la sua bambina, che gli ha stravolto la vita. Tilla che ride per le parole strane, che quando ha la febbre si mette a rassettare casa. Tilla che era nella pancia durante uno spettacolo del 2014 e Tilla che ormai gli ispira tutti i monologhi e le canzoni.
Un papà dolcissimo che mette in arte il suo amore per la famiglia. Un papà dolcissimo che potremo finalmente rivedere sul palco tra qualche giorno!
Giulia Mandrino
Siamo già tornati a scuola e al lavoro, è autunno inoltrato. Ma siamo certi che moltissimi voi avranno già malinconia del mare, e che stiano già pensando di comprare un po' di sabbia da mettere nei recinti in giardino per giocare con secchiello e paletta. Oppure per provare qualche esperimento! Bene: ne abbiamo uno che fa per voi, tra i più divertenti in assoluto, perché si ottiene una sabbia cinetica tipo slime perfetta, naturale e giocosissima.
Lo slime, una sabbia cinetica morbida e delicata che si presta a tutte le forme che vogliamo dargli (tornando subito alla sua forma originaria) è uno strumento davvero utile per quanto riguarda sensorialità, esplorazione e creatività. La sensorialità viene stimolata grazie alla consistenza di questa specie di pongo che in realtà pongo non è, perché è molto più morbido e malleabile e perché non serve per fare piccole sculture ma semplicemente per godere del momento del “modellare”. L’esplorazione è altrettanto presente, poiché i bambini scoprono questa sabbia direttamente con le mani. E infine la creatività è stimolata, appunto perché non la si usa per scolpire con il pongo ma per creare senza soluzione di continuità forme che variano continuamente, incessantemente.
Per preparare il nostro slime, ecco ciò di cui avremo bisogno:
Ed ecco il procedimento:
Possiamo giocarci subito, oppure attendere 15/30 minuti: in questo lasso di tempo lo slime si assesta e prende la perfetta consistenza, ma non è proibito non resistere e giocare subito!
Una volta terminato il gioco, possiamo conservarlo per circa una settimana, tenendolo in un recipiente ben chiuso.
Giulia Mandrino
Siamo abituati alle lezioni classiche, praticamente in tutte le scuole: lezioni frontali, compiti, verifiche, interrogazioni e voti. Quello che non sappiamo è che in realtà esistono metodi educativi e approcci didattici davvero innovativi. Sono numerosi, e gli insegnanti che stanno iniziando (almeno) ad integrarli nei loro programmi, affiancandoli alle classiche lezioni, sono fortunatamente sempre di più.
Gli approcci a cui ci riferiamo sono innovativi perché mettono al centro il bambino e il ragazzo, e non più la materia; perché coinvolgono la concretezza dell’imparare; perché tentando di capovolgere gli schemi per avere più risultati a livello ampio; e perché mettono in gioco non solo le nozioni, ma anche la socialità, le emozioni e la praticità.
Il cooperative learning è probabilmente il metodo più distante da quello frontale a cui siamo abituati, perché prevede l’apprendimento attraverso la collaborazione di tutti, insegnanti e ragazzi, esattamente come suggerisce il nome. Coinvolgendo direttamente i bambini e i ragazzi, li si stimola e li si interessa maggiormente, e la concretezza del processo aiuta ad apprendere meglio i concetti. Non solo: anche la socialità ne esce rafforzata, così come l’empatia e il rispetto (degli altri e di se stessi, ognuno con i propri limiti e le proprie forze, dal momento che ognuno mette la sua a disposizione degli altri).
Qui trovate il nostro articolo che spiega nello specifico di cosa si tratta quando parliamo di cooperative learning (o apprendimento cooperativo).
Il circle time, o “momento in cerchio”, prevede che in classe una volta al giorno (o un paio di volte a settimana) ci si impegni in un momento di lezione nel quale i ragazzi dispongono le loro sedie in cerchio, insieme all’insegnante (che si siede insieme a loro, allo stesso livello). È un momento di parità in classe, nel quale non c’è più l’insegnante di fronte a loro e soprattutto durante il quale scompaiono le disposizioni degli alunni (davanti “gli indisciplinati”, dietro “i bravi”). Può essere utilizzato per apprendere nuove nozioni e fare lezione in maniera diversa, ma è soprattutto un momento buono per le riflessioni, per il problem soling e per la risoluzione di tensioni e dubbi.
Qui il nostro articolo dedicato al Circle Time.
Per classe capovolta si intende un metodo educativo che prevede l’apprendimento attivo da parte dei bambini, che non subiscono più passivamente le lezioni ma che divengono protagonisti della propria educazione. L’aula diviene il luogo dello scambio e non più solo del “ricevere informazioni”, dal momento che queste informazioni vengono fornite ai ragazzi attraverso diversi strumenti che loro possono scegliere.
Simile alla classe capovolta (o flipped classroom) è la peer education, ovvero l’educazione tra pari. Prevede lo scambio diretto e concreto tra i ragazzi, che dopo avere assistito alle lezioni rispondono alle domande dell’insegnante in gruppo, oppure discutono insieme sull’argomento. In questo modo, applicando la peer education a tutte le materie, i ragazzi che hanno capito meglio l’argomento lo spiegano a quelli rimasti un attimo più indietro, stimolando una tipologia di comprensione diversa, più attiva da parte di entrambi perché più stimolante. Non ci sarà mai quello “più bravo” e quello “più scarso”, poiché in generale in ogni materia e in ogni argomento ci sarà chi è più portato e chi meno, chi ha capito tutto e a chi è sfuggito qualcosa, e nel lungo termine tutti si troveranno allo stesso livello, educativo e sociale.
La didattica laboratoriale si fonda su una concezione costruttivista e concreta dell’apprendimento. Ovvero: intraprendendo più laboratori durante l’orario scolastico, si stimolano i bambini a lavorare con le proprie mani o a mettere in gioco il loro intelletto in maniera più concreta e applicata, per giungere ad un apprendimento più solido perché provato sulla propria pelle.
Rispetto alle lezioni frontali, i laboratori fanno sì che i ragazzi apprendano i concetti attraverso problemi concreti da risolvere, attraverso tecniche da applicare e attraverso esperimenti da provare, stimolando l’attività pratica ma anche l’interazione e mettendo in gioco tutte le risorse, non solo quelle intellettive più pure di studio e di comprensione astratta.
È ancora poco diffusa, e c’è nello specifico una scuola in particolare che la pratica, e da cui potremmo prendere spunto: la Sudbury Valley School, che segue il pensiero studiato da Peter Gray che prevede di intendere l’insegnamento non come una trasmissione in linea verticale insegnante-bambini, ma come un processo lineare orizzontale nel quale i ragazzi vengono lasciati liberi per giungere in maniera naturale a imparare tutto ciò di cui hanno bisogno. L’insegnante diviene una guida, a disposizione dei bambini, che scelgono da sé come impiegare il tempo scolastico. La cosa che stupisce è come i bambini siano diligenti nell’apprendimento: non pensiamo che se lasciati liberi impieghino il loro tempo solo a giocare senza altro fine. I bambini sanno in maniera innata e istintiva di cosa hanno bisogno, e una volta abituati a decidere come sfruttare il proprio tempo giungono ad un perfetto equilibrio.
Se volete approfondire il metodo, ecco un articolo che lo spiega in dettaglio.
Giulia Mandrino
(Photo: https://lydioutloud.com/peppermint-sugar-scrub-cubes-recipe/)
Lo scrub è un’abitudine davvero sana e virtuosa: farlo due o tre giorni a settimana significa donare alla pelle morbidezza e lucentezza e renderla liscia, grazie al potere esfoliante del prodotto, che con gentilezza elimina le cellule morte, le tossine superficiali e uniforma l’epidermide.
Essendo molto semplice da preparare in casa, noi siamo solite preparare il nostro personale scrub a partire da ingredienti naturali che abbiamo in cucina, come lo scrub a base di tè verde e zucchero. Stavolta ve ne proponiamo uno ancora più comodo, perché prevede la creazione di cubi solidi davvero molto pratici e naturali!
Combinando l’azione dello zucchero, del sapone e dell’olio di cocco, il nostro scrub homemade diventa un perfetto strumento per l’igiene e la cura di noi stesse, poiché mentre esfolia pulisce e ammorbidisce l’epidermide, in una multiazione.
Inoltre, la forma a cubo, solido, risolve un problema forse poco noto ma che comunque esiste: i prodotti che siamo abituati ad utilizzare solitamente sono in forma fluida o semi-fluida. Restando in doccia o ai margini della vasca da bagno costantemente, vengono a contatto (inevitabilmente) con l’acqua, che si annida nei barattoli e che ristagnando favorisce il proliferare dei batteri. Con i cubetti questo problema non viene debellato, ma certamente la situazione viene contenuta e i batteri dimezzano.
Oltre al sapone e allo zucchero di canna, che sta alla base dello scrub per il potere esfoliante, noi aggiungiamo anche un po’ di argilla rosa, un’argilla molto fine che depura, assorbe gli oli in eccesso e purifica la pelle, anche quella più sensibile che si arrossa facilmente.
Ecco gli ingredienti:
Una tazza di zucchero di canna
1.5 kg di sapone di Marsiglia solido
2/3 di tazza di olio di cocco
1 cucchiaio di argilla rosa
30 gocce di olio essenziale di lavanda
Ed ecco la ricetta:
Iniziamo tagliando a pezzetti il sapone di Marsiglia e mettendolo in una ciotola di vetro, infilata in una casseruola riempita per metà d’acqua. Accendiamo il fuoco (medio) e lasciamo sciogliere a bagnomaria, mescolando di tanto in tanto.
In un’altra ciotola, mescoliamo l’argilla rosa con l’olio di cocco, e una volta che il sapone è pronto mescoliamo tutto insieme. Se si formano troppi grumi o il composto diventa solido, mettiamolo di nuovo a sciogliere.
Nel composto aggiungiamo quindi l’olio essenziale e immediatamente lo zucchero. Mescoliamo molto velocemente e riempiamo con il composto uno stampo per cubetti di ghiaccio in silicone. Mettiamolo in frigorifero per un’ora, quindi, una volta che i cubi si saranno solidificati, stacchiamoli. Possiamo conservarli in barattoli chiusi, al riparo da luce e calore diretti.
L’utilizzo è semplicissimo: basta utilizzare i cubetti sotto la doccia come del sapone, passandoli sulla pelle e sfregando bene, risciacquando poi con acqua.
Giulia Mandrino
Spesso ci lamentiamo che i nostri bambini abbiano tanti giochi che non apprezzano, e che non apprezzino nemmeno tutte le attività e le esperienze che gli proponiamo: finita una ne chiedono un’altra, e il livello di soddisfazione è comunque troppo basso. Perché?
Le risposte sono sia culturali (da ricondurre in primis alla iperstimolazione mediatica), sia sociali, e riguardano quei processi che vedono una generazione di genitori e nonni che tende a investire molto denaro nel comprare oggetti tendenzialmente inutili ai bambini, quasi a colmare un senso di vuoto, una incapacità a fermarsi e parlare e giocare con il corpo e con la parola invece che buttarsi nel processo di acquisto: è più semplice, più veloce, ma alla lunga sono convinta che queste scelte si paghino.
Lo diciamo sempre: i bambini devono sviluppare creatività e un pensiero emotivo che consenta loro di far emergere un equilibrio solido sia dal punto di vista psicologico che sociale. Collezionare oggetti ed esperienze vissuti e percepiti in maniera superficiale e parziale va davvero nella direzione opposta a questa.
Quello che però trovo significativo e importante nella nostra generazione di genitori è il desiderio di impegnarsi per donare ai propri figli non solo oggetti ma anche esperienze: così è esponenzialmente incrementato l'interesse nei confronti di viaggi family friendly e in generale il piacere di costruire memorie significative all'interno di un tempo di qualità trascorso insieme. L'impressione che però ho io è quella, appunto, che i nostri figli non siano mai sazi di tutto ciò. Mai contenti.
Oltre alle cause prese in considerazione precedentemente voglio soffermarmi su un punto secondo me fondamentale: quello della catalogazione. Quando noi apprendiamo abbiamo bisogno non solo di "ingurgitare" informazioni, ma anche di rielaborale, sistematizzarle, ordinarle prendendo tempo per fermarci e osservarle. Un metodo? Certamente le fotografie, che ormai non stampiamo più ma che rimangono sempre il metodo migliore per tenere con noi i ricordi. Oggi ci sono molti metodi per stamparle senza spendere un capitale, come ad esempio affidandosi a siti internet che stampano e inviano a casa (conoscete, ad esempio, i servizi di Cewe? Io ormai non ne faccio più meno!).
Quello che noi non facciamo in questa fase della nostra storia sociale è fermarci per osservare indietro, quindi non ci rendiamo bene conto di cosa abbiamo fatto o vissuto, perciò non lo rielaboriamo in quanto siamo sempre di corsa: mi rendo conto che spesso sottopongo i bimbi a troppi stimoli ed esperienze e non do loro il tempo di parlarne nei giorni successivi, di rielaborare il vissuto.
Quando ero piccola sicuramente le esperienze vissute al di fuori dell'ordinario erano poche ma erano percepite con grande intensità, sia prima, che durante, che dopo l'evento stesso. Per fare questo gli album fotografici erano davvero utili perché permettevano di avere una visione concreta dell’esperienza.
Come diciamo sempre, i bambini almeno fino agli 8 anni vivono e apprendono principalmente attraverso l'esperienza perché non hanno capacità di astrazione come un adulto. Ecco perché adorano visionare le fotografie sul nostro smartphone: per loro è una modalità per fare ordine, per apprendere.
Ho iniziato a soffermarmi sul ruolo degli album fotografici quando la scuola ci ha richiesto come compiti delle vacanze alcune esperienze e lavoretti al fine di stimolare tutte le aree intellettive del bambino, che come sostiene Howard Gargener sono almeno 8 (logico matematica, linguistica, spaziale, musicale, cinestetica, interpersonale, intrapersonale, naturalistica): così al termine delle vacanze abbiamo stampato tutte le foto e realizzato un album di tutte le esperienze vissute ma anche di lavori effettuati, dalle semplici lettere realizzate con gli alimenti ai piccoli lavoretti con materiale di riciclo a gite di una giornata. È stato davvero interessante per i bambini sotto diversi punti di vista:
in primis per mettere in ordine cronologico quello che hanno fatto;
poi, per rivedere dove sono stati, per esprimere le loro emozioni, per porre ulteriori domande e per apprendere maggiori informazioni e chiarimenti.
È in questo modo che mi sono resa conto di quanto spesso siamo noi per primi a non dare la possibilità ai bambini di vivere in profondità e assimilare appieno ciò che offriamo loro: è un po' come dare un piatto di lasagne e mangiare solo i primi due strati. Non ha molto senso, non trovate? (p.s. le lasagne sono così buone che secondo me rendono magnificamente l’idea!).
Quello che mi sono quindi proposta è prima di tutto di fermarmi e darmi tempo per rivivere e parlare di quello che è stato fatto: inutile collezionare una nuova esperienza se non ho finito di vivere appieno quella precedente.
Quindi, di realizzare album fotografici per permettere ai bambini di aver maggior consapevolezza dei loro vissuti a 360 gradi: meno cose vissute più intensamente e fino in fondo insomma. Investire perciò tempo e risorse per catalogare, riflettere e rielaborare.
Il metodo più economico e pratico per creare i miei album di esperienze attraverso le foto per me è il sito Cewe: oltre alle stampe su supporti particolari, come il plexiglas, la tela e i poster (che sono comunque un’ottima idea per arredare casa circondandoci dei ricordi delle esperienze familiari), permettono di stampare a poco prezzo pacchetti davvero grandi di fotografie, di vari formati.
L’ideale è scegliere un formato piccolo e standard per tutte le foto, comprare degli album uguali tra loro (oppure realizzarli a mano con i bambini, come piccoli lavoretti) e, una volta arrivate comodamente a casa, procedere con la catalogazione tutti insieme.
Certo, c’è anche la possibilità di ricevere i fotolibri già completi, con le foto selezionate stampate direttamente sulle pagine (e sono bellissimi, naturalmente). Tuttavia credo sia più divertente, stimolante ed efficace fare una bella selezione di fotografie e stamparle proprio come una volta facevamo dal fotografo, per poi smistarle e incollarle insieme ai bambini, sparpagliandole sul tavolo e raccontandosi insieme ciò che sta dietro ad ogni immagine!
Parlavamo del fotografo “di una volta”, poco fa. Ce ne sono sempre meno in ogni paese, e giustamente i loro costi sono più alti, perché i servizi sono cambiati. Se una volta quindi bastava portare il rullino a sviluppare, oggi rischiamo di lasciare sul cellulare i nostri più belli ricordi. Scegliere un servizio semplice e veloce come quello di Cewe (che fino al 31 dicembre ha in programma un’offerta da non perdere: possiamo utilizzare il codice 10CEWE17 per uno sconto di 10 euro su qualunque ordine, oppure 30CEWE17 per uno sconto di 30 euro su una spesa minima di 150 euro!) permette di evitare il rischio di perdere tutte le immagini e tutti i sorrisi delle nostre esperienze come i bambini: basta caricare sul programma del sito le immagini, scegliere il formato e attendere di riceverle a casa.
I bambini amano collezionare le figurine e completare gli album, no? Bene. Iniziamo a collezionare esperienze: piace a noi, piace a loro; fa bene a noi, fa benissimo a loro.
Giulia Mandrino
(Photo: Food in Jars)
Da qualche tempo spopolano le ricette in barattolo, o "mason jar recipes". In effetti sono comodissime, oltre che belle da vedere! Quella che vi proponiamo oggi, quindi, è una ricetta classica, e cioè quella della frittata, ma rivisitata per renderla sorprendente! Leggera e gustosa, è ottima per fare bella figura con gli ospiti o per proporre in tavola ai bambini una forma diversa di pasto.
(Facebook - Sara Anne Birth Photography)
I modi per sensibilizzare la gente sull’importanza e sulla naturalezza dell’allattamento al seno sono molti. Ci sono le star che si mettono in prima linea parlando della loro esperienza, quelle che trasformano le immagini in opere d’arte, quelle che denunciano i peggiori trattamenti ricevuti attraverso hashtag dedicati.
E poi c’è chi attraverso semplici e bellissime fotografie cerca di sensibilizzare e al contempo creare una community impegnata in prima linea nello sdoganamento dell’allattamento, ancora troppo spesso non accettato in pubblico.
Noi di mammapretaporter lo diciamo sempre: ogni madre sceglie ciò che vuole, ciò che ritiene migliore per il suo bambino; c’è chi allatta solo a casa, chi lo fa in pubblico, chi allatta in maniera esclusiva, chi opta per il biberon e il latte formulato, chi allatta fino ai due anni, chi si ferma subito con lo svezzamento… Non c’è una regola, ma solo buon senso. E il buon senso dice sempre che nutrire un bambino è il dono più straordinario che possiamo fargli, indipendentemente dalle modalità.
In Australia da qualche anno si è formato un bellissimo gruppo: l’Australian Breastfeeding Project. Conta ormai più di 15.000 mamme che hanno deciso di aderire all’iniziativa, e la mission è davvero speciale e onorevole.
Tutto nacque quando la fotografa Sara Murnane, australiana, scattò questa bellissima fotografia ad un gruppo di venti madri vestite di bianco mentre allattavano i loro bambini sullo sfondo della bellissima Breamlea Beach. Uno scatto etereo, dolcissimo, che attraverso la bellezza fa pensare allo straordinario dono che la natura ci ha fatto: l’allattamento al seno.
Dopo aver notato che l’immagine otteneva migliaia di consensi, sia da parte delle mamme coinvolte sia da parte di tutte le donne che attraverso il web avevano potuto ammirare la fotografia, Sara Murnane decise di fare partire questo progetto, l’Australian Breasfeeding Project, il Progetto sull’Allattamento in Australia.
“L’Australian Breastfeeding Project è un’iniziativa che vuole creare consapevolezza attorno alla bellezza dell’allattamento, generare accettazione sul fatto che l’allattamento al seno abbia numerosi benefici e sradicare lo stigma negativo associato all’allattamento in pubblico”, si legge sul sito del progetto.
Il progetto si svolge proprio attraverso le fotografie di Sara, che gira il suo Paese cercando dappertutto la bellezza di questa pratica. “Questo tour nazionale per catturare in fotografia una serie di mamme in giro per l’Australia che allattano i loro bambini vuole formare una sorta di collettivo che si impegni in questa causa”. Le fotografie sono visibili sul sito, in una bellissima galleria.
Sara poi continua spiegando le ragioni dietro al progetto. Prima di tutto, è convinta che l’allattamento sia quanto di più bello e naturale possa accadere ad una mamma. Purtroppo i momenti passano alla svelta, e fotografare questi attimi è un modo per tenere la memoria sempre viva.
Secondo: se le fotografie che scatta girano, come dovrebbero, sui social media, grazie alla loro bellezza, allora la gente si sensibilizzerà piano piano attorno a questo tema, eliminando i pregiudizio attorno all’allattamento in pubblico. Insomma: più mamme che allattano vedi, più ti sembra, come deve essere, naturale.
Terzo: la sensibilizzazione sui benefici dell’allattamento può essere d’aiuto a tutte quelle mamme che non trovano attorno a loro il supporto che meriterebbero.
E, infine, Sara vuole “catturare negli scatti la nostra sorellanza. Non importa dove allattiamo, se siamo da sole o in gruppo. Avremo sempre la garanzia che siamo sorelle, che ci supportiamo, che ci siamo nel momento del bisogno. Insieme siamo più forti di quanto pensiamo. Insieme faremo la differenza”.
Giulia Mandrino
Da quando le ricette hanno cominciato ad essere espresse in tazze, cucchiai e misure del genere, ci si è subito accesa una lampadina: in effetti cominciare ad imparare le misurazioni attraverso oggetti e riempimenti concreti può essere un buonissimo inizio per i bambini. Oltretutto, molto più divertente del solido!
Utilizzando quindi gli strumenti che abbiamo in casa abbiamo iniziato a coniugare il divertimento in cucina con il gioco dei travasi di solidi e liquidi, per stimolare i nostri bambini a conoscere le misure, le quantità e le frazioni in maniera ludica e divertente.
Questo metodo per iniziare a prendere confidenza con la misurazione delle quantità (già a partire dai quattro o cinque anni) è molto montessoriano, perché prevede il gioco dei travasi: a quest’età, infatti, l’intelletto dei bambini si sta formando di pari passo con lo sviluppo motorio e con la coordinazione. Toccare quindi con mano ciò che si impara è un metodo tra i più efficaci per aiutare i bambini a imparare più in fretta e soprattutto in maniera più efficace e duratura.
Per imparare le misurazioni e le quantità, possiamo quindi utilizzare acqua o altri liquidi oppure elementi solidi che troviamo in cucina come i fagioli secchi, i cereali, il riso, la pasta corta… Semplicemente, possiamo lasciare che il bambino travasi da un contenitore all’altro questi materiali, scoprendo che a differenti grandezze corrispondono differenti capacità, e insegnandogli poi tutto ciò che sta attorno all’argomento: i litri, i centilitri e il sistema decimale; le frazioni; i pesi; eccetera eccetera.
Tra gli strumenti che possiamo utilizzare, ci sono sicuramente le brocche dosatrici, come ad esempio questa, che al suo interno contiene altre tre brocche più piccole che permettono di sperimentare la diversa capacità dei contenitori.
Utilissime, poi, nel momento in cui il bambino ha già imparato le basi e sta iniziando a prendere confidenza con i numeri, le brocche graduate con differenti letture: in questa troviamo i litri e le frazioni dei litri, le frazioni semplici, le pinte e gli altri sistemi di misurazione, per iniziare a comprendere la conversione.
Ai bambini questi piaceranno tantissimo: sono i misurini in forma di cucchiaino che ci presentano le quantità in due modalità: o a “cucchiaini”, a “cucchiai” o in millilitri. Con l’acqua o con alimenti sfusi come i cereali, il riso o i semi di girasole, questi misurini sono perfetti perché essendo piccoli aiutano i bambini anche a stimolare la manualità fine. Possiamo anche usarli in combinazione con gli altri recipienti: quanti cucchiaini fanno un litro? Quanti cucchiai? Quanti mezzi cucchiai? Quanti millilitri?
Ne possiamo trovare anche di colorati, non pensati apposta per i bambini ma effettivamente molto ludici…
E ne esistono anche di impilabili, per rendere la lezione-gioco più interessante.
Se ai vostri bambini piace la scienza, poi, basterà comprare misurini da scienziato pazzo che ricordano i cilindri beaker della fantascienza.
Infine, strumento davvero utile per continuare ad imparare qualcosa riguardo alla misurazione, alle quantità e al peso è certamente la bilancia. Quella da cucina che pesa i chili andrà benissimo, ma per iniziare è efficacissima soprattutto la vecchia bilancia a bracci, che permette di confrontare il peso di diverse quantità dello stesso materiale o il peso di diversi materiali nella stessa quantità.
Giulia Mandrino
Cosa vuol dire "casa"? Qual è il posto giusto in cui stare? Cos'è che ci fa stare bene?
"Il posto giusto", il primo libro, edito da Carthusia, scritto in collaborazione con la Fondazione per l'Infanzia Ronald McDonald Italia (che si occupa di provvedere alle cure mediche e all'assistenza per bambini ospedalizzati e lontano da casa), parla proprio di questo: della nostra "casa", del luogo in cui ci sentiamo bene, mai soli. Ma questa casa è qualcosa di fisico? Forse no.
La storia, scritta da Beatrice Masini e illustrata da Simona Mulazzani, parla di Scoiattolo. Scoiattolo è un animaletto del bosco che si è appena risvegliato dopo il letargo, e si rende conto che la tana nell'albero che lo ha accolto per l'inverno non è affatto accogliente come credeva.
Decide quindi di intraprendere un viaggio nel bosco alla ricerca di una casa migliore, più bella, più calda e meno buia. Nella sua piccola avventura incontrerà Picchio, Tartaruga, Talpa e molti altri animaletti amici. Ognuno di loro ha la sua bella casetta, chi a terra chi in aria, chi al buio chi alla luce, chi al caldo chi al fresco. Ognuna di queste case, tuttavia, non sembra fare al caso di scoiattolo, che sta cercando proprio la perfezione.
Ma se la perfezione non esiste, e se nulla lo soddisfa, allora perché non costruire da zero una casa tutta per lui? Anzi, tutta per loro: già, perché scoiattolo alla fine non costruisce la sua casa solo per lui, ma per tutti i suoi amici, che andando a vivere con lui formano così una bellissima, grande famiglia. E qual è la casa? “Un grande albero con radici profonde e rami larghi e lunghi”: quale metafora migliore per parlare di famiglia?
Il messaggio è chiaro: la "casa" è dove stai bene, dove ci sono i tuoi affetti. Il posto giusto è il luogo in cui si possa stare tutti insieme. Non importano le differenze, non importa se prima si era lontani (e qui, forse, il libro può andare in aiuto alle famiglie adottive con bimbi di etnie differenti dalla loro! L'albero che accoglie tutti ha radici profonde, nonostante le differenze che ci sono tra gli animali).
La vocetta dentro di lui diceva a Scoiattolo che sarebbe stato meglio da solo. Che ogni casa andava bene. Che non c'era bisogno di sforzarsi tanto per trovare il posto giusto. Ma Scoiattolo non cede: si impegna (e questo è importantissimo), progetta, costruisce, e alla fine riunisce tutti, ognuno con le sue richieste e le sue differenze, e soprattutto si impegna ad aprirsi a cose nuove, non fossilizzandosi sul "vecchio".
Insomma: questo libro dà veramente mille spunti, perché parla di casa, di differenze, di sofferenza, di solitudine, di gioia, di amore, di famiglie allargate, di famiglie atipiche. Ognuno può trovarci un senso e una morale, e leggerlo con i bambini all'infinito ci darà infinite occasioni di riflessione!
Sara Polotti