Come condire la pasta quando si ha freddo, c’è bisogno di energia e i soliti spaghetti aglio e olio o con i pomodorini ci sembrano troppo estivi?
L’inverno ci offre moltissimi spunti, un po’ per le verdure che maturano in questa stagione, un po’ per quegli ingredienti che danno calore, quei “confort food” che ci permettono di portare in tavola sughi energetici dal sapore proprio invernale.
Quando c’è qualche problema nelle prime vie respiratorie (capita soprattutto in inverno, e tra scuola materna e amichetti in generale, sappiamo che i bimbi portano a casa moltissimi germi), il miele è certamente la soluzione migliore, nella maggior parte dei casi, meglio ancora se unito a zenzero e curcuma come nella nostra ricetta dello sciroppo antinfluenzale.
Tuttavia a volte serve un aiuto in più, soprattutto per calmare la tosse ed esercitare un’azione antibatterica per debellare la malattia. In questo caso, uno sciroppo fa al caso nostro. Ma ricordatevi sempre che i prodotti e i rimedi naturali sono uno strumento davvero efficace se scelti con cura e sopratutto se prescritti da un medico specializzato in medicina naturale/integrata.
Innanzitutto, l’omeopatia, nel caso dei malanni stagionali, è davvero efficace, grazie alla sua azione delicata e lunga che oltre a contrastare i fastidi nel momento in cui compaiono rafforza l'intero organismo.
Quando tuttavia scegliete la fitoterapia o i rimedi naturali, la prima cosa da controllare è certamente la qualità delle erbe e dei principi attivi. Ci sono moltissimi sciroppi naturali in commercio per cui spesso si ha l'imbarazzo della scelta . Controllate in primis che gli estratti di queste piante siano standardizzati, e cioè lavorati a secco in modo da mantenerne le caratteristiche e quindi l’efficacia.
Per esserne ancora più certi, in ogni caso, chiedete consiglio a un medico specializzato in medicina naturale o a un farmacista anch'esso esperto in materia.
In secondo luogo, chiedete sempre al vostro farmacista se il vostro bambino ha l’età giusta per prendere un determinato sciroppo. Ne esistono infatti alcuni fatti apposta per i neonati e per i bimbi piccoli, ma solitamente gli sciroppi fitoterapici non sono adatti ai bambini sotto ai due anni di età.
Oltre all’efficacia e alla sicurezza sull’età, è importantissimo controllare che il prodotto sia davvero naturale e quindi privo di coloranti, aromi artificiali o conservanti.
E, non ultimo, sarebbe meglio che lo sciroppo non fosse troppo zuccherato. Spesso, infatti, le aziende, sapendo che i fruitori sono i bimbi piccoli, cercano (magari giustamente) di rendere il sapore meno amaro e più piacevole. Ma lo zucchero, lo sappiamo, è deleterio. Date quindi un’occhiata agli ingredienti: ci sono altri modi per dolcificare in maniera più naturale (miele, stevia, malto…), e sono quindi preferibili gli sciroppi privi di questo zucchero.
Il gusto, tuttavia, è effettivamente un tasto dolente quando si tratta di sciroppi da somministrare ai bambini. Non sottovalutate quindi questo aspetto, e sceglietene sempre uno che piaccia (idealmente) al vostro bimbo. Banana, fragola, miele… I gusti sono spesso vari, ed è meglio sceglierne uno apprezzato piuttosto che uno odiato che ci farà fare il doppio della fatica (se il gusto non piace, non ce ne si esce: il bambino non lo prenderà).
Stesso discorso per la forma: con i bimbi il momento dello sciroppo può trasformarsi in tragedia e disastro, soprattutto quando si tratta di darlo con il cucchiaio (difficilissimo, no?). Scegliete quindi un flacone semplice, magari con bicchierino dosatore, e che ci stia in borsa comodamente.
Mamma Pret a Porter non è una testata medica e le informazioni fornite hanno scopo puramente informativo e sono di natura generale, esse non possono sostituire in alcun modo le prescrizioni di un medico o di un pediatra (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione), o, nei casi specifici, di altri operatori sanitari (odontoiatri, infermieri, psicologi, farmacisti, fisioterapisti, ecc.) abilitati a norma di legge. Le nozioni sulle posologie, le procedure mediche e le descrizione dei prodotti presenti in questo sito hanno un fine illustrativo e non devono essere considerate come consiglio medico o legale.
Un buon libro è sempre una buona idea. Non solo romanzi e letture di svago, però: spesso la parola scritta e stampata ci viene in aiuto anche in quei momenti in cui ci assalgono i dubbi, come ad esempio il periodo delicato della gravidanza. Vi segnaliamo ora “Parto in arrivo, appunti di viaggio per donne in camicia da notte anche di giorno”, edito da Red!.
Le autrici sono psicologhe e psicoterapeute, e ognuna di loro mette a disposizione la sua esperienza e la sua competenza: Sara Roveraro, Maria Caterina Cattaneo, Valentina Chiorino, Roberta Salerno, Elena Macchi e Giorgia Bertolucci. Chi da anni si occupa della salute della donna, chi del neonato, chi della famiglia: una squadra davvero folta che rende questo libro un perfetto strumento per le mamme, ma anche per i papà e per chi si occupa della maternità per lavoro.
Il bello di questo libro, che potete acquistare a questo link, è che rispetto a molti altri volumi pesanti, specialistici e medici che potete trovare in considerazione è più leggero e piacevole (proprio come il nostro Mamma Pret A Porter!), e in maniera precisa saprà guidarvi attraverso tutte le domande e i dubbi del periodo, senza rinunciare alla profondità e alla professionalità.
Più che la gravidanza, questo volume si concentra sul quel periodo che può spaventare molto le mamme in attesa, soprattutto quelle alle prese con il primo figlio. Parliamo dei momenti appena successivi al parto e del rientro a casa con il nostro bebè, questo sconosciuto!
Il periodo del post-partum, infatti, è un momento delicatissimo, che ogni donna vive a suo modo e che è fatto di tante sfumature. Le autrici, quindi, hanno voluto mettere nero su bianco le loro conoscenze costruite in anni di frequentazione del reparto maternità, per aiutare tutte le neomamme ad affrontare in maniera serena quei momenti.
Per farlo, hanno inventato una particolare donna, la protagonista del libro, che si sviluppa così come un racconto per tappe dal momento del parto sino all’arrivo a casa (e ai giorni successivi). Questa neo mamma è proprio come tutte noi, anche se descritta in maniera ironica per stemperare la situazione, e come noi passa attraverso tutti quei sentimenti fortissimi che colpiscono una nuova mamma: gioia, ansia, tristezza, eccitazione, paura, serenità. Ma anche rifiuto e depressione, poiché può capitare anche questo, e non c’è nulla di cui vergognarsi.
L’intento del libro è quello di dare alle donne gli strumenti necessari per capire che ogni sentimento è lecito, poiché durante la gravidanza e ancor più quando si diventa genitori tutti i nodi lasciati in sospeso a livello psicologico e relazionale vengono al pettine, si ingigantiscono (nel bene o nel male) e spesso le donne si sentono sopraffatte. Il tutto condito da una nuova situazione quotidiana completamente stravolta dall’arrivo di un nuovo inquilino in casa, un inquilino paffutello e coccoloso che ha bisogno di tutte le nostre attenzioni ed energie.
Probabilmente, fateci caso, su quello sinistro. No, non siamo chiaroveggenti o mentaliste. Semplicemente lo dicono la natura e la scienza, e c’è un motivo ben preciso! Lo studio di questo fenomeno, oltretutto, è super interessante.
Quindi bando alle ciance, è ora di spiegarvi il perché nel dettaglio.
Innanzitutto, dobbiamo partire da una ricerca del 2004: Victoria J. Bourne e Brenda K. Todd, dell’Università del Sussex, dimostrarono infatti che la maggior parte delle mamme (tra il 75 e l’80% di loro) porta il figlio in braccio appoggiandolo sul fianco sinistro. No, non è una cosa che si nota subito, ma provate a farci caso, e vi accorgerete che probabilmente è così, e che anche voi fate parte di questo 80%.
Un altro dato, tuttavia, ha suscitato la curiosità, poiché questa tendenza non riguarda solo le mamme, ma tutte le donne in generale. Anche le bambine con le bambole. E anche i papà (ma non i maschi in generale: se un uomo non è ancora papà, questa tendenza non si verifica!).
Questo fatto suscita da sempre la curiosità degli studiosi, che hanno scritto moltissime ricerche ipotizzando i più svariati motivi. Chi diceva che c’era un motivo sociologico o psicologico, chi avanzava l’ipotesi che fosse dovuto alla vicinanza con il cuore, chi alla sensibilità maggiore del seno sinistro… Tutte ipotesi valide e plausibili, certo. Ma ora qualcuno ne ha avanzata un’altra, ancora più specifica: secondo gli studiosi, la responsabilità di questa tendenza è tutta cerebrale (e anche fisica).
Lo studio (Karenina, K., Giljov, A., Ingram, J., Rowntree, V. J. & Malashichev, Y. Lateralization of mother–infant interactions in a diverse range of mammal species. Nat. Ecol. Evol. 1, 0030 (2017)) è stato appena pubblicato sulla rivista scientifica “Nature, ecology and evolution”, e parte dal presupposto che il “portare a sinistra” sia una prerogativa dell’uomo e delle scimmie e non degli altri mammiferi.
La ricerca vuole quindi capire se anche le altre madri mammifere - canguri, cavalli, antilopi, renne… - hanno preferenze di fianco (a quanto pare, no), ma è nell’introduzione che gli studiosi parlano apertamente di ciò che interessa a noi, e cioè i motivi della scelta delle mamme umane. E in poche parole, secondo loro, “la posizione dell’infante sul fianco destro della madre potrebbe ottimizzare il monitoraggio materno, indirizzando le informazioni sensibili all’emisfero destro del cervello”.
In sostanza, questo significa che quando il bambino viene portato in questa posizione si rafforza il legame mamma-figlio, poiché l’emisfero destro del cervello della madre si attiva, ed è proprio questa attivazione a rafforzare il legame.
Già sappiamo che il tocco sulla parte sinistra del nostro corpo attiva l’emisfero destro del nostro cervello (si chiama lateralizzazione, questa relazione tra un lato del corpo e il lato opposto del cervello). Questo emisfero destro del cervello è quindi il responsabile del linguaggio, ma soprattutto dell’interpretazione dei segnali emotivi e delle espressioni facciali, proprio quello di cui ha bisogno una mamma nei confronti del suo bambino.
Ecco spiegato quindi il perché: appoggiando il bambino su quel determinato fianco nostro figlio tocca il latto sinistro del nostro corpo, e in questo modo attiva l’emisfero destro del nostro cervello, proprio quello responsabile della nostra comprensione profonda dei suoi bisogni.
Insomma: il fianco sinistro probabilmente ci fa essere inconsciamente madri migliori, attente e focalizzate sui bisogni (visibili e nascosti) dei nostri bambini.
I tè non sono tutti uguali: earl grey, nero, verde… E anche il tè verde non è tutto uguale! Ne esistono diverse varietà, e anche se tutte crescono in Giappone (è il tè più consumato, e quotidianamente ogni giapponese ne beve moltissimo!) si differenziano l’una dall’altra per metodo di coltura, tempi di raccolto e processi di maturazione.
Vi presentiamo quindi le varietà di questo particolare tè ricchissimo di antiossidanti e quindi alleato perfetto per la nostra salute. Bevetene due tazze al giorno (oppure integratelo in ricette insolite): e il vostro organismo vi saprà ringraziare!
Partiamo con la varietà più diffusa, e quindi quella più bevuta al mondo. Si tratta del tè Sencha, dal gusto armonioso e dolce, le cui foglie secche sono verdi luminose e in forma di ago. Viene coltivato al sole secondo un metodo abbastanza standard, e le foglie una volta colte vengono cotte al vapore e poi rollate e pressate fino ad acquisire la classica forma ad ago.
Passato al vapore per il doppio del tempo rispetto al Sencha (che ha bisogno di circa un minuto) è il Fukamushi Sencha, che è coltivato proprio come il Sencha ma che si differenzia appunto per il fatto di essere stato “cotto al vapore per molto tempo”, come dice il nome. Grazie a questo passaggio le sue foglie divengono più polverose e il tè acquisisce un sapore più forte e un colore più scuro. Non solo: il vapore assottiglia molto le foglie, che mantengono però moltissime proprietà, proprietà che, anche se le foglie non si dissolvono in acqua, vengono assimilate più facilmente dall’organismo.
Il tè verde Kabusecha si caratterizza per la particolare coltivazione, che non avviene completamente al sole: una settimana prima del raccolto, infatti, la pianta viene coperta proprio per non fare passare i raggi solari. In questo modo, i nuovi germogli crescono al buio, dando al tè un colore più scuro e un sapore più intenso e corposo.
Lo stesso procedimento lo subisce il tè Gyokuro, che tuttavia resta coperto per più tempo prima del raccolto, e cioè circa venti giorni. Questa mancanza di luce fa sì che i tannini dei nuovi germogli non si sviluppino; il gusto è più ricco, quindi, ma è meno astringente. Somiglia un po’, come sapore, all’alga nori.
Tra poco arriveremo al té Matcha, molto in voga in questo periodo. Prima, però, parliamo del suo ingrediente principale, e cioè il tè Tencha. Questo tè cresce quasi completamente coperto dalla luce del sole, e una volta cotto al vapore le sue foglie non vengono nemmeno rollate. Il tè Tencha è ciò che rimane dopo aver tolto i gambi e le nervature delle foglie, e una volta macinato a pietra diventa tè Matcha.
Il tè Matcha, quindi, è semplicemente il tè Tencha macinato a pietra. E’ utilizzato per le antiche cerimonie del tè giapponesi, e a differenza degli altri tè il bello è che ne viene consumata la foglia intera, essendo macinata e mescolata nell’acqua (e non filtrata).
Dal sapore particolarissimo è il tè Hojicha o kuchika, il cui gusto riconoscibile è dato dal fatto che è semplicemente tè Sencha (o un altro tipo di tè verde) tostato a 200 gradi e subito filtrato (e anche il colore, quindi, è più scuro, tendente al terroso). La tostatura permette di diminuirne la caffeina (dato che la molecola, con il caldo, passa da solida a gassosa) e in questo modo il tè Hojicha è leggermente meno amaro degli altri (e il suo sapore ricorda un pochino la frutta secca). Ecco perché piace spesso anche ai bambini e agli anziani.
Particolarissimo è il tè Genmaicha, il cui nome deriva da “riso integrale”, proprio perché le foglie, una volta cotte al vapore e rollate, sono arricchite dall’aggiunta dei chicchi di riso integrale tostato (in misura 50 e 50). Ecco perché ha meno caffeina (la quantità di tè è la metà del normale), ed ecco perché ha un gusto tutto particolare, delicato e noccioloso, che piace anche ai più piccoli.
Detto anche il “tè nuovo” è il tè Shincha (detto anche Ichibancha a seconda della ragione del raccolto), e cioè il tè derivato dalle prime foglie della stagione (successivamente, il tè si chiamerà Nibancha o Sanbancha, a seconda dell’ordine di raccolta delle foglie durante l’anno). Il fatto di essere raccolte per prime conferisce a queste foglie moltissimi benefici, poiché contengono tutti i nutrienti che la pianta ha accumulato durante l’inverno per far crescere i germogli e le foglie. Non solo: di nuovo, derivando dalle prime foglie colte, il tè Shincha ha un gusto tutto suo, che sa molto di foglie giovani ed è meno amaro del solito (contiene meno caffeina ed è ricco di tannini, che oltre ad essere antiossidanti lo rendono un pochino più dolce).
Mamma Pret a Porter non è una testata medica e le informazioni fornite hanno scopo puramente informativo e sono di natura generale, esse non possono sostituire in alcun modo le prescrizioni di un medico o di un pediatra (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione), o, nei casi specifici, di altri operatori sanitari (odontoiatri, infermieri, psicologi, farmacisti, fisioterapisti, ecc.) abilitati a norma di legge. Le nozioni sulle posologie, le procedure mediche e le descrizione dei prodotti presenti in questo sito hanno un fine illustrativo e non devono essere considerate come consiglio medico o legale.
Ve ne avevamo già parlato: i pericoli della troppa tecnologia sono davvero reali e i bambini che ne fanno largo utilizzo rischiano davvero dei danni emozionali e intellettivi non indifferenti. Ma non è pericoloso solo l’utilizzo (come dicevamo, meglio uno strumento musicale!): gli smartphone, che sono ormai parte integrante della nostra quotidianità, hanno effetti anche passivi devastanti per i nostri bimbi, soprattutto nei primi mesi di vita. Perché? Ve lo spieghiamo subito.
Controlliamo le mail, scriviamo nel gruppo di famiglia, in quello delle mamme dell’asilo, in quello degli amici. E poi diamo uno sguardo alle notizie, sbirciamo i nostri social, postiamo quella bellissima foto dei piedini del nostro bebè. Pensateci: anche se non sembra (ormai è un’abitudine e non ce ne accorgiamo nemmeno), il tempo che passiamo davanti al piccolissimo schermo del nostro smartphone è davvero moltissimo durante la giornata.
Anche se non sembra, è una vera e propria dipendenza (che ha un nome: nomofobia), che colpisce moltissimi giovani, ma che riguarda davvero un po' tutti, senza esclusione di colpi. Come spiegano anche da Ansa, "secondo l'ente di ricerca britannico Yougov, più di 6 ragazzi su 10 tra i 18 e i 29 anni vanno a letto in compagnia dello smartphone, e oltre la metà degli utenti di telefonia mobile (53%) tendono a manifestare stati d'ansia quando rimangono a corto di batteria, di credito o senza copertura di rete".
Questa dipendenza - così come l'uso quotidiano "normale" che ormai facciamo del cellulare - è pericolosa per i nostri bambini. Perché?
Semplicemente, provate a dare un’occhiata ad una persona che sta controllando il suo cellulare. Non è completamente inghiottita da esso? Non ha tutta l’attenzione lì? Eh certo. E’ così. E anche se noi mamme ci vantiamo di essere multitasking (sì, è vero, lo siamo!) quando focalizziamo l’attenzione sui device tecnologici questa viene risucchiata completamente da essi.
Bene. Se anche voi vi accorgete dell’impressione che fa una persona davanti al suo smartphone, sappiate che anche i bambini se ne accorgono. Vi vedono intenti al cellulare, e in poco capiscono che in quel momento non ce n’è per nessuno, nonostante la buona volontà.
Il fatto che se ne accorgano, tuttavia, non è fine a se stesso. Purtroppo le conseguenze sono importanti, poiché, in maniera conscia o meno conscia, i bambini si sentono lasciati da parte, recepiscono il messaggio che “non sono abbastanza importanti” e la loro autostima ne risente negativamente. E, a lungo andare, la bassa autostima può trasformarsi drasticamente in ansia e depressione.
Tutto questo è sintomo dei nostri tempi, poiché volenti o nolenti se prima i bambini erano abituati ad avere stimoli da parte nostra e da parte del mondo esterno ora le relazioni, il lavoro e mille altre cose passano attraverso la rete. Solo che nei primi tre anni di vita questi stimoli dovrebbero essere davvero moltissimi, ed è per questo che sarebbe meglio ridurre in maniera netta i momenti passati davanti allo smartphone, dedicandoci invece ai nostri bambini! Come? Abbiamo per voi qualche consiglio per far sì che i nostri bambini non risentano della tecnologia che ormai ci ha invaso.
Innanzitutto, decidete certe zone in casa nelle quali smartphone e tablet saranno banditi: le camere, ad esempio, ma soprattutto la tavola e la zona giochi dei bambini.
In secondo luogo, fissate alcuni momenti della giornata nei quali controllare mail, social media e messaggini (quelli non necessari; quelli importanti arriveranno come sempre sul telefono, e chi vi deve trovare vi trova anche con una telefonata, state tranquilli). Questi momenti saranno gli unici adibiti al controllo, e in questo modo imparerete a fare a meno dello smartphone durante la giornata.
In questo modo, i bambini vedranno che non è indispensabile tutto quel tempo passato con gli occhi incollati al telefono, e oltre alla loro autostima ne risentirà positivamente anche il rapporto che in futuro avranno loro stessi con la tecnologia (il buon esempio è sempre la migliore educazione).
Terza regola, infine, riguarda direttamente i bambini. Sappiamo che spesso è comodo piazzarli davanti ad un video sul tablet o ad un gioco educativo sullo smartphone (ce ne sono di bellissimi, è vero), ma evitate di farlo prima dei tre anni. Ok, saranno anche attività educative, ma lo stimolo diretto, umano e concreto è sempre il migliore strumento che potete mettere loro in mano!
Sara Polotti
Magari noi non ci facciamo caso. L’aria sia secca o umida, apparentemente, non cambia nulla. Ma non è così, proprio no. Soprattutto per i bimbi e per gli anziani, che risentono moltissimo del livello di umidità nell’aria, quando questo è troppo basso.
Ecco perché avere un umidificatore in casa è priorità per i genitori, quando si vuole assicurare ai propri bimbi un ambiente perfettamente pensato per la loro salute!
Vi indichiamo quindi una guida ai benefici degli umidificatori, e le nostre scelte quando si tratta di acquistare i migliori sul mercato. Noi ci affidiamo alla qualità e alla sicurezza di Miniland, e in questo caso la loro gamma di umidificatori è davvero fornitissima!.
La necessità dell’umidificatore è dovuta al fatto che inevitabilmente in inverno (almeno nei paesi temperati e freddi) si accende in casa il riscaldamento: per evitare di ammalarsi per le basse temperature, si alzano i gradi in casa, ma questo ha un risvolto negativo, e cioè l’aumento della secchezza dell’aria. L’aria calda, insomma, asciuga l’umidità nell’aria, causando secchezza.
La secchezza dell’aria non è un problema da prendere sottogamba: è proprio essa, infatti, una delle cause di difficoltà a respirare. Soprattutto i bambini e gli anziani, i cui organi sono in fase di sviluppo (oppure sono più fragili rispetto a quelli di un adulto sano, nel caso della terza età), risentono quindi di questa mancanza di umidità. In un ambiente umido si respira meglio, vengono fluidificate le secrezioni, e quando questo non avviene compaiono i problemi (dall’irritazione delle vie respiratorie fino a tosse e raffreddore, asma e allergie).
Gli umidificatori servono quindi esattamente a ovviare a questo problema, aumentando il grado di umidità degli ambienti, disperdendo nell’aria circostante del vapore acqueo che ristabilisce l’equilibrio.
Prima di tutto quindi, cercate di non eccedere con la temperatura della vostra abitazione: nelle camere basta assestarsi tra i 15 e i 18 gradi centigradi, mentre in cucina e soggiorno sono perfette le temperature tra i 18 e i 20 gradi. In bagno, invece, sarebbe opportuno raggiungere i 21.
Detto questo, un umidificatore è essenziale anche quando la temperatura è perfetta, poiché l’aria tende comunque a seccarsi!
In commercio esistono svariate tipologie di umidificatori, e possiamo elencare principalmente due caratteristiche che li distinguono: il vapore a freddo o quello a caldo. Il primo lavora tramite gli ultrasuoni, che producono vapore nebulizzando l’aria in particelle fini, ed è migliore dal punto di vista economico (sfrutta meno energia), del suono e del tempo di riscaldamento. Quello a caldo, invece, lavora portando l’acqua ad ebollizione tramite riscaldamento (solitamente grazie ad una resistenza elettrica), emettendo così il vapore acqueo generato, e ha il vantaggio di sterilizzare l’acqua mentre la scalda.
In quasi tutti gli umidificatori, poi, è possibile utilizzare essenze (come gli oli essenziali, da utilizzare in gocce, o i preparati al profumo di eucalipto e pino), in modo da sfruttare anche le proprietà curative e preventive dell’aromaterapia.
Di Miniland ci piace moltissimo Humiplus Advanced, il loro umidificatore di punta: la sua comodità sta nel fatto che si può scegliere tra vapore caldo o freddo, nella purificazione automatica degli ambienti attraverso l’emissione di ioni negativi e nell’autonomia. Il suo serbatoio, infatti, contiene addirittura sette litri di acqua, e in questo modo per 18 ore può funzionare da solo, senza rabbocchi (e umidifica fino a 45 metri quadri di abitazione, regolando da solo il livello ottimale di umidità!).
Dall’altro lato però sta il comodo e piccolo Minidrop, che si appoggia davvero dappertutto e che con il suo vapore a freddo è ottimo per le piccole stanze (fino a 15 metri quadri).
Nel mezzo stanno l’altro umidificatore compatto, Humiessence, con l’apposito scomparto per essenze, e l’ozonizzatore che oltre a umidificare purifica l’aria mediante la produzione di ozono, Ozonball, che arriva addirittura a 30 ore di autonomia.
Insomma, c’è l’imbarazzo della scelta, e ogni famiglia saprà scegliere quello che più fa al caso suo, con sempre in mente i benefici importantissimi che un gesto semplice come l’umidificazione dell’aria porta a tutti i componenti, in particolare ai bimbi.
Mamma Pret a Porter non è una testata medica e le informazioni fornite hanno scopo puramente informativo e sono di natura generale, esse non possono sostituire in alcun modo le prescrizioni di un medico o di un pediatra (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione), o, nei casi specifici, di altri operatori sanitari (odontoiatri, infermieri, psicologi, farmacisti, fisioterapisti, ecc.) abilitati a norma di legge. Le nozioni sulle posologie, le procedure mediche e le descrizione dei prodotti presenti in questo sito hanno un fine illustrativo e non devono essere considerate come consiglio medico o legale.
Per un delizioso gelato alla banana non serve il latte: lo sapevate, no? A noi piace sempre prepararlo quando abbiamo in dispensa o in frigorifero delle banane mature, poiché il procedimento è basilare, semplicissimo, e il risultato pazzesco!
Ricordate solo di tagliare a rondelle le vostre banane e di tenerle in freezer per almeno ventiquattro ore, e il gioco è fatto! Già. Perché poi basterà frullare quelle stesse banane per circa tre minuti e i gelato sarà già pronto!
Tuttavia mangiare sempre il gelato alla banana può stufare. Ecco allora alcune ricette per variarlo e per proporre in tavola deliziosi dessert e merende sempre diversi!
(foto 1 http://wholefully.com/2016/06/30/8-vegan-banana-soft-serve-recipes-to-keep-you-cool/)
(foto 2 http://www.twopeasandtheirpod.com/2-ingredient-strawberry-banana-ice-cream/)
(foto 3 http://thebakermama.com/recipes/two-ingredient-banana-chocolate-chip-ice-cream-bites/)
(foto 4 http://www.thehealthymaven.com/2015/06/peanut-butter-chocolate-banana-soft-serve.html)
(foto 5 http://mycrazygoodlife.com/dairy-free-coffee-ice-cream-recipe/?m)
(foto 6 http://www.thenourishedseedling.com/single-post/2015/06/02/Banana-and-Avocado-Ice-Cream-1)
(foto 7 http://www.ohhowcivilized.com/matcha-green-tea-banana-ice-cream/)
Sara Polotti
Le iniziative a favore dell’allattamento e della maternità ci piacciono sempre. Pochi giorni fa era stata la volta dell’angelo di Victoria’s Secret e della sua riflessione sull’allattare in pubblico; qualche tempo prima, l’artista newyorkese Hein Koh aveva parlato della sua scelta di essere mamma, che non va affatto contro la carriera; e l’anno scorso, invece, c’era stata la moda (bellissima!) dei #brelfie.
Ora è Natalia Vodianova, super model e mamma, ad aver portato sotto la luce dei riflettori una tendenza instagram e social che ci piace molto. E noi siamo super orgogliose di tutte queste mamme star quando coraggiosamente prendono la parola parlando per tutte le mamme del mondo!
Il post che Natalia ha postato due settimane fa sul suo profilo Instagram è davvero bellissimo: un’immagine di lei che allatta il figlio, corredata da un albero che delicatamente invade la scena.
“Sto supportando (e incoraggio voi a supportare) la campagna #normalizebreastfeeding, una campagna che sta crescendo sui social media e che prevede che postiamo un’immagine commuovente dell’allattamento per mostrare le radici profonde di cura e amore. Voglio ringraziare i miei amici della community @picsart per aver fornito gli strumenti e per supportare le mamme del movimento. #treeoflife”.
(foto 1 Instagram)
In sostanza, il mondo di Instagram si sta riempiendo di queste bellissime e artistiche immagini di allattamento corredate dall’hashtag #treeoflife, “albero della vita”, per mostrare al mondo la bellezza di un gesto così naturale e l’amore materno e filiale.
Se date un’occhiata, ce ne sono di bellissime, e tutte includono l’immagine dell’allattamento e un albero, con o senza radici, bianco e nero o colorato, grande o piccolo, a rappresentare l’albero della vita di cui parla l’hashtag, le cui radici possono poggiarsi sul seno e i rami diramarsi sul piccolo, a rappresentare proprio il passaggio di amore e vita tra mamma e bebè.
(foto 2 http://www.popsugar.com/moms/How-Make-Tree-Life-Breastfeeding-Photo-42870000#photo-42870000)
Non solo mamme, tuttavia; l’amore è anche quello fraterno e quello paterno, e nessuno vieta che nelle fotografie compaiano loro, al posto delle mamme.
(foto 3 https://www.instagram.com/p/BONI9XMFom0/)
Ma come fare per creare anche noi la nostra immagine dell’albero della vita? Come accennava la meravigliosa modella Natalia Vodianova nel suo post, PicsArt, un’applicazione per smartphone, ha fornito gli strumenti giusti per le mamme che vogliono condividere il loro scatto.
Innanzitutto, scaricate l’applicazione PicsArt sul vostro telefono (la trovate nello store). Dopodiché, scaricate il pacchetto di ticket “Tree of Life”.Entrate quindi nell’app e cliccate su “Edit”, selezionando dal rullino la vostra foto dell’allattamento che volete modificare. Nel pannello inferiore, cliccate l’icona “Sticker” e scegliete il vostro albero preferito tra quelli disponibili. Aggiungetelo all’immagine e sistemate come meglio vi piace. Selezionate “Apply” e andate quindi ai “Magic Effects”, gli effetti artistici, scegliendo quello che più vi piace e modificando opacità, orientamento e colore a vostro piacimento. Di nuovo, selezionate “Apply” e salvate l’immagine, quindi condividetele sui vostri social con l’hashtag #treeoflife”!
Qui, comunque, trovate un bel video con tutte le istruzioni, per creare la migliore immagine del vostro momento più intimo
Un ricetta super easy ma davvero buona, sopratutto quando si sta preparando una colazione non solo per sè ma anche per ospiti. Io ho utilizzato lo yogurt greco, perfetto per la sua compattezza e cremosità: se preferite optare per lo yogurt di soya vi consiglio di metterlo in un colino a maglia finissima con sopra una garza così da eliminare l'acqua in eccesso e renderlo più compatto.