Fare giocare i bambini con ogni situazione atmosferica è importantissimo, oltre che divertente. Noi lo diciamo sempre: dovremmo mettere da parte i nostri timori e uscire con pioggia, neve o sole! Perché non è vero che il freddo fa ammalare. Basta coprirsi bene e il freddo diventa un alleato prezioso del sistema immunitario. E i bambini solo così svilupperanno un legame vero e profondo con la natura, che diventerà così uno sfogo dalla vita quotidiana per tutta la vita.
A darci man forte è un libro appena uscito ed edito da Babalibri. Si intitola "Il temporale" e tutti i bambini dovrebbero averlo nella loro libreria!
"Il temporale", scritto da Frédéric Stehr, è un libro bellissimo che possiamo leggere ai nostri bambini fin da piccolissimi. I disegni solo bellissimi, grandi e colorati (ma dai colori stupendi, non sparati!), e con poche parole trasmette un messaggio meraviglioso e importante: che il gioco all'aperto è sempre, sempre, sempre una buona idea!
I protagonisti sono un gruppo di animaletti che insieme alla loro maestra si trovano chiusi in classe in un giorno di pioggia. La maestra ha una bellissima idea: perché non provare tutti insieme a danzare?
Scarpette sui piedi, tutti, dopo la prima coraggiosa bimba che si mette a ballare (anche se tra le risate degli altri, ancora vergognosi), si impegnano, tutti provano ad esibirsi davanti agli altri. E già qui, pur non essendo il messaggio principale, ciò che i bambini imparano è la bellezza delle differenze: non solo tutti i piccoli uccellini sono diversi tra loro ma ognuno propone la sua idea di ballo con gli altri che lo guardano. Ma Paloma, la piccola protagonista che per prima con il suo tutù si è esibita di fronte ai compagni, è sparita. Dopo le risate è uscita triste triste dall'aula e non la si trova più.
Fuori, intanto, continua a imperversare il temporale. Già, Paloma è proprio là fuori! Che balla scatenata sotto la pioggia! "Non c'è niente di meglio della pioggia per calmare gli animi", pensa la maestra. E anche i bambini si rendono conto della bellezza dell'idea di Paloma!
Mettono da parte la diffidenza iniziale, si uniscono alla compagna prima derisa e si divertono tutti insieme sotto la pioggia.
Una storia semplicissima, dunque, che si dipana lungo le pagine colorate del libro con pochi dialoghi e molto movimento. Ai bambini piace moltissimo: imparano a memoria i dialoghi letti da noi (e sarà utile per imparare a leggere!), interpretano le emozioni dei paperotti e si immedesimano in loro. Perché lo sanno che pozzanghere e pioggia sono sempre divertentissime! E questo libro li sprona a non darsi mai limiti quando si tratta di gioco libero.
Sara Polotti
Lo stress, la convalescenza, gli antibiotici… Moltissimi sono i motivi per i quali il nostro intestino fa i capricci! E tra le cause più diffuse e frequenti c’è sicuramente il cambiamento d’ambiente. Ecco perché non appena mettiamo piede in hotel o nell’appartamento che ci ospiterà durante le vacanze la pancia (nostra e dei nostri bambini!) comincia a dare problemi.
Il fastidio più frequente è certamente la diarrea, che se ci colpisce in vacanza rischia di compromettere tutti i giorni di relax che ci attendono… Ma a volte basta davvero pochissimo. Basta rispondere con ciò che il nostro intestino ci chiede, e cioè con quegli elementi che favoriscono la flora intestinale buona, i fermenti probiotici!
Vi avevamo già parlato della differenza tra probiotici, prebiotici, simbiotici e fermenti lattici.
L’importanza dei probiotici per la salute dell’intestino è vitale: i probiotici sono sostanze non digeribili dall’intestino che aiutano la crescita e la proliferazione dei batteri all’interno del colon. Questi contribuiscono a sviluppare la microflora batterica.
Attraverso una dieta equilibrata e sana (ricca di verdura) questi probiotici possono essere già acquisiti, ma in certi momenti della nostra vita (come dicevamo quando cambiamo ambiente o alimentazione, quando siamo in convalescenza, quando siamo reduci da antibiotico o quando mangiamo male) scarseggiano.
Ecco quindi che gli integratori di probiotici ci vengono in aiuto, sopportandoci e aiutandoci a fare incetta di queste sostanze fondamentali per il nostro benessere. Soprattutto prima delle vacanze, è quindi utile pensare ad un integratore specifico. Tra quelli qualitativamente migliori, ci sentiamo di consigliarviBrefovil 10 flaconcini di Sakura Italia, che è perfetto anche per gli intolleranti al lattosio (essendone privo, a differenza di molti altri integratori di fermenti lattici o probiotici che invece ne contengono).
La confezione contiene dieci flaconcini (al gusto di lampone, amatissimi dai bambini! Ve lo possiamo assicurare), quantità ottimale per prepararsi alle vacanze nei giorni precedenti: ne basta uno al giorno per supportare la flora batterica intestinale che potrà così arrivare al mare o in montagna forte e protetta! Utilizzandolo poi durante il viaggio ci assicuriamo un periodo di svago e relax senza doverci preoccupare dei classici disturbi intestinali. Il nostro intestino ci ringrazierà!
Brefovil, poi, contiene non solo i fermenti probiotici Lactobacillus rhamnosus SP1-DSM 21690 (3 miliardi!), ma anche lo zinco e la vitamina D3. Questo sale minerale e questa vitamina rendono Brefovil ancora più utile, perché contribuiscono al mantenimento ottimale della normale funzione del sistema immunitario, che ne esce così rafforzato (e rischiamo meno malanni in vacanza!).
Iniziamo a pensare ai probiotici, dunque, non solo nei casi in cui sono strettamente necessari (e cioè durante i trattamenti con antibiotici, durante un periodo di alimentazione sregolata o in caso di colite, diarrea o gonfiore), ma anche per prepararci alle vacanze o ai periodi particolarmente stressanti!
Giulia Mandrino
L’estate è fatta per svagarsi, ma è indubbio che le nostre testoline cominciano già a frullare pensando all’inizio del nuovo anno scolastico. Che spesso coincide anche con l’inizio dell’anno sportivo, ovvero i nostri bambini cominceranno o continueranno la loro attività sportiva in concomitanza con l’inizio della scuola.
Che siano alla materna, alle elementari o alle medie, noi genitori iniziamo a pensare quale sia lo sport giusto per loro. E spesso ci concentriamo su preferenze in base al gusto, più che all’effettiva necessità. Con questo vogliamo dire che ci sono sport più o meno adatti in base all’età. Ecco quindi una semplice guida per capire meglio quale sport scegliere per i nostri bambini.
Innanzitutto, dobbiamo essere consapevoli di una cosa: l’attività fisica è sempre importantissima, anche dai primi anni di età. La Società Italiana di Pediatria ha anche stilato una utilissima infografica, la Piramide dello Sport, che ci mostra benissimo la quantità di attività che i nostri bambini dovrebbero svolgere quotidianamente e settimanalmente.
Detto questo, quali sono gli sport più adatti in base all’età dei nostri bambini?
Prima di concentrarci sui singoli sport è bene sapere che c’è un’età giusta per le attività individuali e una giusta per gli sport di squadra. In altre parole: nei primi anni di età i bambini dovrebbero concentrarsi su attività individuali, come ad esempio il nuoto o dell’atletica leggera pensata apposta per i più piccoli. Questo perché nei primi anni di vita (diciamo fino ai 5 anni di età) lo sport dovrebbe essere incentrato sulla conoscenza e coscienza del proprio corpo in relazione allo spazio. Fare attività fisica da piccolissimi (in età prescolare) dovrebbe essere quindi uno strumento in più per stimolare equilibrio, capacità motorie, percezione del corpo nello spazio e propriocezione.
Una volta raggiunta l’età scolare, quindi, possiamo cercare sport di squadra per bambini. A questa età, infatti, non serve più solo stimolare la percezione fisica ma è bene anche cominciare a spingere il bambino alla collettività, attraverso uno sport che coniughi divertimento, impegno fisico e spirito di squadra (che servirà per tutta la vita, anche sul lavoro). Prima dell’età scolare i bambini ancora non comprendono il concetto di “lavorare tutti insieme per raggiungere un risultato” e quindi spingerli in questo senso sarebbe un po’ controproducente.
Per quanto riguarda i singoli sport, quindi, possiamo stilare una lista dei più adatti in base all’età (naturalmente è un consiglio e non un obbligo).
Il nuoto è certamente una scelta ottima, poiché (non è solo un luogo comune ma una verità!) è davvero molto completo e poiché l’acqua è un ambiente nel quale i bambini si trovano assolutamente a loro agio.
Anche l’atletica leggera, come dicevamo, è efficace, perché il bambino si concentra moltissimo sul suo corpo e sulla coordinazione. Esistono corsi per i più piccoli per spingerli a provare la marcia, i salti, i lancia o la corsa.
Anche la semplice ginnastica (così come lo yoga per i bambini) è consigliatissima, perché coinvolge il corpo nella sua interessa e può aiutare il bambino a concentrarsi su ogni parte del corpo stimolando la percezione fisica e la coordinazione neuromotoria.
Ora si possono cominciare gli sport di squadra e le attività collettive. Il calcio va per la maggiore ed effettivamente le scuole calcio per i bambini ormai sono molto qualificate.
Ci sono poi la pallavolo, il basket, il rugby…
Per quanto riguarda gli sport individuali i bambini possono ora cominciare ad impegnarsi in attività più precise e impegnative, come ad esempio lo sci (che si può iniziare fin da piccolissimi), il ciclismo, le arti marziali, la ginnastica artistica, la danza, lo skateboard (come sappiamo, uno sport forse poco considerato ma importantissimo)…
Qui ci si può specializzare ancora di più lasciando che i bambini provino sport ancora più specializzati come ad esempio il tennis, la scherma, il tiro con l’arco…
In ogni caso è bene seguire sempre la propensione, la capacità e la voglia del bambino. E nel caso di sport impegnativi per la schiena (come danza e ginnastica artistica) è buona cosa seguire almeno una volta alla settimana un altro sport che aiuti a ridistribuire l’impegno su tutto il corpo, come ad esempio il nuoto.
Non solo: tenendo sempre a mente la piramide dello sport, è utile spronare sempre i bambini e abituarli a fare attività fisica quotidiana, non solo attraverso lo sport più puro ma anche scegliendo tutti insieme uno stile di vita sano e attivo. Si può andare a scuola in bicicletta o a piedi lasciando a casa la macchina (e fa benissimo anche all’ambiente!), prendersi i weekend per fare passeggiate in famiglia, aiutare con i lavori domestici (come sappiamo un’attività fondamentale!), giocare liberamente in spazi aperti…
Giulia Mandrino
“Il matrimonio è la tomba dell’amore”: una frase che fa già venire l’orticaria. Per non parlare dei luoghi comuni che saltano fuori nel 90% delle conversazioni quando si ha un figlio (soprattutto nel caso del primo): “Vedrete, non avrete più tempo per voi come coppia”. “Il romanticismo? Sarà un ricordo lontano”. “Fate sesso adesso perché poi vedrete…”.
Ma è davvero così? No, se si prendono le cose con il giusto impegno. Se si decide come coppia che non è giusto lasciarsi indietro. Se ci si capisce e si è in sintonia abbastanza per non ascoltare questi stereotipi.
Gli stereotipi sono sempre pericolosi (e, secondo noi, ormai noiosi: non è ora di cambiare vento?). I più comuni riguardano il matrimonio, visto, anche nelle più squallide battute, come la tomba del sesso e dell’amore. Per non parlare di quando arrivano figli: lì le battutacce si sprecano. Ma è proprio vero tutto ciò che vogliono farci credere?
No, non è così. Ma è facile cadere nel tranello, perché, certo, è vero che la vita viene stravolta, che i tempi cambiano e che le priorità trovano un nuovo equilibrio. Ma in questo equilibrio il romanticismo c’è e l’amore si è moltiplicato. Basta prestare un briciolo in più di attenzione. Perché sarà in cose nuove che troveremo questo amore e questo romanticismo.
Lo troveremo ogni mattina nella quale ci svegliamo in una casa silenziosa, con i bimbi che dormono e il nostro compagno al nostro fianco, stretti in una coccola tranquilla che ci godremo ancora di più rispetto a prima.
Lo troveremo alla sera, anche solo per cinque minuti perché poi crolleremo, con i bambini a nanna e il letto (magari solo per un attimo!) tutto per noi.
E sarà anche in tutte le piccole cose: negli sguardi e nei baci rubati durante il giorno, nei messaggini. Ma soprattutto sarà in quelle cose che ci saremmo persi se non avessimo avuto figli, come la cura del nostro partner nei confronti dei bambini, quando magari non sa che stiamo guardando, o nell’ammirazione reciproca nel vedersi in questo nuovo ruolo, diverso da tutti quelli che abbiamo interpretato nella nostra vita.
Il romanticismo, insomma, non muore. Basta saperlo e basta volerlo. Basta cercare di ricordarsi sempre che si è una coppia oltre che genitori.
E se il timore è quello che l’amore non basterà per tutti, che i bambini si prenderanno un po’ di quello che prima era solo per il loro papà o per la loro mamma, non avete idea di come si moltiplicherà questo amore, diventando abbastanza per tutti. Perché è proprio da questo amore che una coppia fa nascere (nella pancia o nella mente!) un nuovo bambino.
Questo amore che sa trasformare una famiglia di due persone in un nucleo molto più grande è capace di espandersi, ed è così che lo dimostra. Diamogli fiducia, innanzitutto, ma cerchiamo anche di vederlo, cercarlo ogni giorno nelle piccole cose, scovarlo nei momenti più strani!
Giulia Mandrino
Bimbe che giocano con le Barbie, bambini impegnati al gioco del meccanico: siamo abituati a questo, non è vero? Le pubblicità e le confezioni di giocattoli parlano chiaro: ci sono giochi per femmine e giochi per maschi. Ma perché le nostre bambine non dovrebbero trovarsi a proprio agio a costruire con i mattoncini e i nostri bimbi provare a inseguire il loro sogno di diventare cuochi con la loro cucina giocattolo?
“Let’s toys be toys” lo sa bene: nel gioco non esiste genere. Ma la nostra società ancora lo concepisce per compartimenti stagni. Grazie ad una campagna, però, questo potrebbe cambiare.
La nostra società è ancora convinta di una cosa: se una bambina preferisce mettere i pantaloni e giocare con le Lego viene etichettata come maschiaccio, e se un bambino si diverte a preparare torte con la sua cucina in miniatura è per forza gay o effemminato. Ma siamo sicuri sia così? Nel nostro piccolo, quando eravamo bambini non c’era un gioco etichettato come maschile o femminile che ci piaceva nonostante tutto?
I giocattoli, dopotutto, servono solo ad una cosa: a crescere. A imparare. A provare. A far correre l’immaginazione. Perché quindi i bambini non dovrebbero sentirsi liberi di giocare con quello che gli pare e piace a prescindere dai pregiudizi?
Qualcuno finalmente e fortunatamente se ne è accorto: “Let’s toys be toys” è una realtà che cerca di promuovere tra le società produttrici di giocattoli, tra i rivenditori e tra i pubblicitari una nuova idea di giocattoli, per giungere ad un punto nel quale i giocattoli (e i libri per bambini) non siano più etichettati per genere, ma semplicemente descritti per il divertimento che portano e per lo stimolo che danno ai nostri bimbi.
“Let’s toys be toys” è nata grazie ad un gruppo di genitori del sito “mumsnet” che, frustrati dal vedersi sempre propinare pubblicità estremamente improntate sul genere specifico dei giocattoli, hanno deciso di creare una campagna marketing per cercare di abbattere gli stereotipi. Partendo dalla radice. Perché certo che possiamo dare ai nostri bambini i giocattoli che preferiscono, ma il problema societario parte dal marketing che sta a monte.
Attraverso una raccolta firme su change.org l’associazione sta riuscendo a portare il suo messaggio ai produttori e ai rivenditori di giocattoli, e finora sono già molte le aziende che hanno aderito, da The Entarteiner a Boots fino a Debenhams, che nei loro negozi hanno eliminato le sezioni “Maschi” e “Femmine”. Anche John Lewis ha rimosso dai suoi cataloghi e dal suo sito la sezione boy e girl relativa ai “suggerimenti per i regali”: in effetti chi lo dice che una bambina vuole proprio una bombola al posto del Meccano o che un bimbo preferisce le macchinine al posto dei glitter per i lavoretti o dell’aspirapolvere giocattolo?
Tutto questo ha l’obiettivo di rendere l’industria dei giocattoli più inclusiva. Se i bambini non vedono etichettati i loro giocattoli ci giocheranno più volentieri, divertendosi senza sentirsi a disagio.
La strada è ancora lunga, certo: da una loro ricerca del 2017 è emerso che gli stereotipi sono ancora super presenti nei cataloghi di giocattoli, con i bambini rappresentati di più a giocare con le macchinine e le bambine a giocare con le bambole. Il 97% dei bambini intenti a giocare con le pistole giocattolo erano maschi, le bambine erano quasi sempre rappresentate con giochi “domestici” come la cucina o il prendersi cura di una bambola.
Anche nel caso di giocattoli ormai considerati per tutti: quasi solo le bimbe sono fotografate con strumenti artistici e quasi solo i maschietti con le costruzioni.
Ma i genitori di “Let’s toys be toys” non hanno preso in considerazione solo i cataloghi: nel 2015 hanno studiato le pubblicità in tv (trovando un netto contrasto tra i modi nei quali i giochi “per maschi” e “per femmine” vengono rappresentati, così come quello tra i linguaggi); nel 2014 hanno osservato i siti web di giocattoli, notando che la distinzione tra “maschi” e “femmine” è ancora molto presente (sebbene in misura minore rispetto al 2014).
Cosa possiamo fare se ci piace questo loro impegno? In primo luogo cercare di sensibilizzare a nostra volta chi troviamo sul nostro cammino. Iniziamo parlandone con i commercianti di giocattoli della nostra città: magari nemmeno loro si rendono conto della cosa!
Possiamo poi firmare le loro petizioni. Ce ne sono una relativa ai giocattoli e una dedicata ai libri per bambini.
Infine, possiamo donare qualcosa per la loro causa, dal momento che il lavoro è svolto esclusivamente da volontari. Basta andare sulla pagina dedicata e donare anche solo una piccola quota!
Giulia Mandrino
È una tradizione che molti genitori seguono spesso: il regalo alla fine dell’anno dopo aver ricevuto la pagella dei figli. Che sia perché sono stati semplicemente promossi o perché hanno voti altissimi, non c’è un criterio uguale per tutti, perché c’è chi (soprattutto alle superiori) rischia una bocciatura e alla fine la scampa, oppure chi è riuscito nel suo intento di avere tutti 10 in pagella. Sono i genitori a sapere qual è il risultato da premiare.
Ma questa tradizione contiene in sé delle insidie e dei rischi. Non tanto per il gesto, che può essere molto carino, ma per il messaggio che si nasconde dietro.
Vediamo quindi quali accortezze prendere e come non rischiare che il premio per la promozione possa rivelarsi controproducente.
Perché diciamo controproducente? Semplice, perché con il regalo per la promozione rischiamo di fare entrare i nostri bambini in un meccanismo che li porta ad associare solo i voti con il successo. Quando sappiamo che in realtà non è così, perché il voto è semplicemente un metodo di valutazione non per identificare qualcuno come “bravo” ma per capire i limiti e i pregi scolastici dei nostri figli. Un brutto voto, insomma, non significa “non hai fatto il tuo dovere” o “stai fallendo come persona”, ma semplicemente “devi impegnarti di più perché in questa materia ancora non hai capito come muoverti”.
Di conseguenza premiare semplicemente in base al voto non ha molto senso. Soprattutto, non ha senso utilizzare il regalo come premio o ricatto: in troppi ancora spingono i figli a studiare di più con la promessa di uno smartphone, un videogioco, una bicicletta o quant’altro, negando poi questo premio nel momento in cui i voti deludono. Quasi per forza poi i bambini assoceranno la scuola e lo studio con qualcosa di stressante, ma soprattutto vivranno il brutto voto come un fallimento non tanto scolastico ma personale.
Oltre a non promettere regali solo in caso di “vittoria” è quindi bene anche cercare di non vivere (da genitori) e far vivere ai nostri figli i brutti voti come qualcosa di negativo, reagendo con rabbia. Dovremmo invece sfruttare il brutto voto come un’opportunità per capire la direzione da prendere.
Certo, da genitori sapremo anche capire a fondo quando si tratta di un brutto voto con risvolti positivi oppure menefreghismo: l’impegno deve esserci sempre, e quando i figli palesemente non ci mettono nemmeno un briciolo di volontà allora la frustrazione e la rabbia sono quasi inevitabili. Ma, di nuovo, dobbiamo fin dai primi anni di scuola essere in grado di misurare le nostre reazioni.
Alla fine, quindi, il regalo per la promozione può essere qualcosa di positivo, ma solo se compreso e se proposto con il giusto spirito. Può essere un regalo per l’impegno e non per i voti, innanzitutto: magari alla fine in quella materia ostica sono riusciti a portare a casa solo un 6, ma sappiamo che è stato un 6 faticato e pieno di impegno. Idem per i voti alti: sappiamo quanto ci tenevano e siamo orgogliosi di loro. Ma l’orgoglio deve esserci sempre, a prescindere dal voto singolo e preso così com’è.
Scegliamo poi un premio più simbolico che materiale. In questo modo ad essere valorizzato sarà il sentimento d’amore e orgoglio che proviamo più che il “ce l’hai fatta allora ti meriti un premio alla tua altezza” (che, nel caso di voti bassi o fallimento significa, nella testa del bambino o del ragazzo: “I tuoi voti a scuola mostrano che TU sei un fallimento e quindi non te lo meriti”).
Infine, importantissimo, è doveroso evitare sempre di identificare il regalo come un premio o, al contrario, un ricatto: diciamo stop ai soliti “Se verrai promosso ti regalo la bici”. In questo modo i bambini vivranno la scuola in maniera più armoniosa e più seria. E il regalo potrà essere davvero qualcosa di positivo, non per il voto in sé o per la promozione, ma per l’impegno che ci hanno messo durante tutto l’anno.
Giulia Mandrino
Che l’amicizia sia benefica è un dato di fatto: circondarci di persone che ci fanno stare bene non fa bene solo alla nostra persona ma anche alla nostra famiglia intera, perché stare bene con noi stessi e con chi ci sta intorno si ripercuote positivamente su tutta la nostra sfera affettiva.
Un recente studio ha però fatto luce su un altro aspetto dell’amicizia. Non è solo l’amicizia personale ad essere benefica, ma anche quella di coppia.
In altre parole: se una coppia ha amici in coppia con cui si trova bene, e se questi amici in coppia sono a loro volta una coppia stabile e armonica, allora questo rapporto ha effetti positivi sulla relazione. Ma vediamo meglio perché.
Nello studio si parla di coppie sposate, ma possiamo tranquillamente estendere i risultati alle coppie in generale. I risultati di questa ricerca condotto dall’University of Maryland Baltimore, condotta da Geoffrey Greif e Kathleen Holtz Deal, sono stati pubblicati su un libro, “Two plus two: couples and their couple friendship”, e sono stati ripresi dalla rivista Psych Central.
La teoria dei due autori è la seguente: secondo loro le coppie più felici e armoniose sono quelle che vanno d’accordo su come passare il proprio tempo di coppia e con gli altri. E che passare il proprio tempo libero con altre coppie con cui si va d’accordo influisce molto positivamente sulla vita di coppia.
Ad essere prese in considerazione sono state 123 coppie, 122 persone singole e 58 persone divorziate. Dalle loro storie si evince che l’amicizia tra coppie segue svariate vie: c’è chi preferisce passare del tempo con coppie con interessi simili e simili per provenienza, oppure chi porta il partner verso un’amicizia perché molto amico di uno dei due dell’altra coppia. C’è chi va in vacanza insieme, chi cena spesso in compagnia, chi trova nella coppia amica un terreno fertile per conversazioni profonde e chi invece si svaga senza pensieri.
E poi ci sono tre tipi di coppie in queste relazioni: c’è quella che cerca l’amicizia con altre coppie, estroversa e sempre volenterosa di fare nuove amicizie; c’è quella con molti amici, soddisfatta e quindi meno propensa a cercarne di nuovi: e poi c’è chi è più chiuso, con poche coppie di amici e nessuna intenzione di cercarne altri. Insomma, proprio come nelle relazioni amicali tradizionali, di persone singole.
Nel libro le storie sono ben spiegate dagli stessi soggetti della ricerca, che raccontano i propri rapporti con le altre coppie. E già di per sé è molto interessante, poiché solitamente quando si parla di amicizia di parla di amicizia tra singole persone adulte oppure tra gruppi di bambini, e mai di gruppi di adulti che restano amici per moltissimo tempo. Ancora più interessanti però sono i risultati ai quali i ricercatori sono giunti.
A loro parere, una buona amicizia di coppia, armoniosa e sana, rende un matrimonio (o comunque una relazione stabile tra adulti) più soddisfacente. Perché? Perché pare incrementare l’attrazione tra i partner, dal momento che il confronto con le altre coppie fa emergere moltissimi aspetti della vita e della persona che altrimenti rimarrebbero sopiti.
Anche l’osservazione del rapporto delle altre coppie porta a benefici, perché ognuno ha le sue dinamiche, le sue negoziazioni, il suo modo di risolvere i problemi e il proprio modo per comunicare affetto. E, come sappiamo, il confronto è in generale nella vita un aspetto molto importante per crescere come persone (e come coppie, in questo caso).
Certo, ci sono argomenti che sembrano tabù e che nemmeno in queste amicizie solide vengono trattati con leggerezza o tranquillità (come il sesso o i soldi). Ma in generale sono relazioni molto aperte e sincere, soddisfacenti e ricche si spunti di crescita!
Giulia Mandrino
Il “Non piangere” ci balzerebbe alla bocca sempre come prima opzione. Ma spesso, e siamo certe che lo sapete per esperienza, dà proprio l’effetto contrario, vero? Non solo: spesso il “non piangere” fa scattare nei bambini un disagio ulteriore rispetto a quello che già stanno vivendo. Perché sentire questa frase li fa sentire incompresi, come se mamma e papà intendessero il pianto semplicemente come un capriccio, quando in realtà la maggior parte delle volte un pianto di un bambino non è per niente un capriccio, ma una risposta fisiologica del corpo e della mente nei confronti di una situazione che li fa soffrire, fisicamente o, soprattutto, emozionalmente.
Il pianto, infatti, è esattamente un modo del nostro corpo per esternare un disagio, un sentimento forte. E cercare di fermarlo è controproducente. Pensiamo solo a noi stessi: non stiamo molto meglio dopo un pianto liberatorio? Lo stesso accade nei bambini.
Ecco perché dovremmo cercare di lasciare che lascino scorrere le emozioni, ma soprattutto perché dovremmo tentare di reprimere la nostra (legittima!) voglia di dire “smetti di piangere” per concentrarci invece su un approccio meno aggressivo e, ve lo assicuriamo, più efficace.
Il pianto, come dicevamo, è un modo con il quale il corpo esterna i sentimenti ed è un modo con il quale l’essere umano chiede aiuto. Un pianto, quindi, è quasi sempre una richiesta di qualcosa e fare capire al bambino che comprendiamo bene come si sente in quel momento è il primo passo verso la calma: il bimbo si sentirà più sicuro.
La sicurezza non la si raggiunge solo facendo capire che comprendiamo lo stato d’animo ma anche offrendoci, offrendo il nostro aiuto. Facciamo sentire che ci siamo.
Allo stesso modo, mostriamo empatia, facendo capire al bambino che siamo lì con lui, che proviamo anche noi tristezza, arrabbiatura o altre emozioni nei confronti della causa scatenante.
Non diamo per scontato che la bua non faccia male o sia “finta”. A volte non fa per niente male ma provoca disagio o emozioni forti e anche se non c’è alcun graffio il bambino sta davvero soffrendo, da qualche parte.
Il dialogo è sempre molto importante con i bambini e proprio come un pianto liberatorio può aiutare non solo a calmarsi ma a crescere, poiché ogni situazione è potenzialmente un insegnamento per la vita. Parlare di ciò che sta accadendo, di come lo fa sentire e di come si potrebbe affrontare il fatto è davvero efficace e benefico (per tutti).
A volte il pianto è dato dal non ottenere qualcosa che in quel momento si vuole estremamente. Non è giusto mollare sempre la presa concedendo quella cosa solo perché il bimbo sta piangendo. Certo che in quel momento è arrabbiato e prova emozioni che lo scombussolano, ma siamo noi i genitori ed è giusto mostrare che in quel momento no, non si può proprio.
A volte impuntarsi per partito preso non funziona, anche perché i bambini non capiscono che il “no” provenga da una necessità che noi adulti comprendiamo. Coinvolgiamoli, quindi, e spieghiamo tranquillamente perché in quel momento le loro proteste non porteranno ad una concessione. Inizialmente il pianto forse non cesserà, e nemmeno il broncio, ma pian piano capiranno anche loro che non sono semplici prove di autorità, le nostre, ma che dietro l’educazione c’è sempre un motivo valido.
Giulia Mandrino
In questi giorni ci è capitato un libro tra le mani. Lo abbiamo aperto e non lo abbiamo più posato, leggendolo e rileggendolo insieme ai nostri bambini. Perché ci siamo rese conto che un libro così non esisteva e a nostro parere dovrebbe essere un vademecum presente in ogni casa!
Adottare uno stile di vita sostenibile è infatti semplicissimo, ma solo nel momento in cui c’è qualcuno che ti guida mostrandoti la facilità dei gesti che possiamo compiere ogni giorno, magari non stravolgendo la nostra vita e non salvando da soli il nostro pianeta, ma cominciando attraverso piccoli passi e leggeri cambi di abitudini che fanno davvero la differenza!
“La famiglia zero rifiuti (o quasi)” è un bestseller in Francia e speriamo che anche qui da noi possa entrare in quante più abitazioni possibile (uscirà tra pochissimi giorni, il 14 giugno!): che ne dite di provare tutti a diventare una Famiglia Zero Rifiuti?
Ormai è innegabile: il nostro pianeta piange, soffre, ed è solo colpa nostra. Fortunatamente siamo tutti più consapevoli di questo rispetto al passato e chiudere un occhio scatena degli ovvi sensi di colpa. Dall’altra parte ci sono però un sacco di paure che ci allontanano sempre di più dall’intento di adottare uno stile di vita sostenibile: si pensa sia costoso, faticoso, per niente comodo, un po’ hippie, un po’ esagerato. Niente di tutto questo: vivere in maniera green è più semplice di quel che pensiamo. Soprattutto, non dobbiamo per forza stravolgere la nostra vita, ma scegliere gli aspetti delle nostre giornate che possono essere tranquillamente cambiati e pian piano diventare più verdi ogni giorno che passa.
Jérémie Pichon e Bénédicte Moret ce l’hanno fatta. Sono riusciti, con i loro figli, a diventare una famiglia Zero Rifiuti (anche se, come dice il titolo, lo sono “quasi”: la perfezione non esiste!) e della loro esperienza hanno fatto un blog e un libro, edito in Italia da Sonda, casa editrice che ci piace molto perché, molto attenta ai diritti di tutti e all’ambiente, propone ai bambini e alle famiglie letture leggere ma al contempo importantissime.
Insomma, “La famiglia zero rifiuti (o quasi)” racconta prima di tutto della sfida accolta dalla famiglia di Jérémie e Bénédicte, che hanno ridotto del 91% in un anno i rifiuti non riciclabili, per portarci poi all’interno di una specie di manuale per aiutarci a diventare sempre più green, riducendo al massimo i rifiuti proprio come sono riusciti a fare loro.
Tutto è nato da una considerazione: perché, nonostante lo stile di vita il più ecosostenibile possibile, i rifiuti continuavano ad essere moltissimi? Non solo quelli riciclabili, ma soprattutto quelli indifferenziati, quelli che alla fine terminano il loro viaggio nell’inceneritore… La loro battaglia è quindi iniziata e a suon di borse in tela, snack fatti in casa e spesa il più possibile sfusa i loro rifiuti sono passati dai 390 kg all’anno ai 35 dell’anno successivo.
Tutto in questo libro è leggero, al contrario dei rifiuti che ogni giorno produciamo: disegni, frasi simpatiche che prendono in giro gli “integralisti ecologici”, una grafica che coinvolge moltissimo (anche i bambini: i nostri se ne sono subito interessati). Ecco perché ci piace: perché non è un saggio pesante, ma un libro che tutti possiamo leggere decidendo o meno di raccogliere le sfide che gli autori ci propongono.
I consigli sono prima di tutto concreti (come, ad esempio, i suggerimenti su come fare la spesa, scegliendo cibi il più possibile sfusi oppure contenuti in imballaggi riciclabili, oppure sull’igiene - che può diventare altrettanto sostenibile, attraverso prodotti cosmetici eco oppure fatti in casa, con un sacco di ricette per dentifrici, detersivi, detergenti per la casa, saponi, deodoranti…), ma anche più astratti. Ovvero, gli autori ci aiutano ad entrare in una dimensione mentale nuova, più ecologica, che non significa più faticosa, ma, anzi, molto più soddisfacente!
E se la fatica o il denaro sono gli aspetti che più vi frenavano, beh, vi ricrederete! Il risparmio è incredibile, scegliendo uno stile di vita Zero Rifiuti. E la fatica (contenutissima!) viene assolutamente ripagata dalla soddisfazione.
Sara Polotti
A scuola i nostri bambini imparano moltissimo. E a discapito di ciò che si dice sulla scuola italiana sono molti gli insegnanti che portano i nostri figli in un viaggio fatto non solo di studio, compiti e voti ma costellato di validissimi insegnamenti per la vita.
Tuttavia rimane sempre una tendenza a omologare tutto, a puntare sulle regole e a eleggere le prestazioni scolastiche come segnale di successo, quando in realtà le variabili sono moltissime. Ecco perché i nostri bimbi non impareranno solo dalla scuola, ma anche dalla vita. E imparare dalla vita significa seguire l’esempio che noi genitori diamo, ma soprattutto fare delle esperienze un insegnamento, per diventare adulti sereni, di successo (e il successo, come leggerete, non è sempre standardizzato), felici e umani.
Spesso a scuola, anche per necessità, si insegnano ai bambini metodi standardizzati, utilizzati per tutta la classe. Sono pochi i casi nei quali vengono insegnati diversi metodi, e lo si fa sempre in caso, ad esempio, di diagnosi di ADHD o dislessia. Ma in realtà ogni bambino è unico e ogni mente è unica. Ecco perché dobbiamo fare capire ai nostri figli che se hanno un metodo diverso che li fa arrivare all’obiettivo prefissato non è perché siano “sbagliati” o “diversi”: tutti abbiamo un nostro percorso mentale, e sarà quello che utilizzeremo nella vita, nel lavoro e nella risoluzione dei problemi!
Sempre nel solco dell’insegnamento precedente i nostri bambini nel corso della loro vita, se spronati nel senso giusto e se guidati dal giusto esempio, capiranno che l’essere “diversi” è la norma e che le diversità sono un dono, qualcosa di prezioso da coltivare, perché è così, insieme agli altri e con la nostra unicità, che si costruiscono le cose migliori. Pensateci, anche sul lavoro: ognuno ha le sue competenze, il suo metodo, il suo essere, e in questo modo si raggiungono obiettivi molto più stimolanti e positivi rispetto a quando si ha una squadra uniformata e piatta!
A volte la nostra società ci inculca il mito della quantità che pare sempre più importante della qualità. In realtà crescendo e provando esperienze sulla propria pelle ci si rende conto che il “come” facciamo le cose è più importante del “quanto” raggiungiamo.
A scuola, come dicevamo, anche per esigenze di tempo e di spazio gli insegnanti spingono per un certo metodo di studio, che sia nel caso dell’imparare a leggere, scrivere e far di conto che in quello dello studio più puro (dalle medie e superiori). Pian piano però i nostri bambini impareranno un proprio metodo di studio, un proprio modo di raggiungere gli obiettivi, e questo è importantissimo perché darà loro una base solidissima per la vita.
Non è detto che un laureato sappia tutto e non è assolutamente detto che una persona senza un titolo di studio ne sappia meno. Anzi: spesso la vita porta in strade diverse, ma alla fine il risultato è lo stesso. Perché ciò che conta è l’impegno, l’interesse, la qualità che mettiamo nel nostro fare le cose.
“Successo” non deve per forza corrispondere a “successo professionale”. E soprattutto non deve per forza corrispondere al raggiungimento di una posizione definita dalla società “in alto”. Il successo è successo quando una persona è soddisfatta di dove è, di ciò che è, di ciò che fa ogni giorno. E ciò può significare essere un dirigente d’azienda oppure essere casalinga, mamma oppure educatore volontario, impiegata, cassiere oppure manager. Il successo lo si ottiene quando si diviene la persona che vogliamo essere!
Giulia Mandrino