Negli ultimi anni le città (grandi e piccole) si sono riempite di bambini e bambine che sfrecciano su piccoli e compatti monopattini. Una bella notizia: i benefici di questo mezzo di trasporto (che per loro è un po' un gioco!) sono numerosissimi.
Il monopattino per bambini è quindi - decisamente - una buona idea, un po' come la bici senza pedali: può essere un regalo graditissimo da genitori e figli, e in generale è un acquisto che non vi pentirete di aver fatto. Perché? Qui trovate un piccolo elenco di vantaggi, che siamo certi vi convincerà.
Pensate solo ai movimenti necessari per guidare un monopattino: un piede va sulla pedana, l'altro spinge, le mani stanno sul manubrio, si frena con il piede premendo il parafango posteriore... Non è qualcosa di automatico e per questo motivo imparare a correre sul monopattino è uno stimolo potentissimo alla coordinazione e all'equilibrio. Aiuta lo sviluppo psicofisico nella sua totalità, rafforzando la muscolatura e favorendo anche la concentrazione.
I bimbi e le bimbe che amano il monopattino sono molto più inclini a uscire all'aria aperta: hanno voglia di saltare in sella (anzi, in pedana) e di sfrecciare sul loro monopattino, perché questo diventa di fatto uno stimolo in più, aggiungendo quel pizzico di divertimento e di attitudine ludica che non guasta. Non sottovalutate questo aspetto: trascorrere tempo outdoor è importantissimo, sia per fare incetta di vitamina D (detta proprio la vitamina del Sole, perché si ricava quasi esclusivamente dai soli raggi UV) sia per stare meglio fisicamente.
Lo sforzo fisico e aerobico necessario per far sì che il monopattino corra è notevole, anche se a un primo impatto non sembrerebbe così. I bimbi e le bimbe che li guidano hanno quindi la possibilità di fare attività fisica quasi senza accorgersi, muovendosi moltissimo e consumando tanta, tanta energia. Un po' come i pattini: divertono tantissimo, e allo stesso tempo fanno stare bene.
Al pari delle biciclette e degli skateboard (altro strumento sportivo consigliatissimo per le bambine e i bambini!), i monopattini sono un mezzo di trasporto a zero emissioni, un modo per muoversi in paese e in città in maniera sostenibile a livello ambientale (ed economico). Andare alla scuola materna in monopattino, quindi: perché no?
Uscire con il monopattino necessita prima di tutto attenzione: i bambini, attraverso le regole date dai genitori e seguendo le loro direttive, imparano sul campo l'importanza della sicurezza, capiscono dove stare, imparano a non cadere, a mettere il casco e le protezioni, a non sfrecciare senza guardare dappertutto... Soprattutto inizialmente c'è bisogno di una supervisione costante e meticolosa, e il fatto che il monopattino sia potenzialmente pericoloso può fare paura, è vero. Ma se i bambini e le bambine non acquisiscono il senso del pericolo e l'importanza della sicurezza è peggio.
Spesso il monopattino può essere una soluzione ai capricci e al nervosismo. I bimbi non amano venire a fare la spesa? Proponete di farla con il monopattino. C'è da andare in vacanza e il pensiero di camminare per tutto l'aeroporto vi fa già affaticare? Portare con voi il monopattino, al posto del passeggino. Siete in ritardo per la scuola? Invece di camminare, meglio sfrecciare sullo scooter.
Se i bimbi e le bimbe si rendono conto di essere bravi a guidare il monopattino, c'è l'alta possibilità che questo aumenti in loro l'autostima. Non si tratta infatti solo di un movimento standard: quando prendono confidenza, i bambini possono diventare bravissimi con il loro scooter (si chiama così in inglese! Un false friend da ricordare), sfruttandolo proprio come se fosse uno skateboard, inventando evoluzioni e allenandosi sempre di più raggiungendo un livello invidiabile. Il consiglio in questo caso è di recarsi il più possibile negli skate park, ambienti protetti e stimolanti che fanno benissimo al fisico.
Lo diciamo praticamente sempre: ogni bambino ha i suoi tempi. Un'affermazione quanto mai vera soprattutto quando si tratta di camminare o parlare. Fare i primi passi e dire le prime parole sono due momenti fondamentali della vita di un bambino e di una bambina, e i genitori spesso vivono con trepidazione l'arrivo del momento. A volte però sopraggiunge anche l'ansia: quando tutto attorno bimbi e bimbe iniziano a camminare e parlare mentre il proprio ancora fa fatica, è difficile non restare indifferenti, soprattutto in questa società così giudicante e così dedita alla ricerca su Google.
Prima di preoccuparsi, quindi, è meglio calmarsi e vivere questi momenti con tranquillità e pragmatismo. Cosa significa? Che se i pediatri e le pediatre dicono che per i bambini sia normale iniziare a camminare intorno ai 12 mesi, se a 13 mesi il proprio figlio ancora fa fatica ad alzarsi non c'è da allarmarsi.
Lo stesso vale per la parola: il periodo in cui si impara a parlare è per ogni bambino unico e diverso. E anche gli stimoli esterni giocano un ruolo fondamentale.
Essendoci tuttavia dei disturbi del linguaggio, è bene sapere anche riconoscere i sintomi. Senza spaventarsi, anche in questo caso: semplicemente, ci si potrà rivolgere a uno o una specialista del linguaggio, come i logopedisti, per identificare ed eventualmente risolvere il problema.
Se i bambini compiono i primi passi attorno all'anno d'età, la parola arriva più o meno nello stesso periodo. Pur con tantissime variabili, i bambini e le bambine imparano a parlare, pronunciando le prime parole, più o meno tra i 12 e i 20 mesi. Un periodo ampio, proprio perché possono esserci bimbi che parlano precocemente e altri che ci arrivano più in ritardo. Ciò significa che alcuni bambini dicono le prime paroline a 7 mesi; altri non spiccicano parola fino ai 17 mesi, emettendo solo sgraziati suoni.
Quando il ritardo sembra proseguire, è bene indagare a fondo. Parlare non è infatti fine a se stesso e soprattutto è correlato ad altre funzioni fisiologiche e allo sviluppo cognitivo, come la memoria, l'attenzione, le abilità sociali, la motricità del cavo orale...
Di nuovo: i segnali che qui elencheremo non sono uguali per tutti e non sono per forza indicatori di altri disturbi, ma se li cogliamo, è bene segnalarlo al pediatra.
Oltre a queste regole generali, è bene osservare se i bambini e le bambine fanno o non fanno certe cose a seconda dell'età (sempre suppergiù):
In ogni caso, essendo il linguaggio un fattore molto importante per la crescita e un fondamentale indicatore dello sviluppo, il suggerimento è sempre quello di rivolgersi al proprio o alla propria pediatra non appena sorge qualche dubbio. Potrebbe non essere nulla, potrebbe trattarsi di un semplice ritardo sulla tabella di marcia; potrebbe essere qualcosa di importante o, ancora, qualcosa di risolvibile con l'intervento di un o una logopedista. L'importante è coinvolgere il medico o la medica di riferimento.
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Quando si parla di bambini piccolissimi, un luogo comune - ma veritiero - che emerge è la loro capacità di imparare una lingua nuova. Si dice che i bimbi imparino "come spugne", e in effetti è così: assimilano il linguaggio davvero facilmente.
Partendo da questo presupposto, circa cinquant'anni fa Shinichi Suzuki, violinista giapponese, si è chiesto se applicando lo stesso principio alla musica, i risultati fossero altrettanto promettenti e positivi.
Chi era Shinichi Suzuki? Shinichi Suzuchi, nato a fine Ottocento in Giappone, era il figlio di un fabbricante di violini. Crescendo con i suoi undici fratelli e sorelle era solito giocare vicino alla fabbrica di famiglia, osservando allo stesso tempo come gli strumenti musicali prendevano vita. Ciò che lo affascinava, era il processo che portava un pezzo di legno a diventare un oggetto che producesse suoni tanto armoniosi e ammalianti.
A diciassette anni circa, dopo aver ascoltato un pezzo di musica classica suonato da un violino ed esserne rimasto estasiato, portò a casa dalla fabbrica del padre uno di quei violini. Imparò a suonarlo da autodidatta, cercando di replicare, imitandoli, i suoni sentiti nei dischi e in radio. Fu a quel punto che si chiese se i bimbi piccoli, e non gil adulti, potessero imparare la musica appocciandosi ad essa come ad una nuova lingua. Sperimentò quindi quello che chiamò il "metodo madrelingua", che oggi prende il suo nome. Perché fu rivoluzionario? Perché all'epoca, verso metà del Novecento, la prassi era che i bambini e le bambine iniziassero a suonare uno strumento solo verso gli undici, dodici anni.
Secondo il violinista, conoscere la musica non è un'abilità innata, ma qualcosa che può essere imparato e sviluppato con metodo. Così come imparano la propria lingua madre, quindi, i bambini e le bambine possono imparare la musica, sfruttando il loro potenziale fino in fondo.
A confermarlo è proprio il metodo Suzuki: quando iniziò ad applicarlo, la gente che ascoltava i suoi piccoli studenti restava affascinata, ritenendo che si trattasse di piccoli geni della musica. In realtà non si trattava di bimbi e bimbe prodigio, ma semplicemente di bambini e bambine ai quali Suzuki iniziò a insegnare la musica fin da piccolissimi.
Da allora, il suo metodo e soprattutto l'approccio alla musica sin dai primi anni di vita sono sempre più diffusi. Anche a casa, e non solo a scuola si possono peraltro avvicinare i più piccoli alla musica: sono diverse le attività quotidiane per abituarli ad ascoltare. Avete mai provato, ad esempio, a giocare con la musica classica?
Suzuki, di base, era convinto di un fatto: imparare la musica non è importante solo per le persone - grandi o piccole - che vogliono farne una professione o diventare provetti musicisti o cantanti. Secondo il violinista, la musica e la sua lettura, la sua conoscenza, possono essere uno strumento imprescindibile e importantissimo per aiutare i bambini e le bambine a sviluppare il proprio carattere e le proprie capacità (non solo musicali).
Addirittura, Shinichi Suzuki sosteneva che i piccoli studenti e le piccole studentesse possano crescere e diventare bravissime persone, perché più inclini a cercare la pace e l'ordine nelle cose, proprio come trasmette la musica. In ogni caso, la musica è certamente uno strumento importante per la vita e per lo sviluppo cognitivo.
Noi italiani non riusciamo a rinunciarvi: la colazione dolce sembra ancora al primo posto, e la colazione salata ancora non la surclassa. Se anche nella vostra famiglia siete soliti optare per le cose zuccherate, ecco un'idea diversa dal solito: si tratta dei bagel dolci conditi con frutta fresca di stagione. Una sorta di "pane e marmellata", che accosta il salato del bagel alla dolcezza della frutta, e che siamo certe vi farà impazzire.
I bagel? Potete acquistarli, oppure prepararli in casa secondo la nostra ricetta collaudata. E se amate il cioccolato, potete optare per i bagel al cacao!
Su Mamma Pret a Porter ve li proponiamo spesso: i nomi vintage più belli, quelli più diffusi negli ultimi anni, i nomi ispirati alla primavera, alle moderne eroine, agli artisti... In questo articolo vorremmo invece indagare una tendenza che sembra essere sempre più diffusa, ovvero quella alla ricerca di nomi particolari e rari per bambine e bambini, in un tentativo di originalità e per lasciare ai propri figli qualcosa di davvero eccezionale.
Non si tratta però solo di uno sfizio o di vanità: scegliere il nome per il proprio figlio o la propria figlia è un processo spesso profondo, vissuto con trepidazione, ansia o eccitazione, e nella maggior parte dei casi molto emotivo. Si tratta pur sempre di scegliere qualcosa che durerà per sempre: chiaro che i genitori abbiano una grossa responsabilità!
Anche perché il nome influenza molto la personalità e la vita di una persona. E nell'articolo vi spieghiamo perché.
Come accennato, la scelta del nome da assegnare al proprio bambino o bambina è quanto mai importante. Non solo a livello sonoro ed estetico, ma anche per la vita in generale. Secondo alcuni studi, infatti, il nome forgia l'identità e soprattutto influenza la vita. Al di là degli stereotipi legati ai nomi, pare infatti che il suono del proprio nome abbia ripercussioni sulla carriera. Lo dice per esempio uno studio presentato in un'edizione di PBS Digital Studios' BrainCraft series: secondo i ricercatori, le persone ascoltano e scrivono continuamente durante l'infanzia il proprio nome, e questo porta a sviluppare un egoismo implicito. Il nostro nome, insomma, nella maggior parte dei casi ci piace, ci dà conforto, e su esso costruiamo un piacere narcisistico.
Allo stesso tempo, il suono del nostro nome e le lettere che lo compongono ci piacciono più delle altre. E questo ci porterà ad apprezzare di più certi luoghi, lavori o persone, inconsciamente, indirizzando la nostra vita e la nostra carriera in una certa direzione. Un esempio banale per dimostrarlo? A Saint Louis, negli USA, ci sono tanti, tantissimi Louis. A Philadelphia, invece, un numero elevatissimo di persone chiamate Philips.
La tendenza a scegliere nomi rari e unici per i bambini ha quindi un impatto importante su ciò che questi bambini saranno (non negativo o positivo: semplicemente un impatto, spesso inconscio).
Prima di tutto, c'è da dire che questa tendenza è un'evoluzione diretta di come vanno i tempi. Avete mai sfogliato un vecchio albero genealogico della vostra famiglia? Un tempo era normale usare sempre gli stessi nomi, facendoli ricorrere più volte nel giro di pochissime generazioni. Si trattava di omaggi agli antenati, o di una tradizione culturale legata alla propria religione, e questo comportava un ventaglio di scelta piuttosto limitato.
Oggi nel mondo la tendenza ancora rimane. Pensiamo a certe tradizioni, come quella musulmana di dare al primogenito maschio il nome Mohammed (scritto in diverse forme a seconda di dove ci troviamo, essendo una traslitterazione dall'arabo: significa "Maometto"). In Occidente, tuttavia, sempre più genitori scelgono nomi poco diffusi.
Prendiamo Will e Jada Pinkett Smith: i due attori hanno mischiato i propri nomi e li hanno dati ai figli Jaden, Willow e Willard. Più vicino a noi ci sono invece Francesco Totti e Hilary Blasi: alla loro figlia hanno dato addirittura il cognome di una stilista del secolo scorso, Chanel. Per non parlare di Apple, figlia di Gwyneth Paltrow e Chris Martin, o X Æ A-XII, figlio di Elon Musk e Grimes.
Un piccolo elenco che tuttavia dà bene la misura della tendenza: le star hanno aperto una strada ben precisa.
Oggi non sono però solo le celebrities ad assegnare nomi strani, rari e particolari ai propri figli. Le statistiche parlano di come i nomi unici siano sempre più diffusi nelle culture che mettono al centro l'individuo, e non la collettività. Il motivo alla base della scelta è infatti tendenzialmente uno: dare un nome particolare per aiutare il proprio figlio o figlia ad emergere, ad essere unico o unica, a spiccare tra gli altri.
I primi a farlo furono (a partire dagli Stati Uniti) i baby boomer, che si slegarono dalle convenzioni e puntarono alla distinzione. Ci furono poi i genitori che negli anni Novanta cominciarono a guardare alle classifiche dei nomi più diffusi, semplicemente per evitarli. Oggi, soprattutto nei paesi anglosassoni, la tendenza è ancora un'altra: googlare il nome che si ha in mente e controllare che non ci sia nessun'altra persona che lo porta. Sempre nelle culture anglosassoni, poi, è diffusa l'usanza moderna di cercare uno spelling diverso per un nome comune.
In Italia è diverso: a seconda della provenienza e dell'ambiente sociale, le famiglie cercano nomi stranieri per spiccare e suscitare sorpresa, oppure al contrario nomi molto antichi che non sono più così comuni ma che trasmettono nobiltà ed eleganza.
Stai cercando anche tu nomi particolari? Puoi affidarti al tuo albero genealogico (troverai nomi diffusi, ma anche nomi dai costrutti antichi, davvero unici), oppure ispirarti ai tuoi libri preferiti, alla natura e ai fiori, ai figli delle celebrities...
No, non vi suggeriremo di bere birra insieme ai vostri figli! San Patrizio non è infatti solo la festa dei fiumi di alcool, ma è una tradizione irlandese molto antica che possiamo festeggiare insieme ai bambini e alle bambine.
Verstirsi di verde, fare dei lavoretti con i trifogli, fare un po' di sana baldoria... Questa tradizione che arriva da Oltremanica può essere un'occasione per divertirsi in famiglia, addobbando casa a tema e scoprendo un pezzetto di storia irlandese.
San Patrizio (o meglio, Saint Patrick) è il santo patrono d'Irlanda, colui che portò il cristianesimo sull'isola verde. Il suo nome reale era Maewyn Succat, era scozzese e fu rapito dai pirati irlandesi quand'era solo un adolescente. Re Dalriada lo fece suo schiavo.
Il giovane imparò quindi il gaelico, la lingua celtica, e dopo sei anni di prigionia riuscì a scappare, tornando a casa. Qui si convertì al cristianesimo (dopo aver conosciuto anche la religione celtica durante gli anni in prigione) e divenne un predicatore del Vangelo. Divenne quindi diacono, prese il nome di Patrizio (in latino) e negli anni ottenne la carica di vescovo.
In qualità di rappresentante della Chiesa di Roma, il papa lo incaricò di tornare in Irlanda, la terra della sua progionia: qui avrebbe dovuto diffondere il cristianesimo. Fu lui, quindi, a fondare il cristianesimo irlandese, che di base è cattolico, ma con molti spunti pagani e celtici.
Ad oggi, Saint Patrick (che è appunto Santo) è uno dei simboli dell'Irlanda, una figura importante e leggendaria che ogni 17 marzo viene celebrata con festeggiamenti e tradizioni.
Ma quali sono le tradizioni del 17 marzo? Come dicevamo, gli irlandesi sono soliti uscire e recarsi nei pub per bere fiumi di alcool. Ma le celebrazioni non si limitano allo spirito!
Innanzitutto, tradizione di Saint Patrick's Day è vestirsi di verde, il colore dell'Irlanda, che prende spunto dalle distese e dai prati verdi che rendono quest'isola unica dal punto di vista paesaggistico. Il verde rappresenta anche la primavera alle porte, così come la spensieratezza.
Sempre verde è il trifoglio, simbolo di San Patrizio: si racconta, infatti, che il vescovo utilizzò questa pianta per illustrare il concetto di trinità agli irlandesi, evangelizzandoli in questa maniera.
Infine, non dimentichiamo i Lepricauni, piccoli folletti che inizialmente erano ritenuti i calzolai delle fate. I bambini lasciano così, durante la notte, un bicchiere di latte sul davanzale della finestra, per far sì che si rifocillino. E sì, si tratta degli stessi lepricauni che si dice si trovino alla base degli arcobaleni con pentole piene di monete d'oro!
Qualche idea per festeggiare San Patrizio?
Cucinare dei biscotti verdi;
Vestirsi da Lepricauno;
Decorare casa a tema;
Bere un intruglio super verde, sfruttando le verdure verdi di stagione.
E per cena, perché non preparare una delizia irlandese? Il colcannon è uno stufato di patate e verza sostanzioso e super saporito, che possiamo preparare seguendo questa ricetta (anche in versione vegana, scegliendo l'olio al posto del burro).
In alternativa, il 17 marzo è la serata ideale per provare una classica zuppa di verdure irlandese!
La nuova puntata del nostro podcast, Genitori Pret a Porter, vuole essere una piccola introduzione all'argomento della salute mentale dei bambini e degli adolescenti, che stanno uscendo particolarmente provati dalla pandemia come dimostrano diversi studi (e una palese osservazione della realtà).
Nell'episodio la giornalista Sara Polotti presenta i numeri riguardanti le diagnosi tra gli adolescenti e i risultati di alcuni recenti studi che hanno voluto indagare gli effetti psicologici e psichiatrici della pandemia sui ragazzi e le ragazze, offrendo allo stesso tempo qualche consiglio - tra quelli stilati dagli esperti e dalle esperte - per supportare i nostri bimbi e le nostre bimbe nel ritorno alla nuova normalità.
Ascoltate la puntata qui sotto, oppure su Spotify, Apple Podcast e i principali canali di ascolto.
Qualche tempo fa mi è capitato di passare accanto ad un campo in cui stavano pascolando tantissime pecore con i loro agnelli. Erano davvero bellissimi da vedere: mi provocano sempre una tenerezza profonda. Mi sono però accorta che alcune portavano sul manto un segno rosso. Credevo si trattasse dell'indicazione per la tosatura della lana. E invece... Invece si trattava semplicemente dei capi destinati al macello.
Ci stiamo avvicinando a Pasqua e, credenti o no, il pranzo è una tradizione che riguarda moltissime famiglie italiane. E fra le tradizioni non manca quella dell'agnello, consumato appunto per il pranzo di Pasqua.
Evitare di mangiare carne dovrebbe essere una scelta da seguire tutto l'anno (per sostenibilità ambientale e rispetto animale, ma anche per seguire una dieta più salutare), ma molte persone non riescono a compiere il passo per diventare vegetariane o vegane perché temono le rinunce. Eppure viviamo in un mondo e in un'epoca davvero fortunata per chi prende questa decisione: le alternative plant-based alla carne e agli insaccati sono moltissime, la globalizzazione ha portato alla scoperta di numerosi piatti gustosissimi e golosissimi e per questi motivi la rinuncia diventa davvero più leggera.
Per dimostrarlo, vi proponiamo qui qualche ispirazione per un pranzo di Pasqua vegetariano, gustoso ma rispettoso, che non vi farà accorgere dell'assenza della carne.
Tra gli antipasti semplici, veloci e vegetariani abbiamo:
La crema di radicchio per il pinzimonio;
Le sfogliette veg di biete, pinoli e uvetta;
I vol au vent alla crema di ceci e tartufo;
L'insalata di pomodori, ceci e olive.
Questa ricetta è semplice, ma vi farà fare un figurone perché l'effetto è davvero strabiliante ed elegante. È ottima se pensate di preparare un secondo più corposo, per stare piuttosto leggeri. Si può anche preparare la sera prima e riscaldare al momento, per avere i fornelli liberi il giorno del pranzo di Pasqua.
Di nuovo viola, ma un po' più corposo ed elaborato: il risotto con mirtilli e robiola mischia il sapore classico del formaggio povero con quello acidulo e sofisticato dei frutti del bosco.
Se al vostro pranzo di Pasqua non possono mancare le lasagne, optate per una versione vegetariana (e pazzesca): le lasagne alla Norma sono gustose, nutrienti e golosissime. Anche in questo caso le si possono preparare in anticipo, cuocendole poi nel forno mentre sui fornelli va qualcos'altro.
Un classico: il polpettone arrosto, ma a base di verdure e di pan grattato.
Provate a non dire che si tratta di seitan (un derivato del glutine che si presta a moltissime preparazioni acquisendo i sapori e le consistenze più disparate): questo spezzatino ha un aspetto incredibilmente invitante e un sapore ancor più incredibile.
Se i vostri invitati amano i sapori speziati, questo stufato a base di verdure è ciò che fa per loro. Si possono usare le verdure di stagione che si preferiscono e rispetto allo stufato di carne la preparazione è parecchio più breve.
Per quanto riguarda i contorni, le opzioni sono davvero moltissime:
Quelle svedesi a ventaglio;
La sensibilità e l'empatia sono caratteristiche che - suppergiù! - ogni essere umano porta con sé. Ma non dobbiamo dimenticare che ci sono bambini e bambine più sensibili di altri. E questo è davvero straziante, perché spesso non sappiamo come rendere loro le cose più semplici e meno pesanti.
I bimbi e le bimbe particolarmente sensibili si differenziano dai loro coetanei prima di tutto perché chiedono sempre spiegazioni. Hanno un "perché" per tutto, e non solo riguardo alle questioni quotidiane più pratiche. I loro "perché" riguardano la vita, le relazioni, la ricchezza e la povertà, la salute... E spesso le nostre spiegazioni non sembrano bastare loro.
Si riconoscono, poi, perché il loro turbamento è visibile. Avere una sensibilità più spiccata rispetto al resto della popolazione porta infatti a sentirsi sopraffatti dagli avvenimenti particolarmente disturbanti. Le persone sensibili, infatti, sono più recettive nei confronti di certe situazioni e la loro risposta psicologica è più marcata. Non riescono, quindi, a farsi "scivolare via" i problemi, anche quelli che non riguardano loro stessi, ma ci pensano e ci rimuginano lasciandosi prendere emotivamente.
Sembrano solo contro? Ci sono anche pro: avere un'alta sensibilità significa avere un'empatia innata, una skill fondamentale nelle relazioni umane.
Ma, sì, essere sensibili è difficile ed è ancor più difficile per un genitore vedere il proprio figlio o la propria figlia lasciarsi sopraffare emotivamente dai propri sentimenti perché, appunto, c'è di mezzo tanta sensibilità. La buona notizia è che possiamo rendere ai nostri bambini sensibili e alle nostre bambine sensibili il mondo un po' meno difficile.
Prima di tutto, è necessario credere alle loro emozioni. Una persona meno sensibile potrebbe svalutare certe reazioni (è normale!), dicendo frasi come "Non c'è niente da piangere", "Ma perché ti lasci prendere così?". Non in cattiva fede, senza cattiveria, magari con il sorriso. Ma per chi vive l'emozione, questo significa sentirsi sbagliati e soprattutto non creduti.
Sembra quindi futile e scontato, ma la prima regola è dialogare e parlare validando il sentimento. Quando i bimbi o le bimbe stanno attraversando un momento di rabbia, sconforto o confusione, cerchiamo di farli parlare e di capire cosa li stia turbando, anche se a noi sembra qualcosa di così piccolo da non avere importanza.
La sensibilità dei bimbi non si fa sentire solo a casa, ma anche quando i genitori non ci sono e nei momenti più disparati. Spesso fa paura, perché i bimbi si trovano impauriuti e in preda delle emozioni. Parlarne preventivamente permette anche di trovare un gesto che li faccia sentire più a loro agio: quando si sentono sopraffare, possono così toccarsi le mani, oppure saltellare, oppure premere un antistress... A seconda di ciò che li calma.
I bambini sensibili spesso fanno molte domande. E anche se non le fanno, dentro ne hanno moltissime. Sta a noi provverere alla risposta: in questo modo, potranno trovare sempre più strumenti per navigare nella loro sensibilità e nelle loro emozioni.
Sì, fa molta paura, soprattutto se si è genitori ansiosi. Ma il gioco all’aperto e l’avventura sono necessari per una crescita psicofisica il più possibile armoniosa, completa e sicura. Ecco perché avere in giardino (o nel cortile condominiale) un parco giochi per bambini, delle altalene o dei set da arrampicata è un’ottima idea.
Ma perché nello specifico arrampicarsi, salire sullo scivolo, provare ad andare sull’altalena e tutte le classiche attività da parco giochi sono fondamentali?
Emmi Pickler, che ha inventato anche l’omonimo triangolo di Pickler, era una pediatra ungherese del secolo scorso. Secondo la sua osservazione, i bambini e le bambine hanno capacità psicomotorie e fisiche innate. Non serve insegnare loro nulla: ci arriveranno prima o poi da soli. Ma questo non significa che lo stimolo non sia importante.
Al contrario: secondo Pickler, per far sì che il movimento infantile si sviluppi al meglio, è necessario che al bambino o alla bambina si offrano gli strumenti adeguati e l’ambiente ideale. Quando si sentono sicuri, con i genitori che osservano e guidano, i bimbi e le bimbe sperimentano meglio e in maniera autonoma i loro movimenti, mettendo in moto i muscoli e lo scheletro e trovando così la propria armonia.
La sicurezza affettiva e l’ambiente adeguato sono quindi essenziali, e i parchi gioco all’aperto sono pensati esattamente per questo.
Al parco giochi i bambini e le bambine possono dunque mettere in pratica la propria motricità libera, in sicurezza e in maniera autonoma, sperimentando nuove posture, nuovi movimenti, nuovi appigli… A beneficiarne è il fisico tutto, e anche la coordinazione occhio mano (necessaria per la precisione, per la scrittura e per moltissimi altri movimenti) ne esce rafforzata.
Allo stesso tempo, arrampicandosi e giocando su strutture pensate apposta per loro, le bambine e i bambini migliorano la propriocezione (ovvero la consapevolezza di sé nello spazio) e l’intelligenza spaziale.
Come accennato all’inizio, dotare il giardino, il cortile o un ampio balcone di strutture in legno per giocare e arrampicarsi (come quelle di Wickey, tra i migliori brand del settore) è molto utile e consigliato.
Sotto la supervisione dei genitori o di chi sta giocando con loro, i bimbi e le bimbe affineranno i loro movimenti, metteranno alla prova il loro spirito d’avventura e stimoleranno muscoli e scheletro. Il tutto sentendosi sempre protetti e in sicurezza, guidati dallo sguardo di chi si sta prendendo cura di loro ma con la libertà di poter sperimentare il moto nella maniera più naturale e indipendente possibile.