Quest’estate non si andrà molto lontano da casa, vero? Certo, c’è chi viaggerà e volerà, ma tendenzialmente (un po’ per le tasche, un po’ per la situazione sanitaria) l’estate 2020 sarà caratterizzata da vacanze brevi, vicine a casa e molto naturali.
Un’idea è quella di riscoprire il bello del campeggio, che ci permette di scovare anche zone meno battute. E se non possiamo proprio permetterci una vacanza, una semplice tenda può trasformare dei giorni noiosi a casa in una vacanza improvvisata! Basta piantarla in giardino (se non lo abbiamo sfruttiamo quello dei nonni o degli zii!), attrezzandosi a puntino proprio come se fossimo in campeggio, fingendoci avventurieri del passato!
E non vogliamo fare le cose per bene? Ecco quindi gli accessori perfetti per un perfetto campeggio in stile vintage!
Innanzitutto, qui trovate un articolo dedicato proprio all'attrezzatura ideale per il campeggio in famiglia. Dopodiché, ecco gli accessori in stile retro vintage più belli per campeggiare! Anche dietro casa.
Per trasformarci in piccoli esploratori, anche l’abbigliamento deve essere perfetto. Scegliamo quindi colori come il marrone, il verdone e il beige, come per questi pantaloncini per bambino o bambina di Amazon Essential (che costano solo 11 euro) o questa bellissima camicia beige in lino leggero (su Zalando).
Inimitabili, durevoli e comodissimi: i sandali Birkenstock con la chiusura sul retro sono perfetti per il campeggio (così come per ogni altra attività estiva).
In tela chiara, la classica amaca da appendere a due tronchi è bellissima, nonché comodissima e utile per le letture pomeridiane e i pisolini! Esistono anche le amache con supporto, perfette poi in giardino per tutta l'estate.
Le troviamo da Ikea o in ferramenta e sono bellissime: creano un’atmosfera perfetta nelle sere d’estate nel nostro campeggio.
Per i bagni nella piscina gonfiabile (qui trovate qualche ispirazione anche per quella!) serve un bel costume dal sapore retrò, proprio come questo con dei piccoli lamponi disegnati.
Questo non ha bisogno di presentazioni. Lo troviamo qui.
È piccino e non porta via spazio, costa poco (è possibile acquistarlo quii), è più semplice da suonare della chitarra (troviamo le lezioni base su YouTube!) e fa super atmosfera da campeggio suonando la sera tutti insieme!
E per quando non stiamo suonando ma vogliamo ascoltare la musica, ecco la perfetta radio (che è anche speaker bluetooth!).
Certo, nessun device sostituirà mai la voce di mamma o papà. Ma gli audiolibri sono comunque una risorsa magnifica per i bambini e le famiglie. Perché? Beh, perché sono un altro modo di fruire della lettura, un passatempo sano, divertente ed educativo che, se amato fin da piccoli, resterà con loro tutta la vita.
Tra gli strumenti più carini, intuitivi e curiosi c’è FABA, il raccontastorie che somiglia ad una piccola radio e che è pensato proprio per i bambini, con tanti piccoli Personaggi Sonori che accompagnano l'ascolto.
Ricordate i mangiadischi e le radio per musicassette di quando eravamo piccoli? Anche noi avevamo dischi e cassette con le storie, e quanto ci piacevano! Beh, siamo nel 2020, e l’esperienza si fa quindi più tecnologica e digitale, senza tuttavia perdere il sapore della manualità, dell’oggetto fisico e dell’esperienza dell’ascolto immersivo! Già, perché FABA ricorda proprio i vecchi, piccoli stereo che avevamo nelle nostre camerette.
Si tratta di un piccolo dispositivo audio creato da Maikii (un’azienda italiana) per i nostri bambini: riproduce infatti fiabe, filastrocche e canzoncine, grazie ai Personaggi Sonori appoggiati su esso. In che senso? Nel senso che oltre al dispositivo, i bambini hanno a disposizione le loro statuine, piccoli personaggi che appoggiati su FABA permettono di riprodurre le storie a loro collegate. Proprio come una piccola magia digitale!
E che personaggi troviamo? Ad esempio, recentemente è uscito Geronimo Stilton, che è diventato un piccolo raccontastorie con due nuove aavventure, “Il segreto della famiglia Tenebrax” e “Quattro topi nella giungla nera”. Ognuna delle due statuine una volta appoggiata a FABA narrerà una storia di circa cinquanta minuti pensata per i bambini dai cinque anni.
Ci sono poi Pinocchio, il Re Leone, le principesse, i mostriciattoli, Tea… Ma sono davvero moltissimi ed è bello scoprirne sempre di nuovi! Sul sito di FABA è possibile acquistare dei set, con il dispositivo FABA e alcune statuine assortite, oppure comprare direttamente le statuine che vogliamo, o, ancora, solo il dispositivo.
Il bello di tutto questo è la diversa esperienza di fruizione delle storie attraverso l’ascolto, ma anche l’autonomia del bambino, dal momento che FABA è pensato proprio per essere utilizzato dai bambini da soli, manipolando il personaggio e utilizzando i semplici bottoncini.
Come dicevamo, l’ascolto delle storie attraverso la voce di mamma e papà è insostituibile e fondamentale, ma lo è anche l’indipendenza in questo passatempo meraviglioso, ovvero la lettura: prima di sapere leggere e scrivere i bambini possono infatti avvicinarsi alle storie, ai romanzi e alle narrazioni proprio attraverso l’ascolto (anche quando noi non ci siamo o non possiamo!).
E pensiamo anche ai bambini con DSA: spesso la lettura su carta risulta per loro difficile, mentre l’ascolto permette loro di godere davvero delle storie che amano di più, facendo volare la fantasia e stimolando l’attenzione e la comprensione del testo!
L’appannamento degli occhiali sembra una questione frivola, ma non lo è. Già, perché per chi porta gli occhiali e la mascherina, questo tema è scottante: provate voi a portarli tutto il giorno, cercando di non appannare gli occhiali e tentando allo stesso tempo di respirare adeguatamente e di non abbassare la mascherina!
Ma qualche trucco per non appannare gli occhiali con la mascherina c’è, e non è così complicato come possiamo pensare! Insomma: non servono trattamenti di gran lusso per evitare la condensa sugli occhiali in questi mesi nei quali la mascherina può salvare la vita di moltissime persone.
La mascherina è uno strumento davvero necessario e fondamentale in questi mesi di pandemia mondiale da Covid-19. “Non è uno scudo che, al di là dei comportamenti individuali, garantisce l’«immunità» dal virus. Ma alla luce delle caratteristiche di Sars-CoV-2, tanto maggiore è l’uso che si fa delle mascherine quanto minore sarebbe la probabilità di ammalarsi di Covid-19": questo è ciò che fanno sapere dalla Fondazione Veronesi, che sottolinea anche come “proteggersi con la mascherina è una delle strategie più efficaci per ridurre il rischio di entrare a contatto con il coronavirus. Da qui le disposizioni fornite dal Governo italiano, che ha reso obbligatorio indossarle in ogni contesto in cui non si è certi di mantenere la distanza dalle altre persone”.
Tra i problemi, tuttavia, c’è l’appannamento degli occhiali (per chi li porta!). Già, perché la mascherina crea una sorta di camera di umidità che risale proprio verso il naso, sfociando poi nei canali accanto alle narici e finendo proprio lì, sulle lenti, che cominciano, appunto, ad appannarsi.
E non c’è posizione che tenga (se vogliamo tenere la mascherina correttamente): le lenti si appannano, punto. Ed è un fastidio davvero grande, se dobbiamo tenere la mascherina per molte ore al giorno.
E non siamo solo noi a soffrirne: anche i nostri bambini occhialuti hanno lo stesso problema. E la questione si amplia se pensiamo che ora andiamo verso l’estate e che anche gli occhiali da sole saranno sempre sul nostro naso.
Come non fare appannare gli occhiali con la mascherina, insomma? Le soluzioni sono due.
Per la prima, avremo bisogno di un po’ di carta igienica o di un fazzoletto di carta. In questo caso, è necessario avere una mascherina con tasca per il filtro, di quelle lavabili e riutilizzabili. Basterà piegare la carta igienica in un rettangolo abbastanza spesso (meglio avere almeno 6-8 veli) e inserirlo poi nella tasca del filtro, facendo attenzione a spingerlo bene verso il il naso. Non sotto, me proprio sul “cavallo”. In questo modo la carta assorbirà le goccioline di umidità prima che queste fuoriescano dalla mascherina depositandosi sugli occhiali!
Il secondo metodo è invece adatto a tutte le mascherine, quindi anche a quelle chirurgiche. Basterà, prima di indossare la mascherina, lavare le lenti degli occhiali con acqua e sapone. Lasciamo quindi asciugare le lenti all’aria, oppure tamponiamole con delicatezza con un panno o una salvietta. Questo creerà una sorta di patina protettiva che proteggerà gli occhiali dall’appannamento delle lenti per qualche ora!
Una domanda che molti genitori si fanno, soprattutto se fan dell’accumulo: ma i pannolini scadono? Quanto durano?
In realtà, sulle scatole la data di scadenza dei pannolini (spesso) c’è. Ma come per altri prodotti non cibari, quanto dobbiamo attenerci?
La domanda: “ma i pannolini hanno una data di scadenza?” sembra strana, ma è tra le più comuni. Già, perché volenti o nolenti sono molti i genitori che si trovano con l’accumulo di pannolini per i bambini in casa. Un po’ per risparmiare, un po’ per comodità (per non trovarsi senza pannolini nei momenti peggiori), un po’ perché, beh, “al massimo li teniamo per un futuro pargolo”.
La risposta alla domanda non la si trova sempre sulle confezioni di tutti i pannolini, perché, come per altri prodotti, solamente la data di produzione deve essere riportata per legge: la data che troviamo stampata riguarda quindi la data di confezionamento, e non quella di scadenza (anche se alcuni marchi riportano anche la scadenza).
Solitamente, si calcola che i pannolini resistano più o meno tre anni dall’apertura della confezione. Di conseguenza, meglio non utilizzare i pannolini che hanno oltre tre anni.
Ma come, non sono eterni? No, soprattutto se profumati o contenenti gel e creme (questi elementi sono infatti molto deperibili e se a contatto con la pelle del bambino potrebbero provocare arrossamenti e irritazioni).
Il rischio, invece, con i pannolini senza profumi e senza lozioni è un altro, ovvero che questi, dopo qualche anno, non assorbano come dovuto. E anche i materiali, in generale, potrebbero perdere le loro caratteristiche, provocando problemi alla pelle del bambino.
Il nostro consiglio, quindi, è quello di non fare mai scorte eccessive di pannolini, per due motivi: per non avere scatoloni sempre in mezzo alle scatole e per assicurare ai nostri bambini i prodotti migliori, che non siano nocivi sulla loro pelle.
E non è vero che non accumulando non possiamo risparmiare. Esistono infatti servizi, come quello offerto da Lillydoo, per sottoscrivere un abbonamento di pannolini, per riceverli a casa ogni mese senza restare mai senza, e regolando la misura in base alla crescita del bambino, evitando così di comprarne in eccesso e facendo sì che non rimangano in dispensa per anni. Se, infatti, il nostro bambino cambia taglia, semplicemente possiamo inviare indietro i pacchi ancora chiusi, cambiare la taglia e ricevere quelli nuovi a casa. Senza il rischio che scadano!
Per provare il servizio di Lillydoo possiamo addirittura chiedere un pacchetto prova al solo costo delle spese di spedizione, ricevendo così un pacco di pannolini super assorbenti della taglia di cui abbiamo bisogno e una confezione di salviette all’acqua!
Lo stomaco che brucia è una sensazione che molte persone sperimentano nel corso della vita, chi in maniera sporadica e chi in maniera continuativa. Quando l’acidità di stomaco diventa perenne, tuttavia, è normale cominciare a non sopportarla e a voler cercare di alleviarla e a trovare delle soluzioni.
A volte, tuttavia, le cause dell’acidità di stomaco non sono fisiche, ma mentali. In questi casi, è necessario riconoscere che ci troviamo di fronte ad una risposta psicosomatica del nostro corpo, in modo da uscire davvero dalla spirale dello stomaco che brucia.
In gergo tecnico, si parla di gastrite e di acidità di stomaco. In pratica, parliamo del classico bruciore di stomaco, di quella sensazione che incendia il centro del petto e che a volte si manifesta anche con altri sintomi che causano forte disagio: gonfiore ed eruttazioni.
Di certo, aiutare lo stomaco attraverso una buona e corretta alimentazione è il primo passo da percorrere per poter stare meglio. Eliminare tutti gli alimenti pesanti, grassi e raffinati, fa si che lo stomaco possa sentirsi più leggero.
La seconda regola è chiedere consiglio al proprio medico, che in base alla nostra storia clinica e alla nostra situazione attuale, ci saprà indicare quale può essere la terapia migliore.
Il terzo passo, tuttavia, è più mentale che fisico, ed è collegato alle emozioni che proviamo. Lo stomaco è infatti strettamente collegato al nostro cervello. Molto spesso, quando soffriamo di acidità la causa è proprio di natura psicosomatica. Se quindi, non esistono cause organiche legate a questo disturbo, è necessario analizzarsi dentro, cercando di capire quali siano le emozioni che causano questo problema.
Coloro che soffrono maggiormente di gastrite e acidità sono infatti le persone che tendono a non affrontare i problemi, che vogliono avere tutto sotto controllo, che sono stressate e che ingoiano bocconi amari (metaforicamente). Tutto questo stress e questa ansia si accumulano esattamente nello stomaco, diventando nocive.
In pratica, “inghiottire” emozioni fa sì che queste arrivino direttamente nello stomaco. C’è chi prova orticaria e irritazioni sul corpo, chi si ritrova con dermatiti inspiegabili, e chi invece sente questo bruciore costante alla bocca dello stomaco.
Di conseguenza, trovare la causa, ovvero l’emozione che teniamo ingabbiata nello stomaco, è davvero benefico, tanto a livello mentale quanto fisico. Le condizioni psicosomatiche, infatti, non sono solo mentali, non sono “immaginarie”, ma sono assolutamente reali e possono influenzare negativamente la nostra vita e la nostra salute.
Se la gastrite è psicosomatica, inoltre, non c’è farmaco che tenga e che faccia effetto: l’unico modo per liberarsene è davvero curare i problemi emotivi che la causano. Un buono psicologo saprà quindi aiutarci a tirare fuori queste emozioni e ad analizzarle, vivendole, piuttosto che negandole e inghiottendole.
Anche da soli, tuttavia, possiamo cominciare ad analizzarci, cercando di capire se al bruciore di stomaco si affiancano anche altre condizioni, come l’ansia, lo stress, l’aggressività o la nocività delle relazioni.
Anche il rilassamento, il training autogeno e la meditazione sono valide terapie personali che possiamo mettere in atto: respirare meglio, pensare di più a noi stessi e diventare consapevoli di ciò che abbiamo dentro e di ciò che abbiamo attorno può davvero fare miracoli per il nostro stomaco, che finalmente, allentando quella tensione che disturba la digestione, può ricominciare a lavorare in armonia.
L’alimentazione è un passaggio fondamentale della crescita e rappresenta essenzialmente il primo passo verso l’indipendenza del bambino, che dopo i primi sei mesi, attraverso lo svezzamento, può cominciare a nutrirsi da solo, piano piano. Essendo un passaggio così importante, lo svezzamento rappresenta quindi il primo gradino verso la costruzione dell’identità alimentare del bambino: non sottovalutiamolo, ma, anzi, cominciamo proprio da questo periodo a educare i bambini sul cibo e i nutrienti!
Cambiare abitudini è per l’essere umano qualcosa di davvero difficile. Soprattutto da adulto. Ecco perché è bene trasmettere abitudini sane e positive fin da bambini: ciò che diamo ai nostri figli è un bagaglio importantissimo, anche a livello di alimentazione. Un bambino che svilupperà un rapporto positivo ed equilibrato con il cibo fin dai primi anni di vita, infatti, avrà più possibilità di crescere diventando un adulto consapevole di ciò che mangia.
Partiamo dunque dallo svezzamento (o dall’autosvezzamento: le regole in questo senso non cambiano). La prima regola è quella di cercare sempre di rendere il tempo della pappa un momento positivo, familiare, libero da preoccupazioni (anche se le preoccupazioni, solitamente, ci sono, dal momento che i genitori stanno cercando di capire insieme al bambino le giuste quantità, la giusta frequenza, i giusti ingredienti…). Cerchiamo, poi, di proporre una pappa perfetta, che sia adatta ai bisogni del bambino e che sia - soprattutto! - sempre varia.
La varietà è infatti una regola d’oro per far sì che i bambini imparino ad apprezzare ciò che hanno nel piatto. Proporre fin da piccoli tanti sapori e tanti colori è quindi fondamentale.
Evitiamo poi le restrizioni obbligatorie perentorie, togliendo completamente zucchero, sale, bibite… Piuttosto che dire un perentorio “Non puoi averlo”, lasciamo che i bambini assaggino tutto, continuando però a proporre cibi sani ed equilibrati in tavola (e non solo a pranzo e cena, ma anche a colazione e a merenda). Sarà il bambino che costruirà il suo gusto. E, soprattutto, non sentendosi stretto nella morsa del “non puoi” non sentirà nemmeno così tanto la voglia di cibo pesante, zuccherato e saporito industrialmente.
Questo non significa assolutamente lasciare che i bambini mangino tutto (strafogandosi quindi di zucchero o cibo spazzatura). L’educazione alimentare, in questo senso, deve passare dall’abitudine e non dalla restrizione. In che modo? Semplicemente, continuando a proporre in tavola alimenti sani e variegati. A quel punto, anche i bambini si abitueranno allo zucchero della frutta e al sapore meno zuccherato delle nostre torte fatte in casa, trovando poi il gusto industriale e troppo dolce dei prodotti da forno confezionati troppo saporito. Apprezzeranno maggiormente dell’acqua con della menta piuttosto delle bevande alla menta piene di zucchero. Preferiranno piano piano le chips di verdura al forno alle patatine iper unte.
Questo non significa certo che abbandoneranno totalmente la voglia di junk food. È saporito, e non possiamo negarlo. Ma si abitueranno a così tanti sapori che quello sarà solo uno strappo alla regola, e non una voglia costante.
In allegato, un'interessante infografica sull'obesità infantile.
Diciamolo: è benefico anche per noi. Nel senso che durante il pisolino pomeridiano dei nostri figli riusciamo a prenderci un po’ di tempo per noi. C’è chi fa qualche faccenda, chi guarda la tv, chi sonnecchia, chi si fa una bella doccia… Ognuno ha il suo rituale. E quando i bambini sembrano non voler più dormire il pomeriggio? Il consiglio è quello di introdurre il “quiet time”, ovvero un momento di tranquillità pomeridiana che diventerà benefico tanto quanto il classico riposino.
Il riposino del pomeriggio non è solo benefico per i genitori, anzi. Lo è anche per i bambini! Che spesso se saltano il riposino impazziscono letteralmente. A dirlo è addirittura la scienza, che ci consiglia quindi di farlo sempre, se i bambini lo richiedono! Ma quando non vogliono più coricarsi nel pomeriggio?
Sembra che ad un certo punto, infatti, i bambini ritrovino l’energia e che non abbiano più bisogno di sonnecchiare nelle ore pomeridiane. In realtà, il bisogno di riposare resta, anche se cambia un pochino.
Ecco perché possiamo cominciare a pensare ad una modifica delle abitudini: al posto del pisolino, cerchiamo di introdurre i bambini al “quiet time”, ovvero ad un momento di tranquillità pomeridiana che può durare da qualche minuto a una mezz’oretta, durante il quale bambini e genitori cercano un angolino solitario per impegnarsi in una attività tranquilla e quieta.
Potrebbe essere leggere un libro, fare le coccole ad un peluche, giocare ad un gioco “silenzioso” e tranquillo… I bambini troveranno da soli l’attività che preferiscono. L’importante, è che sia davvero silenziosa e quieta. Idem noi adulti: possiamo leggere una rivista, un libro, farci un tè, riposare sul divano…
Possiamo farlo ognuno nella propria stanza, oppure (con i più piccoli, quando non vogliono proprio dormire), nella stessa, ma ognuno in maniera indipendente.
In questa maniera, si ristabiliranno le energie perse fino a quel momento durante la giornata (anche se in maniera diversa rispetto alla classica dormita), e si introdurranno i bambini al tema della solitudine e dell’indipendenza, situazioni in cui crescendo si troveranno spesso nella vita, e che dovranno saper sfruttare e godere. Questo avrà effetti positivi anche sulla capacità di problem solving, dal momento che con il passare del tempo essendo questo “quiet time” un momento di tranquillità per tutti i bambini tenderanno a non disturbare gli altri se non in caso di estremo bisogno, arrangiandosi da soli.
Tra gli altri benefici troviamo anche lo sviluppo della creatività (dal momento che da soli i bambini si devono impegnare a cercare un’attività da svolgere in solitudine e che sia tranquilla), dal momento che la noia porta ad essere molto più creativi rispetto a quando siamo iper stimolati. Lo prova, ad esempio, questo studio, durante il quale ai bambini fu chiesto di creare qualcosa con la pasta modellabile. I bambini senza istruzioni crearono sculture e opere molto più elaborate rispetto ai bambini ai quali erano state date alcune istruzioni.
Importante è anche il risvolto personale, nel senso che un momento di solitudine fa molto bene a tutti, e permette, anche ai bambini, di porre il focus su se stessi, guardandosi dentro.
Chi ha bambini testardi lo sa: arrivati ad un certo momento, ci si chiede se la testardaggine sia dovuta all’educazione trasmessa. Spesso, infatti, se nei primi anni si è riluttanti a dire “no” e propensi a permettere cose, i bambini faticano a capire dove sta il limite, diventando, appunto, più testardi della media.
Se quindi i vostri bambini (dopo aver passato i terribili due!) vi sembrano troppo testardi e vi state chiedendo se sia già troppo tardi per insegnare i limiti, non preoccupatevi: in realtà non è mai troppo tardi.
Dire “no” non è sempre sbagliato. E non serve dire “no” per insegnare il valore del “no”. Basta girare le frasi in modo da mostrare la positività della scelta. Invece di “non correre”, ad esempio, possiamo dire: “Qui è meglio camminare più lentamente”. Oppure al posto di “non puoi mangiare caramelle a pranzo” possiamo sostituire con: “A pranzo si mangia il cibo che troviamo in tavola, mentre le caramelle sono uno sfizio che ci concederemo più tardi”.
Insomma: non è vero che non utilizzare il “no” significa non mettere limiti e non insegnare ai bambini le regole che vogliamo seguano.
Detto questo, c’è anche chi questo “no” non riesce o non vuole dirlo. Non è così raro, e non è così strano: da genitori, sappiamo che spesso dire “no” è difficile, e per questo molti genitori si ritrovano a non dirlo quasi mai. Ritrovandosi tuttavia con bambini di quattro o cinque anni davvero testardi. Perché la conseguenza è proprio questa: che i bambini sentano che tutto è concesso loro, impuntandosi poi quando non ottengono ciò che vogliono, quando qualcuno va contro il loro pensiero o quando le cose non vanno come previsto.
La testardaggine di per sé non è un difetto, sia chiaro. È indice di una forte volontà e di una personalità decisa. Ma diventa un problema nel momento in cui i bambini utilizzano la testardaggine senza altri risvolti, ovvero senza mai ascoltare gli altri.
La prima regola per contenere questa testardaggine e per renderla qualcosa di positivo è quindi la comunicazione. Quando cerchiamo di dare dei limiti e dei “no” ai nostri figli, anche se ci fa male perché vediamo la loro reazione (spesso arrabbiata o triste), dobbiamo essere sicuri di ciò che imponiamo, spiegando allo stesso tempo le ragioni. È bene, infatti, mostrare che le regole e le decisioni sono prese per un motivo preciso, e non perché semplicemente la mamma o il papà hanno voglia in quel momento di dire “si fa così”.
Dobbiamo poi mostrare ai bambini che la loro rabbia e la loro tristezza non ci fanno stare male. Quando si intestardiscono su qualcosa, noi concediamo quella cosa, vero? Lo facciamo perché è naturale, ad un certo punto, evitare la tristezza dei nostri figli. Vorremmo che fossero sempre felici e sereni, e di conseguenza, anche inconsciamente, tendiamo a dire “sì” e a lasciare andare perché nel profondo scegliamo sempre la loro felicità. Quando i bambini vedono che fare qualcosa che non piace loro ci scombussola, tendono a impuntarsi su ciò che li rende felici per fare noi felici (anche se quella cosa sappiamo essere diseducativa). È un po’ un circolo vizioso. Se noi, al contrario, non mostriamo turbamento, loro captano qualcosa di diverso dalla preoccupazione e dalla tristezza. Percepiscono la bontà della regola. E si sentono allo stesso tempo sgravati dalla responsabilità di “essere sempre felici”.
Allo stesso tempo, è giusto che lasciamo loro vivere anche le emozioni negative, come la frustrazione. Quando non vogliono fare qualcosa, la frustrazione è il sentimento dominante. Ed è un sentimento che fa parte della vita. È normale volerglielo evitare, ed è per questo che diciamo “sì” davanti alle loro lamentele e ai loro scoppi. Ma dobbiamo imparare a fargli vivere le emozioni: lasciamo che capiscano cosa sia la frustrazione e che imparino a indirizzarla al meglio, senza che questa provochi accessi d’ira estremi.
In sostanza, quando i bambini sono testardi e non ascoltano, facendo ogni volta ciò che vogliono loro, dobbiamo imparare da genitori a dare dei limiti. Non è mai troppo tardi per farlo. Ma dobbiamo farlo. Perché ci saranno volte in cui possiamo mettere questi limiti, e altre volte in cui non riusciremo proprio, ma l’importante è che il bambino non sia sempre colui che prende la decisione.
Ci saranno esplosioni di rabbia, pianti e urla. È così, soprattutto all’inizio. Ma anche quelle sono emozioni, e dobbiamo prima di tutto essere noi genitori a riconoscerle come tali (se escono, significa che il bambino ha bisogno di esternarle), per poi farle riconoscere ai nostri bambini. Con decisione e senza paura di ferirli.
Com’è andato il lockdown per i bambini? Non a livello educativo, ma a livello di alimentazione e movimento. Sicuramente le abitudini sono cambiate, ma è difficile capire se i bambini siano ingrassati o meno (come fanno sapere su Ansa): come consueto, infatti, aumenta anche la loro statura (in pochi mesi si alzano molto!) e di conseguenza è difficile capire se il loro fisico ha risentito dei mesi di isolamento.
Tuttavia, certe cose sono variate senza dubbio, rispetto ai periodi “normali”. Ecco perché in ogni caso è bene riprendere in mano la situazione, puntando il focus su alimentazione e sport. In altre parole: come recuperare i mesi persi durante questo lockdown per assicurare ai nostri bambini uno stato di salute ottimale?
C’è chi ha riscoperto la buona cucina casalinga, sana e leggera; e chi, invece, ha puntato su delivery e cibi confezionati, perché stare in casa con i bambini e lavorare toglieva ogni energia. C’è chi ha fatto del movimento tutti i giorni, anche con i bambini, e chi invece non ha proprio avuto tempo.
In ogni caso, per quanto possiamo esserci impegnati, qualcosa nelle nostre abitudini è cambiato, e volenti o nolenti il movimento fatto è stato molto (ma molto!) meno del solito. Facciamoci caso: basta guardare i nostri smartphone, nelle app dedicate alla salute: i passi fatti durante il lockdown sono stati pochissimi. Idem le rampe di scale salite. E questi sono tutti movimenti che ogni giorno compiamo senza rendercene conto.
Anche l’alimentazione di certo è cambiata: se abbiamo preso nuove abitudini più sane, è bene mantenerle. Se invece abbiamo puntato sulla comodità, non disperiamo: non è mai troppo tardi per mettersi in riga. Soprattutto in estate, quando possiamo puntare sulla frutta più buona al posto degli snack confezionati e ridurre le quantità di cibo nei piatti (il caldo fa mangiare un po’ meno).
A darci qualche consiglio pratico è poi la professoressa Daniela Lucini, direttrice della Scuola di specializzazione in medicina dello sport ed esercizio fisico dell'Università degli Studi di Milano, che su Ansa ci parla proprio delle abitudini che dovremmo adottare in questi mesi estivi di post-lockdown:
“Adesso che i bambini e ragazzi sono ancora in casa e si ha tempo, si possono correggere errori e mantenere sane abitudini anche per il futuro. Andando incontro all'estate abbiamo la fortuna di avere tanta frutta e quindi la possibilità di sostituire brioche e dolciumi evitando zuccheri lavorati e raffinati, analogamente ad alimenti ricchi in conservanti, coloranti, come i salumi. Inoltre, se durante questi mesi si è mangiato di più perché ci si annoiava o c'era più cibo preparato dai genitori, bisogna correre ai ripari soprattutto perché nei ragazzi non è così facile capire l'aumento di peso visto che sicuramente saranno anche cresciuti in altezza”.
Per quanto riguarda il movimento, la professoressa Lucini raccomanda “almeno un'ora di esercizio fisico al giorno, ad esempio correre. In questo senso basterebbe andare al parco, giocare, camminare o andare in bici”. Bene anche i campi estivi e tutte le opportunità per non rinchiudere in casa i bambini.
Riassumendo, quindi: beviamo tanta acqua, mangiamo molta frutta (anche attraverso succhi e centrifugati freschi!), cerchiamo di uscire, fare movimento, giocare all’aperto, fare le scale, passeggiare…! E di divertirci in sicurezza.
Photo by Daniel Jurin from Pexels
Il lockdown ha portato con sé tante cose. Ansia, stress, riscoperta dei piccoli piaceri, riscoperta dell’ambiente domestico, riscoperta dei rapporti, abitudini stravolte… Positive o negative, le conseguenze sono moltissime.
Ma tra gli aspetti negativi, ce n’è uno in particolare che ci ha molto colpito e su cui dobbiamo porre la nostra attenzione: il consumo di plastica durante questi mesi di pandemia è tornato a livelli altissimi. Ma dobbiamo di nuovo cambiare rotta velocemente, se non vogliamo incorrere in tremende conseguenze.
La notizia l’ha riportata ieri Ansa: nella Giornata Mondiale degli Oceani, purtroppo dobbiamo tornare a parlare di plastica, con l’intenzione di porre nuovamente l’attenzione sugli aspetti negativi del suo consumo. Già, perché gli oceani ospitano l’80% delle specie viventi, ma sono minacciati proprio dalla plastica, a causa delle nostre cattive abitudini.
Le cattive abitudini di cui parliamo sono quelle relative all’utilizzo di oggetti usa e getta in plastica. Se fino ai primi mesi del 2020, infatti, l’usa e getta si stava riducendo (sostituito, nei casi inevitabili, dall’usa e getta biodegradabile), con il lockdown moltissime persone sono tornate sui vecchi passi.
Causa di questo aumento di consumo di plastica è stato il maggiore tempo rinchiusi tra le mura di casa. Stando in casa senza possibilità di uscire, si tende infatti a consumare molta più acqua in bottiglia (di plastica), a sfavore delle borracce riempite con acqua potabile del rubinetto.
“Nei tre mesi passati dall’inizio dell’emergenza coronavirus”, fanno sapere su Ansa, “una famiglia media di 4 persone, con un consumo medio giornaliero 2 litri di acqua (quantità consigliata) ha utilizzato ben 474,5 bottiglie da 1,5 l, pari a 18 kg di plastica. Questa scelta ha comportato l’impiego di 34,2 kg di petrolio utilizzato per la realizzazione del PET e 60,5 kg di CO2 frutto della produzione e del trasporto di questo quantitativo di bottiglie. Una famiglia di 3 persone, invece, ha consumato ben 356 bottiglie in PET da 1,5 litri in tre mesi, pari a 13,5 kg di plastica, 25,7 kg di petrolio e 45,4 kg di CO2”.
In azienda e fuori casa, tendenzialmente, usiamo quindi meno plastica. E stando a casa abbiamo visto come invece la plastica sia effettivamente moltissima (anche a causa della - normalissima! - pigrizia che ci ha preso durante questi mesi di lockdown): i contenitori della differenziata si riempivano velocemente e fino all’orlo, non è vero?
Ciò che questa notizia ci deve insegnare è semplice: dobbiamo tornare a pensare al nostro pianeta. Dobbiamo tornare a mettere in pratica le nostre abitudini green ed ecologiche. Dobbiamo fare più attenzione.
Le regole sono semplici, ma è bene rispettarle: facciamo sempre la raccolta differenziata; chiudiamo l’acqua del rubinetto mentre ci insaponiamo e ci laviamo i denti; cerchiamo di comprare frutta e verdura sfuse, non nella plastica, sfruttando borse in tela riutilizzabili; evitiamo gli imballaggi in plastica; al posto dell’acqua in bottiglia, scegliamo quella in vetro, oppure sfruttiamo le fontane potabili nei paesi e nelle città; scegliamo prodotti sfusi, come lo shampoo solido; evitiamo il sapone liquido nei contenitori in plastica a favore delle saponette incartate nella carta; usciamo sempre con una borraccia, evitando di acquistare bottigliette in plastica; sfruttiamo i programmi ecologici della lavastoviglie e della lavatrice; spegniamo sempre le luci non necessarie e i device tecnologici, non lasciandoli in stand-by…
Non sarà solo il nostro pianeta a ringraziarci; lo farà anche il portafoglio.
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