Con i bambini la sicurezza in auto è fondamentale, e i seggiolini sono la prima regola per viaggi sicuri. La normativa parla chiaro: seggiolino con schienale fino a 1.25 metri di altezza, sistema di aggancio Isofix o comunque sicuro, obbligatorietà del seggiolino in base all’età, ovetto nei primi mesi di vita… Ora, però, gli esperti aggiungono una regola importantissima: fare attenzione alle tute da sci e ai giubbini per bambini e bebè troppo imbottiti, perché potrebbero intaccare l’efficacia del seggiolino.
In inverno i genitori, giustamente, coprono i bambini con tute da neve e giacconi molto imbottiti. Questi giubbini, tuttavia, andrebbero tolti durante il tragitto in macchina, poiché in caso di incidente diminuiscono l’efficacia del seggiolino: l’imbottitura (che è soffice) si appiattisce infatti immediatamente a causa della forza dell’impatto, lasciando così dello spazio libero tra il corpo del bambino o del bebè e l’imbracatura. Questo spazio libero potrebbe, nei casi peggiori, far sì che il bambino scivoli attraverso le bretelle e che sbalzi in avanti.
A sottolinearlo è l’American Academy of Pediatrics, secondo cui gli indumenti troppo imbottiti non andrebbero mai indossati sotto le cinture di sicurezza, soprattutto nel caso dei bebè e dei neonati.
L’American Academy of Pediatrics fornisce anche qualche consiglio per evitare il pericolo tenendo comunque al caldo i bambini.
Prima di tutto, è bene togliere la tuta da sci o la giacca super imbottita dal bambino prima di metterlo nel seggiolino, coprendolo con uno strato più leggero per tenerlo al caldo o appoggiando sopra le cinghie una copertina (senza coprire il volto, mai, per evitare il pericolo di soffocamento, soprattutto nel caldo dell’automobile).
Il pezzo di seggiolino “staccabile” potrebbe poi venire tenuto in casa o in un luogo caldo, prima di infilare il bambino in macchina, in modo che non sia ghiacciato quando vi appoggiamo sopra il bebè. Accendere la macchina un attimo prima di mettere il bambino nel seggiolino e scaldarla, inoltre, è una buona idea.
Vestire i bebè a cipolla è un altro consiglio: a differenza delle imbottiture che si appiattiscono, vari strati più leggeri non fanno lo stesso effetto e non hanno lo stesso pericolo.
Infine, non dimentichiamo i guanti, le calze calde, il cappellino e gli scarponcini imbottiti, in modo che le estremità del corpo siano riscaldate.
Allacciamo poi le cinghie in maniera corretta, eventualmente stringendole un po’ di più se temiamo che l’imbottitura degli strati di indumenti sia troppo morbida.
Se avete preparato i nostri gnocchi (questi sono viola, ma potete usare anche il cavolfiore o le patate gialle per farli "normali" bianchi!) e non sapete come condirli, ecco una ricetta per voi: degli gnocchi con sugo vegetale davvero irresistibili e parecchio invernali.
Il femminismo non è più facoltativo: in un mondo nel quale le parità di genere sono ancora lontane, è compito dei genitori educare i figli a trattare le persone per ciò che sono, e non per il loro genere. Soprattutto, dobbiamo capire che il femminismo non è “lotta di genere”, ma è “lotta per la parità di genere”, e ciò significa che non è il contrario di maschilismo (intendendolo dunque come un "volere la superiorità della donna"): il femminismo è lotta per i diritti per tutti, maschi o femmine, etero o gay, di qualsiasi colore della pelle. È lotta per superare gli stereotipi, che fanno del male non solo alle donne, ma anche agli uomini che si trovano ingabbiati in ruoli che sentono lontani.
Per cominciare, quindi, leggiamo qualche libro: si tratta di letture semplici e illuminanti per portarci sulla giusta strada educativa, in modo da sapere cosa trasmettere ai nostri figli, le parole da usare e i comportamenti da adottare. Se ognuno di noi li seguisse, il mondo sarebbe davvero migliore.
La scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie ha scritto questo libriccino davvero illuminante e scorrevole: si tratta di una lettera ad un’amica che le chiede consigli sull’educazione di una figlia femmina. Io trovo che sia un libro per tutti, anche per i genitori con figli maschi, perché si tratta di regole e consigli universali e importantissimi che trattano di diritti, libertà, responsabilità e stereotipi. Lo potete acquistare qui.
Se vi è piaciuto “Dear Ijeawele”, il consiglio è quello di leggere anche “Dovremmo tutti essere femministi”, il saggio più noto di Chimamanda Ngozi Adichie, trascrizione di un suo Ted Talk che ci mostra, in poche parole, le ragioni per le quali tutti, uomini, donne, giovani, anziani, dovremmo essere femministi, perché il femminismo giova davvero a chiunque. È in vendita qui.
“Perché le bambine a partire dai sei anni si sentono meno intelligenti dei bambini? E perché i ragazzi sottostimano le capacità delle loro compagne di università? La colpa è degli stereotipi”: così recita la quarta di copertina di questo saggio davvero prezioso (che trovate qui).
Un titolo che è un pugno nello stomaco (per le donne, che sanno di cosa di parla), perché sviscera senza tabù e con i dati reali la tendenza della società a ignorare sistematicamente le donne. È così, non ci si scappa, ma conoscere la situazione è il primo passo per combatterla. Un libro, soprattutto, per uomini, per padri che vogliono crescere persone che non ignorino l’altro sesso, l’altro genere, l’altro. “Invisibili” di Caroline Criado Perez è acquistabile qui.
Sempre per i padri, “Perché il femminismo serve anche agli uomini” di Lorenzo Gasparini non ha bisogno di altre presentazioni. Dice già tutto il titolo, ed è davvero illuminante e necessario.
“Corpi estranei” di Oiza Queens Day Obasuyi non parla esattamente di femminismo, ma di razzismo sistemico nel nostro paese. Spesso di pensa di essere esenti dal razzismo perché “la mia amica è nera” o “ho tanti colleghi che vengono dal Ghana”, ma i bias sono radicati in noi pur non volendolo. Ed è tutto un circolo virtuoso o vizioso: femminismo, antirazzismo, lotta per la parità… Informiamoci in maniera intersezionale ed educhiamo i bambini di conseguenza (prima di tutto con l’esempio). Trovate il libro qui.
I difetti di pronuncia sono davvero molto comuni, soprattutto nei bambini dalla scuola materna alle elementari. I genitori, per risolvere questo problema variegato (si va dalla zeppola alla balbuzie, dall'incapacità di dire certe lettera alla difficoltà di articolare bene tutte le parole), si rivolgono ad un professionista, ovvero il o la logopedista. Esistono tuttavia libri e pubblicazioni pensate proprio per i genitori, per integrare i consigli del logopedista leggendo testi non prettamente accademici, e quindi alla portata di tutti, con nozioni e consigli pratici per aiutare nella quotidianità i propri bambini.
Ecco quindi i libri sulla logopedia più indicati per i genitori che vogliono correggere i difetti di pronuncia dei loro figli.
Questo libro (acquistabile qui) di Jan Pepper e Elaine Weitzman è un piccolo manuale per genitori e profesisonisti per imparare a fare i conti con il ritardo del linguaggio. Semplice e illustrato, aiuta a capire a cosa ci troviamo davanti e dà indicazioni su come comunicare con il bambino per favorire l'apprendimento del linguaggio durante la quotidianità.
"Storie con i fonemi - Altre attività e racconti illustrati per allenare le competenze fono-articolatorie" di Valentina Dutto (lo trovate qui) contiene venticinque storie per aiutare i bambini a memorizzare e automatizzare il corretto schema fono-articolatorio di tutte le consonanti della nostra lingua, i dittonghi e altri gruppi, stimolando allo stesso tempo la passione per la lettura.
Sempre di Valentina Dutto è questo libro che fornisce ai genitori e ai logopedisti tante attività per stimolare la corretta pronuncia delle parole senza mai perdere l'attenzione da parte del bambino, ma coinvolgendolo in maniera divertente e semplice.
"Storie con prassie e onomatopee" è un libro (acquistabile qui) per leggere insieme ai bambini storie fatte apposta per scoprire i suoni e la bocca, accompagnandoli in maniera coinvolgente verso la corretta pronuncia.
"Balbuzie. Fondamenti, valutazione e trattamento" è un libro più scientifico, pensato per i professionisti, che tuttavia i genitori di bambini balbuzienti possono leggere per capire meglio questo disturbo complesso e delicato.
Stesso discorso vale per questo volume abbastanza tecnico ma molto prezioso per capire i disturbi del linguaggio in età evolutiva, integrando ciò che dirà il logopedista ai genitori.
“E adesso “Chi lo veste (il bambino)”?”: a questa domanda vuole rispondere kiloveste.com, il primo portale e-commerce interamente dedicato all'abbigliamento di seconda mano da bambino.
Assoluta novità nel panorama delle vendite online, Kiloveste è un portale facile, veloce e snello, per acquistare abbigliamento al chilo invece che al pezzo. Esatto, al chilo! E ora vi spiego come funziona.
“Made in Prato”, Kilovese punta forte sul concetto di sostenibilità. La città laniera infatti, da sempre avanguardia nel campo del riuso delle materie prime tessili, è al centro della filiera internazionale del riciclo.
Come sappiamo, l’industria della moda e dell’abbigliamento è tra le più inquinanti. Solo in Italia, ogni anno vengono raccolte 110.000 tonnellate di abiti usati. Solo una piccola parte arriva all’incenerimento, però; tutto il resto passa dalle mani sapienti dei “cenciaioli” pratesi, che ogni giorno, da sempre, dividono, selezionano, riciclano le fibre tessili.
Ecco perché vestirsi in maniera sostenibile è sempre più imprescindibile, partendo dal seconda mano e dall’economia circolare che permette di evitare di produrre nuovi capi (con conseguenti sprechi): acquistare vestiti per bambini second hand (sappiamo quanto i bambini utilizzino i loro abiti per pochissimo tempo!) o vintage per noi è un’ottima scelta.
Kiloveste, addirittura, punta sulla vendita al chilo e non a singolo pezzo. “L’idea – spiega Thomas Gargano, ideatore del progetto – è nata in pieno lockdown. In quel periodo di riposo forzato, molte mamme, dovendo fare i conti con il cambio di stagione, la crescita dei figli e i negozi chiusi, letteralmente non sapevano come vestire i propri figli. Da lì KiloVeste, che al tempo stesso vuole essere una domanda e un'indicazione sulla tipologia di vendita”.
Realizzato dall'azienda pratese Trame Digitali, kiloveste.com permette di selezionare la fascia d’età (0-9 mesi, 9-18 mesi, 18-36 mesi, 4-6 anni, 10-14 anni), la quantità (1, 2 o 3 chilogrammi) e la stagione (primavera/estate o autunno/inverno). Sarà a questo punto che entrerà in azione una squadra composta da donne e uomini, mamme e papà, che selezionerà per il cliente un mix di vestiti tra magliette, tutine, pantaloncini, camicie, giubbotti e via discorrendo.
Dopodiché, il cliente riceverà l’abbigliamento selezionato e scelto appositamente per lui, impacchettato in un packaging-caramella sostenibile in cotone riciclato (riutilizzabile come tovaglia!).
Non esistono solo le orecchiette con le cime di rapa (che, chiariamolo, sono una delle ricette più deliziose della cucina italiana! Le cime di rapa (o friarielli a seconda della preparazione e della regione) sono crocifere dalle proprietà fenomenali, dal sapore gustosissimo e dalla versatilità preziosa. Sono tipicamente invernali, ma si trovano anche surgelate (oppure possiamo congelarle noi!), e si prestano a molte preparazioni.
Ecco quindi una panoramica sulle cime di rapa, l'ortaggio amaro della famiglia di cavolfiori e broccoli che fa parte della tradizione culinaria del Bel Paese.
Le cime di rapa innanzitutto sono crocifere, ovvero fanno parte della stessa famiglia di verdure erbacee di cui fanno parte broccoli, cavolfiori e cavolo nero (detta anche famiglia delle Brassicacee Burnett) e si chiamano scientificamente Brassica Rapa Sylvestris. Si presentano in lunghe foglie tenere e piccole inflorescenze (i broccoletti), hanno un sapore amaro e intenso e il gusto ricorda quello dei broccoli.
La diffusione maggiore la si ha in Puglia, Lazio, Calabria, Molise e Campania (a livello di coltivazione), ma le si mangia in tutta Italia.
Come le altre crocifere, le cime di rapa sono ricche in vitamine (soprattutto la A, la K e la C) e di sali minerali (ferro, calcio e fosforo), oltre che di elementi antiossidanti e alleati del sistema immunitario, tanto che sono ritenute, oltre che buonissime, anche anticancro. Sono quindi utili in inverno e nel breve termine per rafforzare le difese contro i malanni stagionali, ma è consigliato mangiarne in grande quantità proprio per ottenere benefici a lungo termine.
Sono composte da acqua, proteine, grassi, carboidrati e fibre.
Altra sostanza in loro contenuta è il sulforafano, che oltre a prevenire certi tipi di tumore è benefica anche in caso di diabete e artriti di varia natura.
Le cime di rapa, a differenza di broccoli e cavolfiori, non si presentano in cespi, ma in foglie lunghe, alle quali stanno attaccati i piccoli broccoli che danno il tipico sapore.
Le si sbollenta in acqua calda oppure al vapore e possono essere ripassate in padella a seconda della ricetta.
La ricetta più utilizzata e conosciuta è di certo quella delle orecchiette alle cime di rapa (nel link tutti i passaggi), ma esistono altri modi per gustare i friarielli.
Innanzitutto, sulla pizza: sbollentati e ripassati in padella, possono essere abbinati alla salsiccia oppure da soli.
Buonissimo è anche il risotto con le cime di rapa: dopo averle sbollentate in acqua bollente per dieci minuti, scoliamole (tenendo da parte l’acqua di cottura!) e mettiamole in padella insieme al risotto mentre lo cuociamo (a dieci minuti dalla cottura), frullandone una piccola parte per creare la crema verde.
Qui invece trovate altre ricette generiche con le benefiche crocifere o crucifere.
Si chiama cavolo nero o kale (nella sua versione anglosassone) ed è ormai un re in cucina: crocifera dalle mille proprietà (non sapete cosa sono le crocifere?), il cavolo nero è saporito e versatile, anche se in Italia ancora poco conosciuto (ma non in Toscana! Lì è un ingrediente della tradizione).
Ecco dunque le proprietà, i benefici e le ricette in cui possiamo utilizzare il cavolo nero in cucina.
Verdura invernale, fa parte delle crocifere (come i broccoli, le cime di rapa, il cavolo…) ed è, come tutte le piante facenti parte di questa famiglia, un alleato della salute (e anticancro): il cavolo nero, crocifera a foglia, si presenta molto scuro, di un verde quasi nero e opaco. Può essere più o meno arricciato, e le sue foglie sono molto lunghe.
Nutrizionalmente, è ricchissimo di sali minerali e vitamine (come la vitamina C), di antiossidanti, di acidi grassi Omega 3 e di elementi che rafforzano il sistema immunitario.
Ha pochissime calorie ed è quindi adatto per chi non vuole appesantirsi o sta seguendo una dieta ipocalorica.
Una volta acquistato, il cavolo nero va, come tutte le verdure, consumato in fretta, ma può essere conservato nel cassetto delle verdure per una settimana (meglio se avvolto da un canovaccio inumidito leggermente).
Tendenzialmente, prima di cucinare il cavolo nero secondo una delle varie ricette, è bene prepararlo: dopo averlo lavato bene e asciugato, tagliamo con un coltellino affilato la costa centrale. Lo si vede: è la più dura e chiara.
A questo punto è possibile usarlo negli estratti e nelle centrifughe oppure scottarlo un attimino in acqua bollente (bastano tre minuti) o al vapore e ripassarlo in padella per vari piatti.
Dopo averlo lavato e tagliato a striscioline e dopo averlo scottato in acqua bollente, trasferiamolo (scolato) in una padella con olio e cipolla rosolata e saltiamo per cinque-dieci minuti. Condiamo quindi gli gnocchi cotti nella stessa acqua di bollitura.
Allo stesso modo (con lo stesso sugo) possiamo condire della semplice pasta (è ottimo con quella fresca e corta).
Alternativa alle patatine fritte, le chips di cavolo nero (qui trovate la ricetta) sono deliziose, croccanti e gustose.
Dopo aver rosolato in una pentola con un filo d’olio cipolla e carote tagliate finemente, aggiungiamo il kale tagliato a striscioline insieme a qualche patata a cubetti e rosoliamo, aggiungendo subito dopo del brodo bollente. Lasciamo cuocere per dieci minuti, saliamo e pepiamo e frulliamone una parte con un mini pimier. Dopodiché, aggiungiamo un cereale (come del farro), lasciamo cuocere per 15-20 minuti e serviamo.
Le mamme e i papà smart lo sanno già: la convenienza, spesso, la si trova online. E vale anche nel caso di pannolini. Ma la convenienza in questo caso è addirittura doppia!
Lo shopping online, infatti, permette non solo di risparmiare denaro, ma anche tempo prezioso. Perché non sono solo i prezzi ad essere golosi, ma anche i servizi aggiuntivi. Come ad esempio l’abbonamento mensile con cui i genitori possono ricevere a casa ogni mese i pannolini che serviranno, senza pensieri e risparmiando.
Ecco come.
L’abbonamento mensile ai pannolini è un servizio ormai sempre più sfruttato dai genitori più smart e attenti all’ecosostenibilità e all’innovazione, che lo preferiscono al classico acquisto in negozio per svariati motivi. La convenienza economica, prima di tutto, ma anche e soprattutto per altre caratteristiche.
Ricevere mensilmente i pannolini a casa, infatti, significa non pensare più alle emergenze in cui ci si ritrova senza pannolini all’ultimo minuto; significa non dover per forza accumulare i pannolini per risparmiare, dovendo così trovare spazio magari dove spazio non c’è; e significa non sprecare, perché i pannolini saranno sempre della giusta misura.
Per quanto riguarda la convenienza economica, è indubbio che i pannolini acquistati online siano più economici rispetto a quelli acquistati in negozio, come spesso accade anche per altri prodotti. E in questo caso non c’è nemmeno il problema morale del “non acquistare local”, poiché i pannolini tendenzialmente si comprano comunque in supermercati o catene internazionali di negozi di abbigliamento e strumenti per la prima infanzia.
Ma quali sono i servizi più sicuri, affidabili, convenienti e attenti all’ambiente?
Prendiamo Lillydoo, ad esempio; si tratta di un servizio di abbonamento pannolini online che permette di ricevere a casa ogni mese dei pannolini di qualità, ecosostenibili (esiste infatti anche la linea di pannolini Lillydoo Green, realizzati con meno plastica, confezionati nella carta, in cellulosa grezza non sbiancata e con spedizione carbon-free certificata) e sempre della giusta taglia. Per quanto riguarda il risparmio, nel caso di questo marchio acquistando i pannolini online attraverso l’abbonamento i genitori risparmiano il 25% sul prezzo della confezione.
Ma parliamo nello specifico di numeri. I pannolini Lillydoo Green, ad esempio, costerebbero 14,40 euro a confezione, mentre l’abbonamento senza vincoli permette di acquistarli a 10,80 euro a pacchetto.
In generale, poi, la spedizione e i resi sono gratuiti, il pacchetto prova idem (si pagano solo le spese di spedizione) e l’abbonamento permette di risparmiare tempo e denaro, sgravando i genitori anche dal pensiero di stoccare i pannolini o di assicurarsi di non rimanere senza.
Quando si parla di rappresentazione, spesso si viene tacciati di politically correct o di esagerazione. Ma non ci si scappa: la televisione, la letteratura e i prodotti sono invasi dalla white culture. Non solo: i bambini, guardando la tv e leggendo i libri, trovano una sola rappresentazione: quella dell’uomo e della donna (e del bambino e della bambina) bianchi, tendenzialmente magri, benestanti, con capelli lisci e stili standardizzati.
Ma per un bambino trovare sullo schermo la propria rappresentazione è fondamentale, soprattutto se vogliamo che la società progredisca e che le diversità siano finalmente valorizzate.
Il tema della rappresentazione e dell’identificazione, fondamentale oggigiorno, fa subito venire in mente la necessità di portare sullo schermo bambini, uomini e donne con la pelle diversa. Ma non si tratta solo di questo. Certo, il primo passo è differenziare lo standard, proponendo finalmente carnagioni di tutti i tipi in un ecosistema televisivo prettamente bianco.
Ma pensiamo anche a un bambino o una bambina con capelli molto ricci: sicuri che siano rappresentati bene? Se si cresce con l’idea che i capelli lisci siano più belli e comodi, un motivo c’è: i nostri prodotti televisivi e cinematografici ci hanno abituati a quelli.
Lo stesso discorso vale per le curve: i ragazzini e le ragazzine (ma anche noi adulti!) un po’ più in carne si sentono brutti, non si accettano. E il motivo, di nuovo, è da ricercare ANCHE nella rappresentazione.
Nicola Coghlan, Claire in Derry Girls e Penelope in Bridgerton, è diventata un'icona
Idem per quanto riguarda i tratti e la pelle: i bambini orientali hanno pochissimi riferimenti identitaria sullo schermo, e lo stesso vale per le persone nere, per gli individui latini, per chi ha origini mediorientali…
Prendiamo gli stessi ragazzini e le stesse ragazzine: se vedessero sullo schermo un attore con capelli ricci come i loro, o corpi finalmente normali e comuni, o la pelle nera e gli occhi a mandorla finalmente normalizzati e valorizzati, non sentirebbero di non essere diversi? Non avrebbero un modello su cui costruire la loro autostima?
Sono moltissimi gli studi che lo stanno dimostrando: avere modelli identitari positivi a cui guardare (e per modello si intende una rappresentazione simile a se stessi) è incredibilmente benefico per i bambini, soprattutto se questi modelli si allontanano dai classici stereotipi.
Questa ricerca parla ad esempio di come la rappresentazione stereotipata di certi gruppi etnici influisca negativamente sulle persone appartenenti a questi gruppi. Quest’altra studia come l’identificazione con i personaggi della propria etnia abbia risvolti “protettivi”.
Harry Potter and the Cursed Child: l'attrice che interpreta Hermione è nera. J.K. Rowling ha dichiarato che l'unica sua caratteristica erano i capelli crespi
Sembrano frivolezze, ma non lo sono. E per capirlo, come sempre bisogna mettersi nei panni degli altri, comprendendo il privilegio che una persona bianca e occidentale vive inconsapevolmente perché circondata da rappresentazioni che effettivamente la ricalcano.
Never Have I Ever, serie tv per teenager su Netflix in cui i personaggi indiano-americani sono finalmente liberi dagli stereotipi
Riducendo la questione all'osso per renderla più comprensibile, proviamo un esercizio su noi stessi: qual è il tratto che di noi non ci piace perché "diverso"? Io, ad esempio, non amo i miei capelli ricci e crespi. Cos'avete provato nel momento in cui sullo schermo avete visto qualcuno con quella caratteristica, stavolta valorizzata? Un'attrice con i vostri stessi capelli, un corpo come il vostro rappresentato come bello, una linea di cosmetici dedicata alla vostra pelle, un influencer su Instagram con quel difetto che a voi fa schifo e che lui riesce a mettere in luce come positivo... La prima reazione, probabilmente, è un "finalmente!". La seconda è una sorta di imitazione positiva: proverete a replicare quel look, quella postura, quel portamento... E non è positiva, questa "imitazione", se porta all'accettazione di sé?
In Italia siamo ancora lontani da tutto questo, ma i paesi anglosassoni per fortuna stanno capendo l’importanza della rappresentazione. Ricordate il bambino afroamericano che nello studio ovale chiese a Barack Obama se i suoi capelli fossero come i suoi?
Barack Obama nello studio ovale permette a un bambino di toccargli la testa dopo che questo gli ha chiesto se i suoi capelli fossero proprio come i suoi
E lo scalpore positivo suscitato da Black Panther, un supereroe finalmente nero in un film Marvel con un cast quasi completamente nero? Target, addirittura, ha incluso bambini in sedia a rotelle nelle loro pubblicità, dando la possibilità ai disabili di riconoscersi e sentirsi finalmente considerati. Barbie, invece, sta andando sempre più verso una gamma di bambole di tutti i tipi. DAVVERO di tutti i tipi (ci sono le Barbie curvy, quelle in sedia a rotelle, quelle senza genere, quelle alte, basse, magre, ricce, lisce…).
Non sminuiamo con un “basta con tutto questo politicamente corretto”. Le nuove rappresentazioni non minacciano la nostra, ma la arricchiscono. Diamo finalmente spazio anche agli altri, che dite?
Zone gialle, e poi rosse, e poi lockdown, e poi si torna a scuola: la realtà è ormai questa e probabilmente — guardiamoci in faccia — il walzer scuola-DAD durerà ancora per un po’. Ma essere ormai abituati non significa non soffrire e non provare ansia. Anzi.
La didattica a distanza di questi mesi (è passato un anno esatto dall’inizio della pandemia) ha stravolto orari, abitudini e certezze e, nonostante la consapevolezza che il distanziamento sociale sia la regola numero uno per proteggere se stessi e gli altri evitando la diffusione del virus, non sono solo i bambini e i ragazzi a subirne le conseguenze. Senza vergogna, possiamo dire che anche noi genitori la stiamo soffrendo molto. È normale, ma è giusto prendere in mano la situazione, riconoscere che è un problema, che siamo umani, e provare ad affrontare e risolvere questa ansia da DAD.
Appurato che la didattica a distanza sia necessaria (e anche la maggior parte dei genitori di questo studio hanno supportato la decisione di chiudere le scuole), ma appurato allo stesso tempo che a lungo andare sia deleteria e stressante per i bambini e i ragazzi, possiamo concentrarci su noi genitori: anche le mamme e i papà stanno soffrendo questa situazione, e nello stesso studio (intitolato “COVID-19 and Remote Learning: Experiences of Parents with Children during the Pandemic”) i genitori parlano proprio del peso della nuova responsabilità sulle loro spalle, che è enorme.
Lo stress colpisce infatti in maniera ambivalente. Prima di tutto perché il pensiero va ai figli, alla loro educazione, ai loro problemi e alle loro emozioni. E in secondo luogo perché la scuola da casa ci ha costretto, chi più chi meno, a stravolgere anche le nostre, di abitudini, lavorando da casa con un occhio sempre al computer dei ragazzi, con la baby sitter accanto a noi perché altrimenti come vai in riunione, con il nuovo ruolo di insegnanti-oltre-all-insegnante…
Non solo: a creare stress sono le nuove responsabilità tra lavoro, casa e scuola, le difficoltà tecniche che ogni giorno sembrano coinvolgere la DAD e le piattaforme utilizzate, il ridotto dialogo con gli insegnanti… Insomma, tutto si somma e l’ansia esplode.
L’ansia da didattica a distanza probabilmente non è molto diversa da quella “normale” e i sintomi sono vari, ma comuni. Si va dall’insonnia all’irrequietezza, dalla paura generalizzata ai sintomi fisici come le palpitazioni, il prurito e il dolore cervicale… Ognuno la somatizza e la esprime a suo modo, a volte nemmeno rendendosene conto.
Gli ultimi tempi, in particolare, hanno fatto esplodere l’ansia anche nelle persone che mai ne avevano sofferto (e che quindi non sanno riconoscerne i sintomi), incrementandola in chi, invece, già era ansioso.
Innanzitutto, è fondamentale riconoscere di essere stressati. Lo stress e l’ansia sono come un bollitore per il tè: si accumulano, si scaldano e ad un certo punto il fischio esplode. Se, tuttavia, guardiamo in faccia il nostro essere stressati e sopraffatti, possiamo in qualche modo attenuare la situazione e “spalmarla”, senza arrivare allo scoppio.
Dopodiché, cerchiamo — per quanto possibile in una situazione eccezionale e terribile come quella della pandemia — di prendere delle abitudini anti-stress. E la prima abitudine da prender, è prendere delle abitudini. No, non è un gioco di parole: la routine quotidiana è sempre fondamentale, ma lo è soprattutto quando i ragazzi sono a casa da scuola. Cechiamo di trovare un equilibrio e degli orari predefiniti lungo tutta la giornata. Creare delle abitudini e dei punti fermi è il primo passo contro l’ansia, sia per i bambini, sia per gli adulti.
Terza regola è concedersi delle pause. Esattamente come i bambini hanno bisogno dell’intervallo, anche noi genitori lo necessitiamo, solo che ce ne dimentichiamo. Questa pausa deve essere quotidiana e generica. Significa che ogni giorno dobbiamo ricordarci di prenderci delle piccole pause lungo la giornata (spesso lavorando da casa ce lo si dimentica!) e che ogni tanto dobbiamo concedercene di più lunghe, magari dandoci il cambio con il partner o la partner, in modo da rilassarci, rimettere in ordine i pensieri e ricaricarci.
Cerca, poi, di mantenere il contatto e il dialogo con gli insegnanti. La DAD sta mettendo a dura prova anche loro e spesso si perdono occasioni per confrontarsi. Cerca di tenere comunque questo contatto, parlando dell’educazione di tuo figlio, di ciò che risulta per lui difficile, di cosa si può migliorare e di cosa sta invece andando bene. Farà bene a te e farà bene a loro.
E, come sempre, non avere paura di chiedere aiuto: che sia professionale (uno psicologo specializzato) o informale (come l’aiuto di parenti e amici), non vergognarti di chiederlo quando sei sopraffatto o sopraffatta!