EC: Elimination Communication. Una sigla che sembra c’entrare poco con i bambini, e che invece è sempre più conosciuta (e utilizzata). Si tratta, infatti, dell’acronimo che indica il metodo che promette di eliminare i pannolini sin dalla nascita (o quasi). Un’utopia? Un’esagerazione? Come sempre, non c’è una regola e ogni famiglia sceglie ciò che è meglio per il proprio bambino.
Per chi volesse conoscere e provare questo metodo senza pannolino parecchio ecologico, ecco qualche fondamento.
EC, la sigla che troviamo quando cerchiamo il “metodo senza pannolino”, indica le parole “Elimination Communication”, ovvero “Comunicazione dell’eliminazione”. Per eliminare il pannolino sin dai primi mesi, infatti, i genitori devono innanzitutto dedicarsi alla comprensione della comunicazione dell’eliminazione, ovvero capire quali sono i segnali dell’espulsione di pipì e pupù, che non arrivano mai all’improvviso.
Si tratta, quindi, di seguire un metodo elaborato in Occidente che prende però spunto da pratiche diffusissime in Oriente e in Africa. Non è una novità, quindi, ma una modalità di risposta ai bisogni primari e fisiologici del bambino che si fonda su una metodologia diversa da quella alla quale siamo semplicemente abituati. Il pannolino, in altre parole, non è l’unico modo per garantire l’igiene del bambino.
Non pensiamo, infatti, che “senza pannolino” significhi fare pipì e pupù all’improvviso e dappertutto. L’EC garantisce comunque l’igiene del neonato.
L’EC si fonda innanzitutto sulla comunicazione tra genitori e bebè, spesso in secondo piano nei primi mesi di vita del bambino perché si ritiene che i neonati non abbiano altra forma di espressione al di là del pianto. Non è così, tuttavia, e le mamme e i papà possono, attraverso l’osservazione e lo scambio, capire quando il neonato sta per fare pipì e pupù. Senza obbligare al vasino, quindi, ma imparando i tempi vicendevolmente.
Osservare è pertanto il primo passo: quali sono le smorfie che precedono la pipì? E i movimenti della pupù? I neonati conoscono il proprio corpo, lo ascoltano, sanno quando stanno per evacuare, e sapere quando questa evacuazione sta per avvenire permette ai genitori di adottare le precauzioni necessarie (appoggiando il bimbo al vasino o dove possibile), facendo capire fin da subito ai neonati qual è il luogo in cui “liberarsi” e quali sono le posizioni della pipì e della pupù. Non assoceranno quindi il pannolino alla regola, ma l’evacuazione sarà associata ad altri movimenti e ad altri posti.
È essenzialmente come rispondere alla fame: se il bambino deve nutrirsi, la mamma o il papà lo allattano. Se ha freddo, lo coprono. Se percepiscono, quindi, che deve andare di corpo, gli danno la possibilità di farlo non nel pannolino, ma in un luogo ancora più igienico, evitandogli di conseguenza di tenere per minuti o ore il pannolino sporco a contatto con le parti intime.
Il primo (e per molto tempo) unico libro sul metodo senza pannolino è stato quello di Laurie Boucke, che resta la lettura principale per i genitori che vogliono ricorrere a questa metodologia naturale. Si intitola “Senza pannolino. Come educare al vasino sin dai primi mesi di vita” e lo potete acquistare qui.
L’altro titolo è “La vita senza pannolini. L’igiene naturale del bambino” ed è scritto da Sandrine Monrocher-Zaffarano. In otto capitoli affronta l’argomento partendo dalla fisiologia e dalla psicologia dei bisogni di eliminazione del bambino, passando poi al metodo vero e proprio.
Al di là di tutti i metodi attraverso i quali si può portare un bambino (la fascia, il marsupio, l'ovetto...), l'argomento passeggino è sempre attuale e importante, perché per quanto le famiglie scelgano sempre di più i metodi "alternativi" (anche se il babywearing ormai non è più alternativo, per fortuna!), il passeggino è uno strumento imprescindibile.
Lo si utilizza, optando per la navicella o la culla, fin dai primi giorni di vita del bambino, e cambiando la seduta lo si porta avanti fino ai suoi primi anni. Ma fino a quando è giusto utilizzarlo? Quand'è che un bambino è considerato troppo grande per il passeggino? Come per tutto, non abbiamo una regola standard e appilcabile a tutte le situazioni, ma qualche linea guida esiste. Ecco quindi una piccola guida al passeggino.
In generale, il passeggino è una manna dal cielo, uno strumento fondamentale per la vita di una famiglia, per poter uscire insieme, passeggiare, lavorare... Detto questo, esistono forme di trasporto più "leganti", come possono essere la fascia o il marsupio, che abituano il bambino al contatto con la mamma o con il papà.
Durante i primi anni di vita, quindi, possiamo usare il passeggino proprio per permetterci le uscite, sfruttando però la fascia e i marsupi ogni volta che possiamo, sia in casa sia fuori casa.
E quando il bambino comincia a crescere, è sempre bene stimolare la sua fisicità facendolo muovere e camminare, abituandolo quindi fin dai primi passi a preferire il camminare allo stare nel passeggino (ma seguendo sempre i suoi ritmi e la sua fatica).
Ma quando un bambino cresce, quando è da considerare troppo grande per il passeggino? Innanzitutto, non c'è un'età precisa: dipende molto da quando il bambino comincia a camminare e da quando è in grado di muoversi in autonomia (periodo nel quale è bene cominciare a spingere sul camminare), soprattutto dopo i due anni. Prima dei due anni, infatti, potrebbe comunque stancarsi facilmente ed è giusto seguire i suoi ritmi, facendolo riposare frequentemente sul passeggino o nel marsupio.
Dopodiché, teniamo ben presenti le indicazioni della casa produttiva del passeggino: solitamente, c'è scritto sulle istruzioni fino a quanti chilogrammi può portare la seduta. Evitiamo quindi di continuare a portare i bimbi nel passeggino quando superano quella soglia.
Tra i due e i tre anni, quindi, dovrebbe essere l'età più indicata per abbandonare il passeggino. Di solito è il bambino a cominciare a risultare insofferente nei confronti di questo strumento. Ma se risultasse molto "pigro", un'idea è quello di stimolarlo con altri mezzi di trasporto, come la bici senza pedali, il triciclo o il monopattino, da portare con sé ad ogni uscita.
Dai quattro anni in su, infine, è bene evitarlo del tutto, per non abituare il bambino alla sedentarietà e per stimolare meglio la sua psicomotricità, che è in fase di sviluppo e che va allenata e stimolata anche attraverso queste scelte quotidiane.
Se ti stai chiedendo per quale motivo dovresti scegliere delle casette in legno da giardino, beh sappi che in questo articolo ti daremo ben 7 risposte valide!
Ti consigliamo di proseguire con la lettura per scoprirle tutte e per saperne di più!
Le casette in legno da giardino, non sono delle semplici casette per gli attrezzi, ma un sogno per molti: è il luogo ideale dove riporre i propri attrezzi da giardino al sicuro ed al riparo dalle intemperie, ma non solo.
Le casette in legno da giardino, come quelle proposte da www.maestrocase.it, sono davvero molto belle esteticamente, alcune sono abitabili e presentano diverse aperture, per far circolare l’aria al loro interno, si possono realizzare su misura in base allo spazio che hai a disposizione ed alle tue esigenze.
Inoltre, possono essere utilizzate come bungalow, dove trascorrere le calde ed intense giornate dei mesi estivi.
Procediamo ora con le 7 motivazioni per cui dovresti optare per delle casette in legno.
Se sei stanco di vedere bici, carriola, rastrello, pala da neve, tagliaerba ed utensileria varia in giro per il giardino o il garage, con una casetta da giardino in legno non avrai di questi problemi.
Le casette in legno da giardino di Maestro Case hanno diverse dimensioni, in base a quel che ci devi inserire all’interno ed al posto che hai a disposizione, ti permettono di mantenere tutto in ordine ed al riparo da acqua, sole e vento.
Tutti i materiali utilizzati per la realizzazione delle nostre casette in legno sono ecosostenibili, grazie all’uso di materie prime naturali, ed eco-friendly, ciò significa non nocivi per il pianeta ed a basso impatto ambientale.
La struttura della casetta da giardino in legno di Maestro Case è in legno lamellare, con pareti e pavimenti realizzati in legno di pino della migliore qualità proveniente da zone del Nord Europa (come la Norvegia), mentre il tetto è in legno massello (al quale si può aggiungere un isolamento naturale in lana di roccia).
Una volta che avrai scelto la tua casetta da giardino in legno, il nostro team di esperti verrà a montarla e non dovrai preoccuparti di altro! Tieni presente che l’evasione dell’ordine può richiedere 4-5 settimane a partire dalla firma del contratto, mentre i tempi di costruzione possono variare da 1 a 5 giorni lavorativi ed il montaggio non costa niente, perché è già incluso nel prezzo finale della casetta.
Inoltre, i file del progetto ed il preventivo della casa vengono, di norma, preparati entro un giorno lavorativo.
La manutenzione delle casette in legno da giardino è veramente bassa, soprattutto se la struttura è realizzata con materiali di qualità. Infatti, sarà necessario riverniciare la struttura esterna ogni tre-cinque anni (il lasso di tempo tra una verniciatura e l’altra può variare in base alle condizioni climatiche del luogo in cui si trova la casetta), mentre per la parte interna sarà necessario passare un impregnante naturale, privo di sostanze chimiche.
La maggior parte delle casette in legno sono abitabili, per questo potresti realizzarne una da mettere in giardino e adibirla per metà a porta attrezzi, mentre l’altra metà per viverci in estate.
Inoltre, il legno è un materiale sano ed ecologico, vivere in una casetta in legno è di sicuro salutare. Infatti, il legno di pino impiegato nella costruzione della struttura, contiene la resina presente nei ceppi e nelle conifere, che ha un impatto positivo su polmoni ed apparato respiratorio di chi vive all’interno ad una casetta in legno.
Senza contare che, all’interno di una casetta di legno, non c’è polvere perché le proprietà elettrostatiche del legno inibiscono la formazione di polvere ed impediscono l’accumulo all’interno delle stanze.
Al contrario di una casa in mattoni, le casette in legno sono molto economiche ed accessibili; un esempio è il nostro modello “Aral” di circa 5 metri quadrati con una porta ed una finestra, nel quale riporre i propri attrezzi da giardino, che costa circa 2mila euro.
Ma è possibile realizzare anche una casetta “semi-abitabile”, nel quale inserire sanitari, cucina e soggiorno (ad esempio, il modello “Como” di circa 12 metri quadri), a meno di 6mila euro.
Infine, devi sapere che, contrariamente a quel che si creda, una casetta in legno realizzata con cura, con i giusti criteri e con materie di prima qualità, può durare anche più di 500 anni. Il legno ha una durata illimitata se viene montato asciutto e viene protetto da umidità e condense.
Dulcis in fundo, se decidi di optare per una casetta in legno multiuso, non solo una semplice casetta per gli attrezzi ed hai bambini a casa, sappi che sarà il luogo ideale dove farli giocare in sicurezza e la adoreranno!
Avete presente quelle volte in cui qualcuno vi dice: “Ma sai come hanno chiamato il loro figlio?!”, con l’altro che se ne esce con un nome bizzarro che fa sorridere? Niente in confronto a ciò che accade negli Stati Uniti d’America. Perché nei paesi anglosassoni la tradizione di inventare nomi e di prenderli dalla cultura pop è qualcosa di normale. Ecco perché questi nomi non sono solo bizzarri, ma anche parecchio diffusi!
L’ultima tendenza in fatto di nomi per bambini? L’ispirazione dal mondo della moda e da quello del beauty. Ecco i più diffusi, secondo la U.S. Social Security Administration rispetto ai dati del 2020.
Questo è il più normale, dal momento che, dopo Illary Blasi e Francesco Totti, sono stati molti i genitori italiani che hanno deciso di chiamare le proprie bambine con il cognome dell’indimenticata stilista francese. E, forse, anche le Gabriella nate negli ultimi anni prendono spunto proprio da lei, in maniera più tradizionale. In USA però va di moda anche un altro nome relativo a Chanel: a chiamarsi Coco, diminutivo della stilista, sono 85 bambine.
712 bambini maschi e 515 bambine femmine: un numero altissimo, vero? I genitori americani hanno quindi scelto un cognome italiano per chiamare i propri bambini, rendendolo un nome gender-free.
Francese e delicato, questo nome ispirato al brand oltralpe è stato scelto per più di seicento bambine, battendo Chanel (che ha affascinato “solo” 352 genitori).
“Pochi” bambini (138) e molte bimbe (quasi 500) negli Stati Uniti d’America si chiamano Dior, ispirandosi allo stilista francese Christian Dior.
Non solo la moda, ma anche il beauty: 18 bimbe si chiamano infatti Maybelline, come il brand newyorkese, mentre Sephora (che negli USA viene pronunciato “Sephòra”) è stato dato a 38 bambine.
Un nome strano, ma molto dolce: a chiamarsi come la classica crema sono 30 bambine.
Si ispira al brand di haute couture, ma ha un’origine mitologica (Ermes era il messaggero degli dei nella tradizione greca, figlio di Zeus e Maia.
Per I boys, più diffuso è Kenzo (334 maschietti). Ma non mancano le femmine: sono in cinque a chiamarsi così.
Anche questo è un nome francese, e molto dolce. In USA, tuttavia, sono poche le bambine che si ispirano al brand beauty Estee Lauder: solo in tredici.
16 bambine si chiamano Fendi, e ad ascoltarlo è un nome davvero bello. Per quanto bizzarro.
Infine, l’omaggio alla nostra Donatella Versace: anche in questo caso sono 16 le bimbe a chiamarsi con questo nome della tradizione italiana ormai associato alla grande stilista sorella di Gianni.
Dopo avervi consigliato i migliori podcast per mamme, ecco una selezione dei più bei podcast per bambini, piccoli momenti audio per imparare cose nuove, divertirsi e riflettere. Perché i podcast non sono solo per adulti: anche i bambini possono ascoltarli in macchina con mamma e papà, mentre sistemano la loro cameretta, mentre disegnano…
Ecco quindi i migliori podcast per i più piccoli!
Se amate - come noi! - i libri targati Babalibri, c'è una buona notizia: è uscito il podcast "Pezzettini", un programma audio con letture, approfonrimenti e giochi per scoprire la lettura in maniera diversa e coinvolgente, con contenuti originali che ricordano sempre il bellissimo catalogo della casa editrice. Qui il link a Spotify.
Si tratta di un podcast per bambini che ad ogni puntata porta una storia diversa, tra il realistico e la fiaba, per mostrare ai bimbi le diverse situazioni della vita stimolando allo stesso tempo la loro intelligenza emotiva. Lo trovate su Spotify.
In questo podcast i bambini potranno ascoltare le più belle fiabe per loro, da quelle dei fratelli Grimm a quelle di Gianni Rodari (che troviamo anche nel podcast Omaggio a Gianni Rodari) e di Bruno Munari, più contemporanee.
Per i bambini che vogliono immergersi nella storia del rock attraverso un linguaggio pensato apposta per loro, ci ha pensato il Signor Rockteller a proporre loro un podcast, fatto di piccoli episodi che di volta in volta portano la vita di personaggi diversi, da Elton John a Bob Marley.
Per i bimbi e le bimbe che amano i dinosauri, ma soprattutto per i piccoli lettori che amano le storie coinvolgenti, la proposta è questo podcast dedicato a due dinosauri pasticcioni che si lanciano nella professione detective.
Su Audible i bambini potranno ascoltare le storie della buonanotte per bambine ribelli per scoprire la storia di moltissime donne che hanno cambiato il mondo. Non solo la sera prima di andare a dormire!
Sempre su Audible, bellissimi sono i libri recitati di Luis Sepúlveda, come la “Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà”.
La serie completa si trova su Audible: il teatro valorizzato e reso fruibile dai bambini è diventato un bellissimo e coinvolgente podcast.
Si sa: i bambini imparano le lingue come una spugna. E sappiamo anche che spesso le canzoni possono essere il miglior metodo per imparare una nuova lingua. Questo podcast per bambini fa proprio questo: unisce la musica all’inglese per insegnarlo ai bambini in maniera leggera ed efficace.
Questo podcast entusiasmante, recitato dai ragazzini per i ragazzini, è pensato per la fascia d’età 8-12 ed è ottimo per chi ascolta l’inglese, anche per allenarlo. Parla dell’undicenne Mars Patel e dei suoi amici JP, Toothpick e Caddie, che si avventurano alla ricerca di due amici scomparsi. È una sorta di podcast-giallo per bambini che amano le avventure.
C'è chi li ascolta nel tragitto casa-lavoro, chi in macchina, chi durante il workout, chi camminando, chi facendo i mestieri in casa: il podcast è bello per questo, ovvero per la sua versabilità di fruizione. In altre parole: possiamo ascoltarlo quando vogliamo e dove vogliamo, riempiendo tempi morti e imparando un sacco di cose, ascoltando argomenti che ci stanno a cuore e ampliando i nostri orizzonti.
L'altro aspetto positivo? Gli argomenti, appunto. Perché di podcast ce ne sono per tutti: per gli amanti del true crime (imperdibile è Blu Notte di Carlo Lucarelli), per chi vuole aggiornarsi professionalmente, per chi vuole approfondire temi importanti come la parità di genere, per chi ama la letteratura... E per le mamme. Non c'è, naturalmente, un tema unitario e preciso, ma di certo esistono podcast davvero molto consigliati per le mamme, per quelle che lavorano, per quelle in attesa, per quelle disperate, per quelle ecologiste... Ecco quali sono i migliori, secondo noi.
Innanzitutto, cos'è un podcast? Un podcast è una narrazione a voce e a puntate. Si tratta di un programma audiofonico seriale, con i conduttori che, di puntata in puntata, parlano di diversi temi legati ad un macroargomento. È come fosse, insomma, una rubrica ascoltabile dove vogliamo, poiché i podcast vengono caricati sulle varie piattaforme di volta in volta, restando a disposizione del pubblico per un periodo solitamente illimitato.
Ci sono Apple Podcast, Spotify, Audible... Le piattaforme su cui si possono trovare i podcast sono moltissime, e ognuno può scegliere quella su cui si trova meglio. Tendenzialmente, i creatori dei podcast caricano i loro programmi su diverse piattaforme, oppure in altri casi le piattaforme hanno l'esclusiva. In ogni caso, quando ci interessa un podcast possiamo cercarlo sulle varie piattaforme, scaricarlo oppure ascoltarlo direttamente.
Prima di tutto, ascoltateci! Anche Mamma Pret a Porter ha il suo podcast, e si intitola Genitori Pret a Porter. Lo trovate su Spotify, Apple Podcast, Spreaker...
Alle mamme lavoratrici piacerà di certo Mamma Superhero di Silvia D'Amico, mamma imprenditrice che condivide trucchi e consigli per alleviare la fatica, toccando tutti i temi della genitorialità.
Un podcast fatto a "pillole", con puntate brevi e comode, è Mamma che podcast!, con informazioni molto utili per le mamme in attesa (e non solo).
Per le mamme interessate all'educazione Montessori, alla sostenibilità e alla genitorialità imperfetta ma gentile segnalo invece Educare con calma di Carlotta Cerri.
Ci sono poi tutti i vari podcast per aggiornarsi a livello professionale: basta cercare il proprio ambito (marketing, industria, educazione...) per trovare moltissimi titoli adatti alla propria crescita.
Per chi vuole informarsi sul femminismo e sulle questioni di genere molto interessante è Maschiacci di Francesca Michielin: la cantante in questo podcast cerca di indagare le lotte attuali, con la sua conosciuta sensibilità e profondità. E imperdibile in questo senso è Morgana di Michela Murgia e Chiara Tagliaferri, che presenta di volta in volta la storia di una donna controcorrente.
Ci sono poi singoli episodi di podcast più ampi che di certo le mamme apprezzeranno. Ad esempio, la puntata dedicata alle mamme in natura dal podcast Il gorilla ce l'ha piccolo, per capire come le orche, i capidogli, l'elefante o le coccodrille portano e crescono i loro piccoli; oppure La gara a chi è la mamma migliore di Maura Gancitano per il podcast di Tlon.
Anche in questo caso, il consiglio è quello di utiizzare la funzione "cerca" delle varie piattaforme: non compariranno solo podcast completi, ma anche episodi singoli dedicati agli argomenti che più amiamo.
Siamo in primavera, Pasqua si avvicina, e con lei il senso di rinascita che, credenti o no, questa festività porta con sé. Fuori gli alberi fioriscono, gli uccellini tornano cantando, le giornate si allungano... Celebrare questo periodo è quindi un'ottima idea.
Per Pasqua proviamo a decorare la tavola in maniera graziosa e originale sfruttando uno dei simboli di questa festività, l'uovo, che si trasformerà in un dolce (e gustoso) coniglietto: in questo modo il pranzo acquisterà un'atmosfera ancor più familiare, partecipata e gioiosa. Anche perché i segnaposto possonoe ssere realizzati insieme ai bambini, esattamente come tutte le altre attività di decorazione delle uova pasquali.
Per realizzare i nostri segnaposto pasquali serviranno (per ogni posto) un sottopiatto e un piatto, della iuta o un tessuto grezzo ritagliato, un tovagliolo bianco, dello spago, un uovo e un pennarello nero. Più i materiali saranno grezzi e materici, più l'effetto rustico renderà la tavola pasquale e informale, familiare e coinvolgente.
Sistemiamo sulla tavola il sottopiatto e il piatto, quindi ritagliamo un quadratino di iuta o tessuto e adagiamolo sopra.
Bolliamo nel frattempo le uova, ottenendo delle uova sode (dovranno quindi cuocere più o meno nove minuti dall'inizio del bollore, dopo averle messe sul fuoco ancora in acqua fredda). Quando saranno cotte, sciacquiamole sotto acqua fredda corrente, in modo da raffreddarle, quindi asciughiamole.
Prendiamo il pennarello nero a punta fine e decoriamo i nostri ovetti sodi con dei piccoli volti: occhietti, nasino, lentiggini... Le uova, infatti, si trasformeranno grazie al tovagliolo in piccoli coniglietti.
Avvolgiamo ora il tovagliolo attorno all'uovo, incrociando gli angoli superiori (in modo da ottenere le orecchie da coniglio) e fissadoli con un piccolo nodino con dello spago.
Appoggiamo l'uovo sul ritaglio di iuta e avremo così realizzato il nostro segnaposto per Pasqua, che i commensali potranno anche gustare come aperitivo, magari accompagnato da una salsa tonnata (che si sposa benissimo con le uova sode!) o semplicemente con un filo di olio e sale.
Quando si parla di DSA, o Disturbi Specifici dell’Apprendimento, si nominano prima di tutto dislessia e discalculia. Ma non sono gli unici. Tra gli altri, esiste anche la disortografia (che non è la disgrafia, altro DSA), che quando non viene diagnosticata porta prima i genitori e poi i figli a pensare di “non essere capaci” in grammatica, quando in realtà si tratta proprio di un disturbo specifico della scrittura.
Se la disgrafia è un DSA che porta il bambino (e l’adulto) ad avere difficoltà nella stesura grafica delle parole (con i quaderni molto disordinati e pieni di errori e riscritture), la disortografia è riconoscibile quando, fin dai primi anni di scuola, non si riescono ad applicare le regole ortografiche delle parole e delle frasi. Errori “grossolani” (come scrivere acqua senza il “cq”, omettere le “h” quando servono e non riuscire proprio ad applicare le “sci” quando servono), punteggiatura errata, sbagli grammaticali molto frequenti… La disortografia si manifesta così, e non si tratta (come in tutti i DSA) di ignoranza delle regole, ma di difficoltà di utilizzo delle stesse.
In altre parole, il bambino immagazzina queste regole ma non riesce ad automatizzarle, e per questo motivo continua a fare errori quando scrive.
Tendenzialmente questo Disturbo Specifico dell’Apprendimento si manifesta dal primo anno della scuola elementare, quando, cominciando a imparare le regole grammaticali e ortografiche, il bambino pare fare molti errori. Bisogna quindi fare attenzione ai dettati, ai testi, ai compiti di grammatica.
Di solito ci sono errori che si ripetono spesso: le doppie (dimenticate o aggiunte dove non servono), gli scambi di lettere, l’uso errato di accenti e apostrofi, dimenticanze di lettere…
Dopo aver notato gli errori, possiamo provare a fare attenzione ai meccanismi di scrittura. I bambini con disortografia, infatti, pensano molto di più alle regole rispetto agli altri. Non gli viene, dunque, naturale scrivere una determinata parola perché è scritta in quella maniera (acqua, scuola senza la q, qui e cui…), ma devono ogni volta pensare alla regola memorizzata in precedenza. Non memorizzano, quindi, la parola, ma ricordano la regola e vanno ad applicarla ogni volta. Il processo, di conseguenza, è molto più lungo e laborioso, e quando si trovano a dover scrivere più velocemente è normale commettere errori.
Se gli errori e la fatica continuano ad esserci anche dopo la seconda elementare, allora è bene chiedere aiuto ad uno specialista.
Come per tutti i DSA, la diagnosi la farà un esperto del settore che sottoporrà il bambino a test specifici, come ad esempio un dettato, esercizi di scrittura, compiti di composizione di testi… In base agli errori commessi dal bambino (che possono essere di tipo fonologico o di altra natura) si capirà il livello e il tipo di disturbo al quale si è di fronte.
Contestualmente, lo specialista controllerà anche le difficoltà o i punti di forza del bambino nel calcolo e nella grafia: la disortografia, infatti, può spesso andare di pari passo con gli altri DSA, ovvero la dislessia (che concerne la lettura), la disgrafia (la scrittura) e la discalculia (la matematica).
Se il bambino è disortografico, quindi, i logopedisti, gli psicologi e i pedagogisti di riferimento sapranno indicare la via più adatta verso il potenziamento, in modo da aiutare il bambino a fare meno fatica trovando anche strumenti compensativi e laterali utili ed efficaci.
Tutti, probabilmente, siamo cresciuti con la paghetta. Chi prima, chi dopo, arriva un momento nella giovane vita nel quale i genitori sentono sia giusto concedere una piccola somma di denaro da spendere settimanalmente. Alle elmentari? Alle medie? Alle superiori? Il "quando" non è standard, così come non lo è il "quanto". Ma resta una certezza: al di là della somma, la paghetta ai bambini è una pratica molto positiva, perché permette di responsabilizzarli e di fargli capire il valore del denaro (tra le altre cose).
Ecco, quindi, una piccola guida alla paghetta.
Tra i benefici della paghetta, spicca su tutti di certo l'insegnamento della responsabilità. I soldi sono importanti, hanno un valore, e conservarli prima di tutto senza perderli è un primo passo. Non spenderli in cose inutuili è il secondo. Con naturalezza si passa poi al concetto di spreco: una volta che hanno il loro gruzzolo in mano, i bambini si trovano a dover decidere se comprare qualcosa che vogliono moltissimo, qualcosa che gli serve, qualcosa che in quel momento vorrebbero ma che costa ancora troppo... Si tratterà di figurine, di un libro, di un giocattolo: non importa il valore del papabile acquisto, ma è fondamentale il processo decisionale che i bambini metteranno in pratica. E di certo qualche volta sbaglieranno, ponderando male i pro e i contro e pentendosi subito dopo l'acquisto, ma anche questo fa parte dell'insegnamento.
C'è poi la parte "generosa". Ovvero: arriverà ad un certo punto il momento in cui i bambini decideranno di investire una parte della paghetta (se non tutta) per un regalo a qualcuno a cui tengono. Sarà un momento bellissimo, che mostrerà loro la bellezza del dono (facendogli allo stesso tempo capire che i regali che acquistiamo noi genitori non sono gratis!).
Avendo una loro paghetta, infine, capiranno il valore del denaro riflettendo su ciò che si può acquistare con tot soldini. Sarà quindi più semplice per loro comprendere ciò che i genitori fanno ogni giorno, ovvero far quadrare i conti con ciò che si ha. Perché il denaro non cresce sugli alberi.
Come accennato, non c'è un'età precisa e starà ai genitori decidere. Tuttavia, possiamo dare qualche consiglio. Tendenzialmente, infatti, la paghetta viene data ai bambini a partire dai 7/8 anni, ovvero dal periodo delle elementari, quando già si ritrovano a voler comprare figurine o caramelle, anche in situazioni in cui noi non ci siamo (al mare con i nonni, quando escono con le famiglie dei loro amichetti, all'oratorio...). Basterà, in questo caso, qualche monetina, anche solo 1 o 2 euro. L'importante è spiegare che sono importanti, che hanno un valore (ad esempio, 1 euro sono tot caramelle, 2 euro tot figurine...), e che starà a loro decidere cosa comprarci.
Alle medie i bambini cominceranno ad avere esigenze diverse e si potrebbe passare a cinque euro a settimana, soldini con i quali i ragazzi potrebbero comprarsi il biglietto per il cinema, o una bibita in lattina con patatine per il pomeriggio con gli amici.
Alle superiori bisogna invece ponderare le spese, alzando ancora un pochino la paghetta, ma senza comunque esagerare (20/30 euro è una cifra adatta, se i ragazzi si devono pagare anche autobus per gli spostamenti e servizi quotidiani): la paghetta è educativa anche e soprattutto quando "non basta", costringendo i ragazzi a rinunciare a qualcosa per concedersi altro, no?
Quando questa paghetta non basta (perché, magari, la teniamo volutamente bassa) possiamo aggiungere uno step in più, ovvero il guadagno della paghetta. I ragazzi, infatti, potrebbero aiutare in casa per guadagnare qualcosa di più. Evitiamo, però, di "prezzare" le faccende più comuni come pulire, fare le lavatrici o sparecchiare (quelli sono compiti di tutti, responsabilità civili da dividere), scegliendo di pagare i ragazzi per compiti straordinari, come portare la spazzatura in discarica, dipingere le pareti, sistemare un vecchio mobile, riparare le tende... In questa maniera comprenderanno direttamente e concretamente anche il valore applicato al lavoro, ottenendo allo stesso tempo ciò che desiderano (il denaro per comprare quella cosuccia che puntano da tempo).
Quando si ha voglia di portare in tavola qualcosa di gustoso e un po’ diverso dal solito, non si può non chiamare in causa il pollo al curry. Piatto semplice da preparare e perfetto quando si punta a far conoscere ai più piccoli i sapori piccanti, è la risposta ideale nelle sere in cui, prese tra i vari impegni, diventa difficile portare in tavola più di una portata. Detto questo, non resta che scoprire la ricetta passo passo.