No, non vogliamo le mimose. Non le vogliamo perché c’è ancora troppa violenza nei confronti delle donne, troppa discriminazione. E non è un fiore a cambiare le cose. Forse un gesto più concreto può valere di più, può sensibilizzare meglio. Ecco perché l’iniziativa di “Non una di meno” ci piace: uno sciopero femminile di 24 ore per la giornata dell’8 marzo.
L’iniziativa dello sciopero nel giorno dell’8 marzo non sarà lieve: ad essere coinvolti sono più di 40 paesi nel mondo (anche gli USA, che continueranno la lotta contro Trump iniziata con la Women’s March del mese scorso), che grazie a questo grido silenzioso (ma non troppo) sperano di sensibilizzare finalmente in maniera concreta su un tema a noi molto caro: quello della violenza sulle donne.
Sul sito di “Non una di meno” (l’organizzazione che certamente ricorderete per aver portato in piazza, lo scorso novembre, più di 200.000 persone per manifestare contro la violenza maschile e i femminicidi) c’è il Vademecum di “Sciopero Lotto Marzo”: l’invito è quello a scioperare (fisicamente o metaforicamente), a partecipare ad assemblee dedicate, a organizzare cortei nelle città e a partecipare a flashmob o proteste sul web, il tutto per continuare a tenere vivo questo importante tema.
Lo sciopero, in particolare, è l’iniziativa che più ci colpisce: se davvero tutte lo prendessimo in considerazione, l’eco sarebbe enorme e rilevante! Ecco perché chi vuole è invitata a fermarsi: lavoratrici dipendenti, autonome, pubbliche, ma anche disoccupate e casalinghe. Tutte, per 24 ore, dovranno posare lo strumento di lavoro, con l’assicurazione di essere legittimate da una copertura sindacale (indipendentemente dal fare parte o meno di un sindacato: qui trovate il Vademecum).
E le lavoratrici nel campo della comunicazione? A loro è affidato un altro compito, e cioè quello di unirsi alla mobilitazione scioperando ma anche veicolando, quel giorno ma non solo, contenuti di denuncia contro i media sessisti, quei media che creano pubblicità mercificanti, che esaltano il trash della violenza in tivù e che difendono gli stereotipi più retrogradi.
Lo sciopero è stato proclamato ufficialmente da diversi sindacati (tra cui la CGIL) e ciò permetterà di potersi fermare, per 24 ore, nel giorno dedicato alle Donne per urlare al mondo il proprio supporto alla causa. L’iniziativa arriva infatti alla fine di un percorso che è iniziato lo scorso 26 novembre nelle piazze e che è continuato il 4 e il 5 febbraio a Bologna (quando mille e seicento femministi si sono ritrovati nelle aule di Giurisprudenza per confrontarsi su otto tavoli tematici: lavoro e welfare, femminismo migrante, diritto alla salute sessuale e riproduttiva, educare alle differenze, percorsi di fuoriuscita dalla violenza, sessismo nei movimenti, narrazioni della violenza attraverso i media, piano legislativo e giuridico): ad essere messo in discussione è il piano contro la violenza sulle donne varato nel 2015 dal governo, troppo debole, al quale è stata affiancata la proposta di “Non una di meno” per un Piano Femminista Contro la Violenza.
Astenetevi dunque dal lavoro produttivo e riproduttivo, mercoledì 8 marzo; fate sì che le 24 ore della giornata siano colorate con il nero e il fucsia che distinguono la matrioska simbolo di “Non una di meno”; indossate il vostro “pussyhat”, il cappello rosa con orecchie di gatto che ha contraddistinto la marcia femminile negli Stati Uniti (qui trovate tutto ciò che c’è da sapere, insieme a qualche pattern per cucirvelo da sole!).
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Ma soprattutto, sovvertite l’indecente tendenza degli ultimi anni, quella delle frivole “girls night out” (che si possono organizzare tutte le sere, ma magari l’8 marzo evitiamolo, va’), quella delle serate negli strip club a vedere spogliarelli maschili che, non so a voi, ma a noi fanno solo esclamare un bel “bah...”, quella della giornata della donna intesa come femminismo sbagliato, tutto frufru e mimose, tutto bacini tra amiche e gridolini da ochette. Quello non è femminismo.
“Se le nostre vite non valgono, noi ci fermiamo”, è lo slogan dello sciopero. E allora anche a noi viene voglia di metterci a braccia conserte. Finché davvero non capiranno il nostro valore.
(Foto: Evan Crouch)
Ieri vi abbiamo parlato dei negozi online dove comprare la learning tower montessoriana, e cioè lo sgabello fatto apposta per i bambini, per alzarli al livello della cucina in modo che possano lavorare e cucinare insieme a noi, sviluppando le loro capacità di indipendenza e di manualità.
Se però vi sentite in vena di DIY, se avete quindi tempo per mettervi in gioco e darvi al fai da te, sappiate che costruirne una con le proprie mani non è così difficile come si potrebbe pensare! Soprattutto perché c’è una base perfetta ed economicissima: una scaletta Ikea che sembra fatta apposta per partire a costruire la nostra learning tower!
Il primo passo è quindi quello, semplicissimo (e divertente: è pur sempre shopping!), di comprare la scaletta/sgabello Bekvåm, disponibile in legno naturale oppure già laccata di bianco, comoda quindi se scegliete di dipingere la vostra learning tower di questo colore neutro. Costa solo 15 euro, e il materiale successivo certamente non sarà eccessivamente caro.
(Immagine: Ikea)
Comprate poi in un negozio per il fai da te un listellone quadrato in faggio, lungo almeno 3 metri e largo circa 4/5 centimetri. Tipo questo, da Leroy Merlin. Questo costa 3.70: capite che il prezzo è davvero accessibile.
Con una sega, tagliate da questo listello quattro pezzi lunghi 40 centimetri l’uno. Tenete da parte il restante materiale, che vi servirà per collegare i listelli e costruire la protezione.
Iniziate costruendo una sorta di gabbia che sia larga e lunga quanto il gradino superiore dello sgabello ikea, utilizzando in altezza i quattro listelli da 40 centimetri e collegandoli tra loro con altri listelli, aiutandovi con trapano e viti.
(Immagine: http://happygreylucky.com/ikea-hack-toddler-learning-tower-stool/)
Prendete poi questa gabbia e montatela sul gradino superiore dello sgabello, fissandola con delle viti.
(Immagine: http://happygreylucky.com/ikea-hack-toddler-learning-tower-stool/).
Montate poi il resto dello sgabello ikea e fissate, con del collante per legno oppure con altre viti, un altro listello sulla cima superiore della gabbia, in modo da formare la “protezione” anticaduta (meglio se il listello è tondo: anche questo lo si trova nei negozi di carpenteria e fai da te).
(Immagine: http://happygreylucky.com/ikea-hack-toddler-learning-tower-stool/)
Se volete, potete anche dipingere la vostra learning tower, scartavetrando il legno e spruzzando una vernice spray atossica (molto più comoda della pittura classica!), scegliendo il vostro colore preferito!
(Immagine: http://onefreehand.com/learning-tower-diy)
La paella è un piatto tradizionale della Spagna, non solo buonissimo ma anche completo: la sua preparazione è in generale molto lunga per cui decido di realizzarla in maniera un po' alternativa, sfruttando gli scarti di pesce e di verdure delle sere precedenti. Il risultato è però ottimo, anche se molto deriva dal misto di spezie che uso: è la miscela per Paella della Fenice Occitana che come alcune di voi sanno è il mio "spacciatore di spezie" senza il quale non potrei cucinare. Ne aggiungo due cucchiai ogni 300 grammi di riso e il risultato è strepitoso anche in un semplice riso bianco, figuriamoci nella paella!
Il riso nero, o riso Venere, è tra i nostri preferiti: molto croccante e con un profumo irresistibile, ha anche moltissime proprietà e ci permette di realizzare ricette sane e gustose che piacciono anche ai bambini. Come questa insalatona dai mille colori!
La quinoa non è un cereale, ma una graimnacea, anche se per consistenza somiglia molto al riso, al cus cus e compagnia bella. Meno pesante, è quindi perfetta come alternativa ai cereali, soprattutto in caso di intolleranze o difficoltà di digestione! Non pensate che sia difficile da preparare, e soprattutto non pensate che sia difficile da trovare: ormai anche i supermercati hanno la quinoa, e quindi è bene approfittarne!
Non lo neghiamo: i risotti ci piacciono moltissimo. Soprattutto quando troviamo abbinamenti all'apparenza strani che alla fine si rivelano vincenti. Proprio come questo, che associa il gusto morbido della robiola con l'acidità dei mirtilli!
Un'insalata non solo estremamente sana ma anche sorprendentemente buona! A seconda della stagione potete arricchirla con vegetali di stagione (da provare le pesche in estate) o con il formaggio che più gradite (noi per esempio adoriamo la variante con il blu di capra al posto della feta).
L'avena è un alimento incredibilmente benefico per il nostro organismo perchè contiene al suo interno non solo fibra anche calcio, fosforo, vitamine del gruppo b e sostanze antinfiammatorie.
Qualche giorno fa ho avuto la visita ginecologica di controllo..a proposito…fatela sempre ok? che la Bernarda davvero è la chiave che apre tutte le porte, deve stare bene ;-)… scherzo dai, fateve na risata…insomma vi dicevo, sono andata dalla mia gine di fiducia e mi ho fatto il tagliando annuale. Visita…pap test…tutto a posto. In realtà era passato meno di un anno dal precedente controllo, ma diciamo che avevo un piccolo problemino…un leggero fastidio…un’inezia…ma a voi posso raccontarlo serenamente.
Diciamo che la mia sindrome premestruale era andata, come dire…leggermente fuori controllo. Ora…voi sapete sicuramente benissimo di cosa parlo…qualche giorno prima del ciclo noi donne passiamo delle giornate un po’ particolari, giornate in cui anche il passerotto che canticchia sul ramo dell’albero di fronte scatena in noi istinti omicidi. Giornate in cui se passiamo l’aspirapolvere e il marito rientra e non si sfila le scarpe, parte un pippone di quelli che veramente tremano pure i vetri de casa. Giornate in cui se vostro figlio, mentre si lava i denti, decide di sputare sullo specchio del bagno, è meglio che si vada a nascondere sotto al letto fino a che non è passato l’ira funesta della madre. Perché è vero. La sindrome premestruale esiste, l’abbiamo sempre avuta.
Ma tra una donna in premestruo e una madre in premestruo…lasciatevelo dire per esperienza personale, non c’è davvero competizione. Io me la ricordo la sindrome premestruale di quando avevo 20 anni e vivevo da sola. Era sufficiente una tavoletta di cioccolata e un film. E ovviamente non essendoci altri esseri umani nei paraggi era tutto molto semplice e gestibile. E ricordo la sindrome premestruale dei miei 30 anni…quando convivevo con il mio amore e non c’erano ancora i figli…era sufficiente far partire un unico lungo urlo, tipo delfino, il marito capiva che tirava una brutta aria, che non ce ne sarebbe stato per nessuno per qualche giorno, che di trombare non se ne parlava nemmeno, e che era meglio presentarsi a casa con cibo da asporto e un dvd. Fine della storia. Poi passava e tutto tornava normale. Poi arrivano i figli, ed è inutile che ce la raccontiamo. Lo abbiamo detto e ridetto in tutte le solfe che sono la cosa più bella che potesse accaderci, ma la vita certo te la sconvolgono un attimino…il tempo per noi (anche se poi è tutto molto soggettivo) si riduce di parecchio…le abitudini cambiano, il nostro corpo cambia, il sonno, il metabolismo…tutto…le tette calano e pure di parecchio (a meno che come me non le avete e allora il problema è risolto a monte). Ci sentiamo distrutte, spesso sopraffatte, stanche…abbiamo sonno ma non possiamo dormire o almeno non sempre e non quanto vorremmo. Abbiamo fame ma il senso di colpa dei chili da smaltire attanaglia lo stomaco…e via che mangiamo il doppio per mettere a tacere il senso di vuoto. Ingolliamo schifezze che riempiono le pance e danno conforto…chi più chi meno passa queste fasi.
Ma i figli ovviamente crescono e poi le cose migliorano. Ma la sindrome premestruale di una mamma…io credo sia un’esperienza davvero degna di nota. Altro che cioccolata dvd o cibo da asporto…sapete che dice mio marito? Che subito dopo il ciclo io miagolo…ed è vero…divento tutta smielata e dolce e devo dire c’ho pure una certa verve dal punto di vista sessuale…come dire…potrei davvero concedermi a intervalli regolari di 15 minuti…poi…passano quei 7/10 giorni…e lui dice che inizio a ringhiare. E dopo aver negato per anni questa mia condizione, adesso, alla veneranda età di 38 anni, ho deciso che basta. Lo ammetto. Io ho un problema e si chiama sindrome premestruale. E non scherzo…è davvero bastarda porca miseria!
Gli ormoni aumentano all’improvviso…e scatenano tutta una serie di reazioni che mannaggia la pupazza te mandano al manicomio! O almeno mandano al manicomio me! Fanno male le tette, la testa, spuntano brufoli grossi come crateri, mangiamo troppo o troppo poco, ci sentiamo costipate e gonfie…l’umore è ai minimi storici e passiamo da euforia a depressione in pochi minuti, tipo Fantozzi durante l’andropausa…siamo stanche, dormiamo male e il nostro livello di concetrazione e di sopportazione è pari a zero. Ora. In una situazione del genere, secondo voi, abbiamo voglia di trombare? Certo che no…è ovvio…io vorrei vedere un uomo co sti sintomi, arriverebbe al suicidio.
Ma loro, candide anime, spesso invece di provare a capire che forse non è il caso di metterci il carico da 90, a volte arrivano a casa con tutte le intenzioni di mettere alla prova la nostra pazienza. Una situazione tipo? Fuori piove…diluvia…tu sei stata tappata dentro coi bimbi urlanti per tutto il week end mentre lui lavorava (si perché lui lavora, mentre invece noi pettiniamo bambole o portiamo a spasso i capelli)…non hai avuto nemmeno il tempo per una doccia…non hai potuto fare la spesa perché magari uno dei due è raffreddato quindi hai pensato fosse meglio non uscire…ragion per cui hai dovuto mettere su per cena un calderone di avanzi arrangiati alla bene meglio… la casa fa schifo, un disordine tremendo…le ceste dei panni sporchi tracimano in modo pietoso e addosso hai le calze del marito perché le tue sono finite…
Lui entra in casa…e tu senti dalla cucina le sue scarpe bagnate che fanno “sfratch sfratch sfratch”, segno inconfutabile che il tappetino all’ingresso lo ha come al solito saltato! Che urto! I bimbi lo vedono e gli corrono incontro! Papàààààààààààààààà finalmente sei arrivato! Pare che hanno visto Gesù Cristo in terra! “ciao bimbi che avete fatto di bello!”…e loro… “nulla…ma adesso ci sei tu finalmente possiamo giocare”. Primo micro embolo, perché oltre a fare 1899 cose al minuto, hai anche giocato con loro e fatto torte e costruito casette di lego e raccolto giochi e impastato didò e pulito litri di scolatura di acquerelli. Ma vabbè fa nulla, il papà non lo hanno visto mai, è normale…
Stai finalmente per tirare un sospiro di sollievo…lui è a casa, se li può ciucciare per un po’ e tu puoi chiuderti in bagno per un’oretta cercando con una doccia di scacciar via almeno una parte di quegli ormoni maledetti. Ma lui…no…li lascia in soggiorno, entra in cucina, ti guarda in faccia e dice “che hai fatto…che è sta faccia…tutto a posto?”…e lì, signore e signori, la donna parte! E con quella voce sibilata, tipo possessione diabolica, in meno di 5 minuti, fa il riassunto di 48 ore di delirio passate in casa…lui ascolta, annuisce, butta un occhio al telefono forse per essere sicuro di averlo a portata di mano per chiamare i carabinieri, si assicura che la donna sia lontana da coltelli o altri oggetti affilati e appuntiti…e leva il chiavistello dalla porta, per avere una via di fuga di facile accesso. Lei riprende fiato, le guance rosse dalla rabbia…e lui che fa? Invece di limitarsi ad abbracciarla, risponde “ahò, ma io so stato a lavorà mica me stavo a divertì…”.
Da lì in poi i ricordi diventano sfuocati…so solo che molto probabilmente quando mi troveranno riversa a terra e mi faranno l’autopsia, troveranno tutta una serie di microemboli nella mia testa. E ognuno di quelli sarà stato causato da una frase detta da mio marito, tipo “e mamma mia che sarà mai….” oppure “ah acida, ma che te deve venì il ciclo” o ancora “dai stasera te faccio calmà io” oppure “ma se so boni boni sti figli”. Ecco, un consiglio…almeno durante la settimana prima del ciclo, o voi testoman, evitate questo sarcasmo, perché diventate fastidiosi come le emorroidi ad agosto. Portateci pizza gelato e schifezze. Diteci che siamo belle come il sole anche se in realtà puzziamo e abbiamo il pigiama da tre giorni. Prendete i bambini e levateceli da mezzo, possibilmente per una volta lavateli e mettetegli il pigiama senza chiederci ogni santa volta se dovete lavargli anche culetto e piedini. Cenate in silenzio facendovi andar bene tutto quello che c’è in tavola.
Evitate battute tipo “ma non eravamo a dieta? Come mai hai fatto pasta a cena?”. E vedrete che presto passerà e torneremo a essere dolci come il miele…forse…e comunque, tra due settimane io inizierò a prendere una magica pillola, che la mia gine mi ha dato per evitare di dovermi venire a portare le arance in carcere per i prossimi vent’anni ;-).
Cinzia Derosas
Ve ne avevamo già parlato: nella didattica montessoriana oltre al lettino basso e ai mobili ad altezza bimbo c’è un altro strumento utilissimo e imprescindibile per il raggiungimento dell’indipendenza da parte del nostro bambino.
Parliamo della learning tower, o più semplicemente dello sgabello Montessori, lo strumento perfetto per far sì che il bambino possa aiutare l’adulto nella quotidianità, cucinando soprattutto insieme a lui, in modo da acquisire naturalmente e con i suoi tempi le skills necessarie alla crescita e alla indipendenza.
Lo sgabello montessoriano è infatti una piccola scaletta in legno fatta apposta per essere sicura per il bambino, che salendoci può arrivare tranquillamente all’altezza del tavolo e della cucina, potendo così cucinare, lavare o semplicemente giocare “all’adulto”, insieme a mamma e papà.
Solitamente gli accessori montessoriani costano moltissimo, e siamo portati a cercare soluzioni per farli da noi (DIY, direbbero in America). Ma questo sgabello lo si trova ormai in moltissimi negozi online: approfittiamone!
Prima di tutto, una torre per l'apprendimento italiana e bellissima: si tratta di ully di moblì che troviamo in versione Natural o One , solida, pratica e naturale (in legno di betulla), ma soprattutto sicura perché senza spigoli. È facile da spostare grazie alle sue dimensioni e la sua altezza è modificabile grazie a un sistema che permette di trascinare la pedana dentro e fuori dalle apposite guide.
Per acquistarla: Amazon
E c'è anche la versione bianca, ully One:
Per acquistarla: Amazon
C'è poi Amazon: qui potrete trovare alcune learning tower davvero sicure con prezzi che vanno dai 100 ai 140 euro. In particolare, il negozio Bianconiglio Kids propone due varianti, in bianco e in legno naturale, entrambe con piani regolabili in altezza e adatti a bambino fino a 125cm, al costo, rispettivamente, di 120 e 115 euro.
(Amazon)
Sempre su Amazon ecco, a 139 euro, lo sgabello da cucina di GuideCraft, anche qui disponibile in due colorazioni: betulla naturale e nero limited edition. Rispetto agli altri questi due kitchen helper hanno in aggiunta delle forme intagliate (che lo rendono più divertente), ma soprattutto un riquadro-lavagna che può essere utilizzato dai piccoli artisti.
(Amazon)
Un’altra buona selezione di learning towers la troviamo sul portale Etsy: qui i prezzi sono un attimo più accessibili. E potete anche trovare degli sgabelli ottenuti dalla lavorazione di alcune scalette Ikea che si prestano benissimo all’hacking per essere trasformate in learning tower: è il caso di queste, vendute di nuovo da Bianconiglio Kids al costo di 60 euro più spedizione.
(Etsy)
Il negozio EtteEtte dà invece due possibilità: la prima è uno sgabello montessoriano molto semplice e disponibile in più colori, con un costo di 54 euro più spedizione.
(Etsy)
La seconda è ancora più bella, poiché lo sgabello è trasformabile: integrato, grazie ad un gioco di cerniere, vi è un tavolino, perfetto per fare mangiare in maniera indipendente il bambino.
(Etsy)
La terza possibilità su Etsy è la più costosa, ma lo sgabello si presenta più solido e grande ed è disponibile in moltissimi colori: costa 83 euro più spedizione.
(Etsy)
Anche il sito happybabies.it vende learning towers costruite a partire dagli sgabelli ikea: hanno una pagina interamente dedicata a questo oggetto e danno la possibilità di scegliere il colore, le finiture, il numero di sbarre e se comprare tutto lo sgabello oppure solo il binario, con prezzi davvero molto convenienti.
(Etsy)
(Immagine: Io Donna)
Il Kintsugi è una tecnica che viene dal Giappone e che si riferisce agli oggetti di uso quotidiano, soprattutto alle stoviglie. Ma una volta che vi avremo spiegato nel dettaglio di cosa si tratta siamo sicuri che come noi proverete l’impulso di applicare questa filosofia a tutta la vita: perché gettare via qualcosa che si è rotto o rovinato e non valorizzarlo ridandogli una nuova vita? Perché non cercare di riparare, invece che rinunciare? Non sarebbe un bell'insegnamento per i nostri bambini? Non sarebbe fantastico se imparassero direttamente da noi cosa significa essere resilienti e abbracciare le avversità della vita?
Cos’è il Kintsugi? Il Kintsugi (o Kintsukuroi) è una tecnica che prevede la riparazione di una stoviglia rotta attraverso un collante dorato che la rende così ancora più bella da vedere. Ma entriamo nel dettaglio: quando ci si rompono un piatto, un vaso o un oggetto di ceramica, noi siamo abituati a disperarci un secondo (se questo oggetto ha un valore, economico o affettivo) e a buttarlo nella spazzatura. Ma perché non recuperarlo?
I giapponesi lo fanno: raccolgono i cocci, tranquillamente, e ricompongono la ceramica. Ne uniscono tutti i frammenti come in un puzzle e li rincollano insieme con un collante (la lacca Urushi, ricavata dalla pianta verniciflua Rhus) coperto con della polvere d’oro o d’argento. Grazie a questi oro e argento rendono così la ceramica più preziosa, con nuove e uniche venature.
Le crepe, da noi considerate brutture o segni da nascondere, in Oriente sono al contrario considerate valore aggiunto, da esaltare. Perché? Be’, perché nessuno è perfetto, ognuno ha i suoi difetti, e se dovessimo gettare via tutto ciò che ha una piccola imperfezione saremmo rovinati.
Vale per gli oggetti, che attraverso questa tecnica divengono ancora più preziosi (anche economicamente, dal momento che nell’impresa vengono utilizzati metalli preziosi) e peculiari, ma il pensiero può essere applicato anche alle persone e ai rapporti: il nostro mondo consumistico ci impone, inconsciamente, di gettare via ciò che si è rovinato, e di conseguenza sono sempre meno le persone che tentano di salvare rapporti ormai deteriorati. Al contrario questa tecnica ci insegna a prendere ciò che è rotto e a valorizzarlo, riparandolo (e non gettandolo via) per fare nascere dai suoi cocci un qualcosa di ancora più prezioso e unico, segnato positivamente dal tempo e dagli accadimenti della vita.
Gli oggetti riparati con la tecnica del Kintsugi raccontano una loro storia, e lo fanno attraverso quelle crepe visibili e finalmente belle, non nascoste e non motivo di rassegnazione. Allo stesso modo i segni e le cicatrici che ognuno si porta sul corpo o sul cuore possono diventare segno distintivo dell’unicità di quella persona, di quel rapporto, reso più forte e valorizzato dal tentativo (riuscito) di ripararlo.
In fondo il Kintsugi racconta un concetto a noi molto caro: quello della resilienza, la capacità di un ecosistema di tornare al suo stato originario dopo un evento che l’ha sconvolto e, per noi umani, la forza di saper resistere positivamente alle sfide della vita e alle avversità. Non lasciamoci rompere, insomma, ma troviamo la forza di rimettere insieme i nostri pezzi! Iniziando dalle stoviglie. E insegnandolo ai nostri bambini sin da piccoli, in modo da slegarli dalla nostra visione consumistica del mondo che ci ha fatto, fino ad ora, gettare nella spazzatura oggetti e relazioni alla prima, invisibile sbeccatura.
Volete provare a riparare quella bella tazzina che vostro marito ha fatto cadere o il piatto della nonna andato in mille pezzi? Provate con i kit che trovate in vendita online, come quello proposto da Humade.